Prefazione
Ippocrate, circa 2500 anni or sono, scrisse, tra le altre opere, una raccolta di sentenze, raccomandazioni, osservazioni, consigli contenuti in missive inviate a privati, e riunì il tutto in una sorta di summa, che intitolò Aforismi: sostanzialmente, si trattava di orientamenti e indicazioni di natura medica, al fine di istruire il prossimo ad avere migliore consapevolezza delle condizioni di vita e della cura di sé stessi. In una parola, era l’insegnamento orientato a distinguere le situazioni di vita e di ambiente. Più esattamente, si trattava di separare le cose, le une dalle altre, proprio perché etimologicamente la parola aforisma, in greco antico, significa separare da.
La parola aforisma ha avuto una fortuna inimmaginabile nel corso dei venticinque secoli, a seguire l’antesignano Ippocrate da Croo, che lo si può indicare come fosse The Elder, cioè l’anziano capostipite che introdusse il genere. Sovente l’aforisma si presenta come una sorta di chiasmo, cioè la ripetizione di un’espressione, ma con significato inverso, come se si volesse sperimentare popperianamente la validità del costrutto, estroflettendolo come un guanto: “Potrei rinunciare a tutto il necessario, fatta esclusione per il superfluo”, afferma Oscar Wilde, che è uno dei maggiori maestri dell’aforisma moderno. L’affermazione di Wilde è stupenda perché confonde i due termini, cioè, per dirla con più precisione, richiama la successione dei vocaboli, ma con valore inverso di quello adottato nella distinzione linguistica: il necessario diventa superfluo e il superfluo diventa necessario. Questo processo mentale mette in dubbio la capacità di descrizione della realtà sviluppata dal linguaggio: tutto ciò che ci circonda può limitarsi ad essere lo specchio della nostra immaginazione e creatività. Motivo per cui, quando noi diciamo superfluo o al contrario necessario, in realtà non riusciamo a separare le due cose fra loro, perché la nostra immaginazione sopravanza le possibilità distintive del linguaggio.
I 400 aforismi di Ugo è un magnifico livre de chevet, certamente tra i migliori che si possano immaginare: deve stare sul comodino, come il bicchiere d’acqua o la tisana riequilibratrice degli scompensi gastrici. Ogni sera, si leggeranno con diletto alcune paginette e ci si concilierà con tutte le asperità e le disillusioni affrontate nella giornata appena conclusa. Immediatamente, si accende una luce nell’anima e si disegna un sorriso sulle labbra. Ci si prepara a un sonno ristoratore, perché si è compensati da tutte le occasioni di fraintendimento, inganno, sgomento e smacco, dai piccoli deliri, come dai furiosi litigi, dagli enigmi irrisolti, dalle parvenze scivolose e fumose in cui siamo stati vittime casuali o inconsapevoli. Sfogliando le pagine dei quattrocento aforismi, ci troveremo in compagnia dei più dotti filosofi, con svettanti poeti, altissimi drammaturghi, immaginosi romanzieri, senza contare i santi, i mistici, i veggenti, i retori, i capipopolo che riempiono di saggezza distillata queste divertentissime pagine scritte sempre con incomparabile grazia ironica, non disgiunta da una carica rinvigorente di pensiero rivoluzionario.
Tenere sul comodino I 400 aforismi di Ugo significa avere a portata di mano le voci più rappresentative dei venticinque secoli della civiltà occidentale: le loro luci e le loro oscurità, tra visioni luminose e dispersioni nebbiose. Non è poca cosa: significa avere un repertorio di prima scelta in cui sta scritta la nostra grandezza e i nostri limiti. Si può prendere sonno con fiducia nel domani che verrà.
Sandro Gros-Pietro
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