Prefazione

Quello di Dora Mauro è un romanzare pacato, delicato, di ricordi, di idilli, di sensazioni e di situazioni che si dipanano e si districano all’ombra delle montagne, degli alberi, delle vie ove sono ambientate e prendono vita. L’inchiostro della penna dell’autrice si sparge tra le persone, semplici ma ricche di storie da raccontare, fra gli incontri che animano lo scorrere della vita quotidiana della gente. Perché, in fondo, non c’è spettacolo più bello di quello offerto dal teatro della vita, fra le sue mille sfaccettature, fra i suoi gesti, fra le sue “entrate in scena”: un teatro di piazza, un’agorà in cui i personaggi agiscono secondo la logica più semplice, essere se stessi.
Manca qui ogni finzione, ogni costruzione, persino una trama delineata e ben precisa dell’opera: ed è proprio l’esperienza personale dell’autrice – instancabile voyageur – che la porta a tessere un racconto di cui il Caso e la spontaneità dell’individuo sono i registi.
Leggo in Dora l’entusiamso di chi, dopo aver a lungo viaggiato, finalmente si ferma e si sofferma a raccontare delle “piccole cose” che animano i minuti paesi, in apparenza scontrosi, appartati e che scandiscono il procedere della vita, fra sorrisi e amichevoli incontri.
Non dobbiamo però leggere, fra le righe, una bonaria raccolta di eventi, ma cogliere la leggerezza che l’uomo può e deve trovare in ogni infinitesimale momento del fluire della propria esistenza: ecco che le lettere, le frasi e i racconti di Dora diventano una valida parènesi al lettore, ma, più in generale, all’uomo d’oggigiorno e alla sua incapacità di vedere e scoprire quale preziosa gemma sia la semplice quotidianità.

Emanuele Bosio (Studente del 5º anno al liceo classico “Carlo Botta” di Ivrea)

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