Prefazione

Il prorompente eclettismo di Davide Riccio rappresenta un caso del tutto singolare nell’attuale panorama poetico italiano. Una personalità a caleidoscopio, ma sottesa intorno a due fuochi: poesia e musica. Viene alla mente, tra i personaggi universalmente famosi, Leonard Cohen. Serve a dare un’idea dell’estro, del timbro di voce, un poco cavernosa e gutturale, ma con possibilità di slanci baritonali, nonché la ricchezza degli strumenti musicali di ultima generazione, con suoni elettronici, sorretti dal trionfo della chitarra, molto ritmo, molto accompagnamento. Come poeta, per dirla tutta, vale l’atmosfera vagamente alla Edgar Allan Poe ricostruita da Howard Phillips Lovecraft in Je suis d’ailleurs, dicasi L’estraneo: un eremita nello spirito e un guascone nella convivialità, che non è mai al suo posto. Grande scapigliato della letteratura, cacciatore raffinatissimo di vocaboli rari: per fare qualche esempio, si pensi a Carlo Dossi e a Emilio Praga. Abile architetto di nonsense e calembours, tipo alla Ennio Flaiano e Giuseppe Prezzolini, ma anche in esempi più bassi e più moderni, come la giornalista londinese del Times, Caitlin Moran, pubblicata in Italia da Sperling & Kupfer: Come si fa ad essere donna? Ci vogliono le palle per essere una donna. Viene in mente anche Cesare Zavattini, a essere sinceri. Comunque, Davide Riccio se ne discende sul suo battello ebbro lungo il torrente del decadentismo e se li beve tutti quanti, dal verde assenzio reclamizzato dal Duo Suole di vento di Rimbaud-Verlaine per arrivare fino al Whisky and Beer di Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti, in City Lights.
Davide Riccio è sicuramente un poeta, con quel suo atteggiamento da corsaro della Riviera dei Fiori anziché delle Antille, forse meno spavaldo e meno feroce, ma altrettanto fuori dai canoni, perché di mestiere lui è un libero pensatore, attività che oggi è non solo quasi totalmente estinta – come lo sono i panda giganti – ma è anche decisamente collocata fuorilegge, cioè ignorata dal sistema editoriale, che tiene in uggia i poeti legislatori del cosmo e vuole pubblicare solo i poeti interpreti. Sono poeti interpreti quelli che traducono in linguaggio poietese la quotidianità straccia della televisione e dei supermercati: uso il callifugo A, bevo la bibita B, vado in vacanza con C e faccio l’amore con il preservativo E. Sono quattro tematiche di dozzina, tutte Nature and Peace, che fanno tanto felici i banchieri di Wall Street, messi a dirigere il sistema della modernità. I poeti legislatori invece sono praticamente estinti, esiliati dal sistema; i superstiti vivono in underground, e sotto mentite spoglie, come George Orwell aveva previsto che sarebbe avvenuto, nel suo romanzo 1984. Il motivo dell’esilio consiste nel fatto che il poeta legislatore, anziché compiacersi della televisione e del supermercato, continua a masturbarsi idealmente eccitato dal pericolosissimo imperativo dell’oracolo di Delfi, conosci te stesso, così caro a Socrate, per cui apre il vaso di Pandora e lascia uscire fuori tutti i mali del mondo moderno, che non sono una buona mercanzia da collocare negli scaffali del supermercato.
La ricchezza della Poesia di Davide Riccio risiede nella varietà delle tematiche e nella differenziazione dei toni. Le tematiche sono totalmente ispirate dall’esplorazione senza tregua dell’immenso orizzonte dei libri: un sapere vasto e sconfinato, in cui tuffarsi con l’intento principale di compiacersi della genialità degli uomini che sono stati migliori di noi. È questo e non altro l’unico atteggiamento che può coltivare un poeta legislatore, conscio di essere davanti allo scandalo inguaribile della vita che si consuma invano ogni giorno che passa: non c’è altro da fare che godere del genio di chi ci ha preceduto e di quei pochissimi geni che sono nostri contemporanei. Diviene assolutamente inevitabile accogliere l’ironia verso sé stessi e verso il prossimo come l’unico viatico da portare appresso in questo viaggio di consapevolezza dentro la vita, tanto bella quanto brevissima e assolutamente ininfluente sul compimento dei destini del cosmo. La differenziazione dei toni, invece, rappresenta la genialità del grande attore, cioè di colui che agisce come facitore sul boccascena del teatro del mondo, cioè il poeta libero pensatore capace di essere legislatore e artefice del suo spettacolo, per cui diviene mattatore e istrione. Il poeta usa gli stilemi e i canoni; usa l’arte come il solo vestito da indossare: lui è tutto creatività; lui è solo metafora, solo finzione; lui è recitazione e invenzione continua. Di autentico c’è solo un piccolo particolare: il suo immenso, irredimibile, incurabile dolore di essere scarsamente fungibile, a qualsiasi titolo.

Sandro Gros-Pietro

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Scrivi per primo la recensione per “A qualsiasi titolo”

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati