Prefazione

In forma di canzoniere, per sezioni e per schemi sintetici, si presenta questo agile libro di Poesia di Aldo Sisto, che ci racconta il significato e la ricapitolazione della sua vita interiore. L’atmosfera che predomina l’impostazione e lo sviluppo dell’intera raccolta è quella di una rasserenante conciliazione con la leggerezza e la gratuità delle vicende umane, da noi sempre vissute in modo drammatico, ma poi inevitabilmente destinate a sfumare nella totale irrilevanza dei loro esiti, siano essi gloriosi o al contrario siano oscuri, ma in ogni caso ugualmente dispersi nell’indifferenza metastorica che domina sul destino di ogni singolo uomo e dell’umanità in generale. C’è dunque un sorriso di arresa accettazione riguardante le sorti conclusive di questa meravigliosa esperienza che è la breve vita umana – per lunga che essa sia! C’è la sapienza di accettare le misure e i limiti che ci sono imposti dal logorio biologico che ci consuma, ma c’è anche la comprensione di avere ricevuto con la vita un dono immenso di partecipazione e di intervento personale alla conduzione dello spettacolo incomparabile della creazione. Si tratta di uno spettacolo continuo, che si rinnova sempre sotto i nostri occhi, nell’inanellarsi degli attimi, delle ore, dei giorni, degli anni, delle ere geologiche, delle dimensioni astrofisiche della materia, che ci coinvolgono in pieno, nel breve attimo che ci è concesso di partecipare come attori chiamati al concento dell’immensa creazione, per intervenire, per assistere, per capire, per “più vedere” – dice Dante! – per muovere un granellino di sabbia in più o in meno, ma nel quale è già contenuto tutto ciò che c’è nel creato, per cui il Poeta potrà giustamente concludere il suo libro con l’affermazione lapidaria e concreta “Il nulla / è uguale / al tutto. / Ed io sono nulla / ed io son tutto!”

La prima sezione del libro – Due passi in riva al mare – svolge il compito affidato all’ouverture nelle opere liriche, cioè si tratta di un’introduzione che già arieggia le suite che poi seguiranno, perché ne intona i motivi ricorrenti, ne marca l’ansia o all’opposto la levità descrittiva dei temi, ne campisce i contenuti, e via discorrendo. In questa sorta di introduzione lirica il Poeta è romanticamente aggrappato su uno scoglio ad osservare l’alba sul mare. L’alba, alla fine dell’ode, si confonde con l’attesa della notte, cioè con la conclusione dello spettacolo. Visivamente il lettore non può non richiamare alla mente l’immagine dell’eroe romantico, immortalato per sempre da Caspar David Friedrich nella celebre tela del Viandante sul mare di nebbia: egli osserva il creato, che è velato da uno schermo di nebbia che impedisce di farsi un’idea descrittiva della complessione del tutto, per cui bisogna lasciarsi condurre da una fantasia interpretativa dell’enigma che osserva. Qualcosa di simile, si ritrova anche nella visione di apertura descritta da Aldo Sisto, ovviamente non espres­sa in termini romantici, cioè senza quella tempesta e impeto – Sturm und Drang – che palpitava fieramente nelle “alme” dei nostri antenati, ma invece con quella vocazione al realismo magico e all’indagine psicologica che contraddistingue il milieu culturale dei poeti del Duemila. Si alternano i sentimenti dell’amore e della mor­te, in questa visione del “mare dolce e terribile / incantato e cupo / come i giorni d’ogni vita umana”.

La seconda sezione, intitolata S’approssima la meta, lascia intendere già dal titolo che si tratta di un avvistamento conclusivo del viaggio terreno, ma tuttavia non c’è sentimento di tragedia, ma al contrario aleggia un invito alla serena accoglienza, benché sia marcato da ironia sottile, “Come ti amo, Morte, / amica Morte! / Tu, amica di tutti noi, / tu, che non tradisci nessuno, / tu, promessa sposa / che non mancherai / di convolare a nozze”. Nella lirica Il sentiero in fondo al lago è sviluppata la metafora simbolica del lago come occhio rivolto verso il cielo osservato dal profondo degli inferi e dai precordi della terra, per cui tutti i sentieri e le erte di montagna che conducono verso le alte cime dei monti vengono, alla fine dei versi, quasi oscurati da un ultimo sentiero che conduce al contrario in fondo al lago, cioè all’occhio degli inferi. Particolare solennità e vigore di fede esprime la bellissima poesia Genuflesso davanti alla Sindone, già premiata al Concorso Nazionale Riflessioni sulla Sindone del 2015, che offre una riflessione di speranza e di poesia sulla “insperata […] visione / del volto del Signore”. Va det­to che il sentimento di religiosità come luce interiore dell’animo e come conforto della visione del sovrasensibile è un elemento fondamentale del credo del Poeta, che ha dedicato tanta parte della sua opera, poetica, narrativa e saggistica ad illustrare la figura divina del Salvatore.

La terza sessione, intitolata La freccia di Cupìdo, come è facile intendere, è un inno all’amore che si inserisce nella dialettica dei due argomenti fondamentali già anticipati nell’ouverture, e precisamente il tema dell’amore e quello della morte. “Ma io so che chi ama / non ama la perfezione / non ama il bello assoluto / non ama ciò che gli altri amano”, intona con entusiasmo il Poeta, che intende magnificare il volto umano e non divino dell’amore e delle sue manifestazioni. Così l’intera vita diviene una danza di gioiose occasioni e di sentimenti intonati alla spontaneità e alla dolcezza dell’amore. E nel succedersi delle liriche non mancano gli esempi commemorativi e le rimembranze dedicate al passato, tuttora presente e vivo nell’animo del Poeta. Tuttavia, poco appresso ecco che egli scriverà “Il bello sognato / s’appresta a morire / e la vita ricalca / il suo pas­so fatale”, parole che servono a pronunciare un monito ovvero un’attesa di continuazione della danza anche oltre la soglia della vita biologica, senza perciò in­vocare la dimensione della divinità, e neppure la visione angelicata del paradiso, ma al contrario continuando a perpetuare quel gioco dei sensi e dei sentimenti che è stata la gioia della vita e che miracolosamente ci si augura continui anche oltre la vita stessa. In questa proiezione ad oltranza della vita oltre la vita quasi si potrebbe scorgere un erudito richiamo all’opera singolare di Camille Saint-Saëns, la Danse macabre, in cui si descrive come i morti siano lieti e gioiosi della loro condizione, che festeggiano con attività di danza e con balletti vari. Non v’è, dunque, languore, mestizia, malinconia e afflizione nella visione della morte da par­te del Poeta, ma semmai un ultimo gioioso invito all’eterna danza dell’amore: “Almeno tu, amore, / del­l’universo vita, / accostati a quell’uscio, / varca quella soglia / una volta, una soltanto, / una, forse l’ultima”. E tuttavia non manca la nostalgia dei ricordi focosi, della sensualità gioiosa della carne, dei momenti balenanti e fulgidi di felicità e di intensità emotiva, affrancati da ogni legge comportamentale e vissuti solo nel nome dell’amore che rende possibile anche ciò che è condannato dalla logica comune: “Una sgualdrina non è don­na? / Una sgualdrina non ha anima? / A una sgualdrina è vietato amare? / Quale atroce condanna è questa!”

La breve sezione Poche note riprende nuovamente il tema appena accennato, quello della continuazione della vita e il risorgere della gioia e dell’ebrezza grazie, questa volta, al sortilegio della musica e del canto, che sono entrambe delle meravigliose e uniche attività umane, non ricevute in dono dalla creazione originaria, ma sviluppate nei secoli dalla cultura uma­na, fino a farle divenire dei meravigliosi apporti di stupore e di magia nel grande spettacolo universale della creazione. In questa sezione si distingue particolarmente la lirica In ricordo di Claudio Abbado, come omaggio reso a uno dei più prestigiosi interpreti del patrimonio universale della musica scritta dall’intera umanità nei secoli.

Nell’ultima sezione, che si intitola Per ogni dove un po’, trionfa l’atteggiamento del flâneur che osserva il mondo in cui vive come se egli fosse un ospite di passaggio destinato a fermarsi per poco tempo e, quindi, desideroso di riempirsi gli occhi di immagini, il cuore di sentimenti, la mente di riflessioni, i polmoni di profumi, odori, essenze inebrianti e le orecchie di suoni armoniosi. Questa grande celebrazione della gioia del vivere, ancora una volta, è condotta con la coscienza illuminata dalla caducità dello spettacolo continuo a cui il Poeta assiste e al quale anche partecipa come attore chiamato a intervenire nella dinamica della rappresentazione che si sta compiendo, in un clima di vivida e alacre convinzione per l’importanza e per la bellezza del progetto, ma tuttavia anche nella ragionata consapevolezza dell’imponderabile nullità del tutto. Sono pagine di una poesia splendente di pacato ardore, che rendono unica e vibrante la voce di Aldo Sisto sul doppio tema della morte e della continuazione della vita.

Sandro Gros-Pietro

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