Il libro Suite di prose liriche è risultato vincitore al XXIII Premio Letterario Camaiore – Proposte (opera prima), 2010.

 

PREFAZIONE

Se vi è uno stile di cui in questi anni si è fatto indigestione sono le poesie “radicate nel reale”, “aggrappate agli spazi esili in cui la vita è ardente esperienza del quotidiano”, “testimonianza di ordinaria leggibilità del sociale”, e di tante altre stucchevoli formule di vuotaggine critica che sono state appositamente studiate per abbellire la poesia povera fatta del “ho preso un caffè e ho pensato a te” che furoreggia in questi anni, promossa da un frainteso minimalismo poetico di aderenza ai materiali grezzi e frammentari dell’esperienza minuta, che aveva la sua patria d’adozione nella nobile linea lombarda. Non si colloca in questa moda, asfissiante ma compiaciuta di esserlo, la poesia colta di Giacomo Panicucci: grande affabulatore e concertista della parola, che impiega il linguaggio poetico in dimensioni polifoniche di ritmi e di contrappunti, con perfetta padronanza dei panorami armonici da lui descritti e delle derivazioni e innervazioni di memoria letteraria a cui allude. Se si accettasse il gioco di proporre delle didascalie, quella adattabile a Panicucci – almeno in un primo momento – sarebbe di poeta neogotico, per la grande tensione di sacralità e dannazione che pulsa nella sua machina mundi, nel plumbeo palcoscenico del perpetuo naufragio, dell’eterno morire, di una destinazione infernale, riscattabile ma non riscattata dal solo avvento di grazia che buca la storia dell’umanità, il dono di Gesù. Ma questa è una didascalia veramente insufficiente per contenere la forza creatrice di Panicucci, il quale, oltre che neogotico, è anche neobarocco, per la prorompente fantasia di temi e di soluzioni, ripetute con meccanismi e variazioni ecolaliche che innescano persuasioni occulte e percussive. In Panicucci vi è certamente una sensibilità armonica e concertistica: gli insiemi, i movimenti massivi e profondi, la complessità organizzata delle singole parti in un unico concento, interessano a Panicucci le ampie visioni poetiche e non cammei lirici, le panoramiche sui destini dei collettivi e non le vicende nutrite dall’egotismo del poeta. Interessa a Panicucci la musicalità del linguaggio poetico, talvolta anche stridente o emotivamente scerpato, forse ruvido o addirittura irritante. Viene in mente la straordinaria ricchezza musicale di Johannes Ockeghem, come esempio di inesauribile creatività del movimento complesso degli insiemi: una mente fiamminga, che concepisce le immensità panoramiche descrittive, ma le racconta con precisione calligrafica ed estro armonico. Però, Panicucci è sostanzialmente un poeta neometafisico, per la sua inclinazione a vedere nella realtà un’interpretazione complessa del reale che trascende il valore plastico della descrizione e sconfina in un’idea astratta, si condensa in qualcosa che si colloca al di là dell’immagine, del suono, della parola, cioè in qualcosa che ha il suo approdo in un al di là del mezzo espressivo che lo ha prodotto: è un oltre la parola. Spingersi oltre la parola significa anche ripercorrere le tappe di quella visionarietà poetica che porta dentro di sé il maledettismo e il culto della deformazione allucinata del mondo, tutte esperienze che ritroviamo citate e riprese in piena consapevolezza dei percorsi storici che risalgono fino alla visionarietà dantesca e che passano per Baudelaire e Rimbaud, e che conducono all’esperienza surrealista e iperrealista americana, fino al precisionismo magico di Edward Hopper, non a caso citato in copertina del libro, per scelta autonoma dello stesso Panicucci. Autore complesso, dunque, non tanto per una presunzione di verità o di sapienza contenuta nei versi, quanto per la straordinaria ricchezza espressiva nel racconto del mondo che i suoi versi ricostruiscono. La dimensione congeniale di Panicucci è il poemetto, sovente con sviluppo denotativo e narrativo di una realtà complessa, ma già surriscaldata dalla sferza delle parole che deformano la plasticità del narrato e predispongono il lettore al salto mentale verso un significato traslato, che diviene rappresentazione esemplare di una fenomenologia più vasta del singolo episodio raccontato. Metafore e analogie sono il materiale ribollente di questa poesia che splende per proposte e per soluzioni sempre nuove, ma sempre anticate in un riferimento suggerito ovvero adombrato di memoria del passato. Talvolta, come accade nello splendido poemetto iniziale Nuvole, l’affollamento propulsivo della metafora è tale da giungere a sviluppare sulla pagina quasi un esercizio letterario di anafore e di enumerazioni di situazioni poetiche, cariche sia d’invenzione sia di storia, come se assistessimo a una straordinaria ouverture musicale sull’opera poetica che presto seguirà, con l’incalzare dei diversi motivi e contenuti poetici, sviluppati nel libro e già anticipati nel poemetto iniziale. Talvolta, come è nella mirabile poesia America, l’argomento unitematico dello sbarco di Cristoforo Colombo, che discende dalla Santa Maria nell’isola di San Salvador, si allarga a un’interpretazione esemplare del mito della rifondazione del mondo, dall’arca di Noè alla fantascienza dell’astronave, e diviene anche preveggenza dei fallimenti cui ogni palingenesi è destinata, se, come sempre è avvenuto, viene elusa l’unica parola di salvazione dal demonio, che è quella dell’amore pronunciata da Gesù.
La poesia di Giacomo Panicucci affascina per l’incalzante rapsodia del narrato che adombra favole ed episodi, vicende oscure di disperazione, fatica, dolore, droga, alternandole con sogni edificanti e con sviluppi di panorami naturali rasserenanti, fino a che negli occhi e nel cuore dei lettori prende corpo quel risultato di pienezza e di riflessione che era nell’obbiettivo dello scrittore: raccontare la macchina mondiale che trita e consuma la vita degli uomini e di tutti gli altri esseri animati, facendone uno spettacolare e imponente olocausto di dolore e di sangue, senza alcuna possibilità di riscatto o di fuga, al di fuori del sogno sempre irraggiungibile di realizzare in terra il puro amore tra gli uomini, che significherebbe il ritorno alla condizione edenica.

Sandro Gros-Pietro

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4 recensioni per Suite di prose liriche

  1. Giorgio Celli

    Con il titolo dell’opera Suite di prose liriche Giacomo Panicucci ci offre un ossimoro che in una commissione letteraria che deve giudicare libri di poesia fa sorgere un problema, perché la prosa non è la poesia e viceversa. È vero che esiste un genere intermedio praticato anche da illustri predecessori come Charles Baudelaire con i Petits Poèmes en prose e Maurice De Guérin con Le Centaure e La Bacchante, io però mi sono chiesto se per caso Suite di prose liriche fosse fuori tema. Allora mi sono posto questa domanda: in che cosa prosa e poesia sostanzialmente si differenziano? Sono arrivato a concludere che la poesia è una maniera di comunicare che ha un’assoluta prevalenza sull’emotivo: è cioè un’intensificazione emozionale che in qualche misura, come ha scritto Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone, aumenta la vitalità, fa sentire più vivi; mentre la prosa tutto sommato non è un modo per far aumentare la vitalità, ma per sollecitare l’immaginazione su qualche racconto e quindi favorire il ”volo della mente”, non tanto l’entusiasmo delle parti più antiche, più emozionali della nostra personalità. Ho quindi deciso che Suite di prose liriche non era fuori tema perché tutti i brani che compongono questo libro sono intensamente emotivi. C’è nella raccolta anche qualcosa di profondamente personale: ad esempio la poesia Alcool è una specie di tentativo di sublimare nella poesia quello che potrebbe essere un vizio, facendo questa operazione di salvataggio nel verso e fuggendo quindi da quello che in fondo potrebbe essere l’annegamento sul fondo della bottiglia… Ho poi avuto l’impressione che Panicucci le abbia definite ”prose liriche” forse perché secondo lui la poesia deve sorreggersi su uno scheletro metrico, mentre la prosa non ha questa necessità. Ma dopo l’invenzione del verso libero, a cominciare dal grande poeta belga Emile Verhaeren e poi Paul Fort, poeta francese quasi dimenticato che contribuì potentemente all’avvento del verso libero, questa differenza è andata sempre più vanificandosi. Rimane invece quell’esigenza di intensificazione emotiva che io trovo in Suite di prose liriche. . I versi di Giacomo Panicucci hanno inoltre una sorta di libertà assoluta ed è forse questo che l’autore scambia per prosa, ma la vera poesia è sempre espressione di libertà assoluta del linguaggio, soprattutto quella novecentesca, che ha superato lo schema metrico, avvertito quasi come impalcatura scomoda (sebbene in realtà ogni poeta avesse ancora la propria metrica). E anche Giacomo Panicucci ha una sua metrica molto particolare, che si fonda soprattutto sul ritmo e sull’estensione del verso: un verso lungo che ha per base l’esametro. Qualcosa di simile nella nostra letteratura l’hanno praticato Riccardo Bacchelli che fu soprattutto romanziere, ma che ci ha lasciato anche i Poemi lirici, un libro di poesia molto interessante e Cesare Pavese con Lavorare stanca. Se però nei riguardi di Bacchelli può esserci qualche analogia, nei riguardi di Pavese mi sembra che siamo sul contrario: perché mentre Pavese parla della vita quotidiana, il nostro Panicucci sogna e continua continuamente a sognare.

  2. Gianni Rescigno

    Leggere Panicucci è stato un grande piacere. Il suo libro ”Suite di prose liriche” è un racconto semplice, convincente, ricco di vita attuale con cieli ora azzurri, ora minacciosi, oscurati da nubi nate dalle irresponsabilità e dalle cattiverie umane; una storia, questa, che ognuno conosce, carica di lacrime, di dolori e sogni; un miscuglio di male e di bene, accompagnati da una musica magica, sprigionata da parole di vera poesia.

  3. Giuseppe Conte

    […] Moderno ma non conformisticamente novecentesco, proteso a dar voce a una poesia del futuro, che sarà visionaria e critica, intellettuale e vitale. Tendente insieme alla prosa e alla musica. Bravo. I testi che ho amato di più sono Nuvole (in sé una poesia potente e riuscita, molto bella, piena di soffio sinfonico), Fratello estasi, con immagini di grande effetto, Le ali di Icaro, una rivisitazione nuova di come possano essere usati gli archetipi del mito oggi e sempre. […] Giuseppe Conte

  4. Irene De Laude Curto

    Nell’approccio al suo libro ”Suite di prose liriche” sono rimasta affascinata dalla sua originale scrittura che è, sì, prosastica, ma anche intrisa dell’incanto sublime della poesia. Dall’insieme di queste prose – che svolgono tematiche gradevolmente variate – sono emerse alcune dal titolo suggestivo e da me preferite. Sono ”I misteri della vita” – ”Nuvole” – ”Là il tempo è sempre in fiore” – Nel leggerle ho sentito vibrare in me le stesse sue intuitive ed elaborate convinzioni e cioè che i veri simboli della vita sono il presente, il passato e l’avvenire, che ogni poeta rappresenta con la propria fantasia e qualità d’animo. […]

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