Prefazione

La poesia di Miriam Pierri è caratterizzata dalla visionarietà e dalla rielaborazione surrealista dei sogni o degli incubi, che possono anche divenire autentiche allucinazioni artificiali. Anche l’espressione formale risente di questo processo di alienazione dal mondo reale, in quanto il linguaggio poetico adoperato è volutamente deragliato dai binari consueti della letteratura, e procede con la forza dirompente del fiume uscito dall’alveo, tale che inonda di sé ogni spazio del dicibile. La dimensione della Poesia in Miriam Pierri è, dunque, abbandono e contemporaneamente potenziamento della realtà, in quanto la Poetessa si lascia alle spalle la concatenazione logica di causalità dei fatti e delle azioni del mondo reale e si inoltra nello stadio potenziato di illustrazione e di interpretazione del mon­do. Forse, più semplicemente si tratta di un’estasi creativa e referenziale: una documentazione ispirata e ammirata di ciò che si trova a oltranza dove non esiste più nulla, al di là della fine della terra, oltre il territorio della ragione, negli infiniti vapori esalati dal linguaggio delle parole, dalla sublimazione dei pensieri, dalla ricaduta o trasposizione o traduzione nella scrittura delle emozioni più enigmatiche e nebbiose degli stati emotivi, delle passioni, delle intuizioni più ardite e geniali. Non si tratta di una poesia di confine, ma è bene di più: siamo sicuramente di fronte a una poesia al di là dei confini, cioè spinta in un’astrattezza che nasce dalla disarticolazione dei nessi, dalla fusione delle forme, dall’evaporazione elusiva dei significati deputati non solo delle singole parole, ma degli interi costrutti mentali. L’idea è quella di un materiale letterario pericolosamente esplosivo, detonante, propulsivo e dirompente, capace di frangere i cassettini, le casellette, le stanze memoriali, i grandi magazzini del sapere in cui tutto è custodito secondo un categorico metodo d’ordine a tale punto coprente da trionfare sulla realtà del mondo. Come se la poetessa avvertisse i lettori che noi, uomini colti del ventunesimo secolo, non osserviamo più il mondo che ci circonda, ma ci interessiamo solo del nostro metodo, del nostro linguaggio, delle forme artistiche e matematiche con cui descriviamo il mondo. È la visione di Emilio Salgari che descrive la Malesia e l’isola immaginaria di Mompracem – che tuttavia sembra esista davvero, anche se deve avere un’altra denominazione – senza esservi mai stato e senza che l’isola appartenga realmente al mondo conosciuto, ma semplicemente rovistando per carte geografiche e per diari di viaggio in paese esotici. Una visione al cannocchiale: difficile dire se, in tale modo, la realtà diventa più vicina o più lontana. Dipende, forse, da come si usa il cannocchiale, per il verso dritto o per il rovescio, ottenendo i due effetti opposti. Ed è esattamente quanto accade con la poesia di Miriam Pierri: la realtà del mondo, nei suoi versi, si avvicina a noi fino al punto di apparirci incombente in un modo asfissiante e pauroso, ma è anche vero che si allontana da noi fino al punto di apparire completamente inagibile e irraggiungibile. Tutto ciò contribuisce a creare quella sensazione di spaesamento e di estraneità che la poesia di Miriam Pierri suscita immediatamente nel lettore che vi si avventura dentro. Non ci sono facili esempi di scritture poetiche orientate in tale senso. Certo, per quanto attiene all’atmosfera di visionarietà e di sogno, viene alla mente Dino Campana, mentre per quanto attiene alla deregulation cioè al sovvertimento delle regole del linguaggio viene in mente Amelia Rosselli, ma si tratta di collocazioni molto grossolane, perché Campana è ispirato a una dolcezza armonica e quasi elegiaca delle sue visioni che si colloca lontanissima dal caotico e demoniaco incubo da inferno dantesco dentro il quale si muove l’evocazione poetica di Pierri; inoltre, Amelia Rosselli scardina le parole e le forme morfologiche con il preciso intento di farle funzionare meglio, in modo più allusivo, più immediato, più materico e suadente, ma non con l’intenzione di frantumare le fibre del ragionamento logico, come invece intende fare Miriam Pierri.
Il libro Albero crociato e altre raccolte, in verità, contiene tre diverse raccolte di poesie. La prima è quella eponima, la quale a sua volta si compone di tre sezioni diverse, Errore, Cambiamento e Resurrezione, ciascuna delle quali contiene sei poesie. Già in questa attenzione alla struttura, si denota da parte di Miriam Pierri l’intenzione di alludere alla cabalistica, poiché elle mette insieme la trinità con il sei, sei e sei, il 666, il numero del demonio. Ma anche il titolo, albero crociato, suscita il ricordo automatico dell’albero della conoscenza del Bene e del Male collocato nel paradiso terrestre, i cui frutti erano proibiti ad Adamo ed Eva. Tutto il libro, del resto, assume i toni di un linguaggio profetico, perché sviluppa enfasi pluriprospettiche e multiformi, adattabili a diversi interpretazioni, ma comunque proiettate a descrivere il futuro, con una strisciante profezia, che si sviluppa, tuttavia, sovente rivolgendo gli occhi al passato, magari biblico, con la figura di Lazzaro, o mitologico con i personaggi di Icaro e Prometeo, ma immersi in un ambiente fantastico, in cui vi è una natura colorata fatta di erbe comuni e verzicanti, di issopo e di fresia, ma anche infestata da lupi famelici e da un brulichio fremente di insetti, cavallette e formiche, in un panorama artistico e cittadino di archi e di rovine, in cui sovente si appalesa la morte a fare il suo mestiere di disfacimento della vita e di resurrezione, con un nascondimento delle emozioni umane dietro una maschera che capolina nei versi con una certa continuità.
La bellissima serie delle quarantuno poesie, contrassegnate con numeri romani, che compongono la raccolta Tema e varianti è più votata all’osservazione dei fatti del mondo e della vita quotidiana e ha come pensiero dominante il grande dramma ed enigma dello scorrere inesorabile del tempo, che fu elemento di grande riflessione ed ispirazione già in Mario Luzi, e che in Miriam Pierri è simbolizzato dal proverbiale insetto anobio volgarmente detto tarlo, anche metaforizzato come l’orologio ovvero la clessidra del legno, per quel caratteristico scricchiolio regolare che hanno le larve di corrodere i mobili all’interno emettendo una sorta di caratteristico rumore, simile al ticchettio dell’orologio.
Di altissimo pregio sia creativo sia linguistico e letterario è il poemetto bilingue, in inglese e in italiano, denominato Enrico’s crying ovvero Il pianto di Enrico che è una rappresentazione poetica del mondo popolato da incubi e da ammaliante disperazione sirenica, che conduce definitivamente alla morte, dei paradisi artificiali oppiacei e in particolare modo dell’eroina, derivata dalla morfina e quindi sempre dall’oppio. Tutte le poesie sono bellissime, sia nella dizione in italiano sia in quella in inglese, ma paiono particolarmente affascinati La casa di alabastro / The house of alabaster e Una bambola di cera / A wax doll.
La poesia di Miriam Pierri, nella sua complessione sognatrice e visionaria, rappresenta sicuramente una delle espressioni più alte e più riuscite della poesia italiana del nostro tempo, svincolata dalle prigioni della ragione e dai percorsi occludenti del linguaggio, e si realizza in una totale libertà della forma e del contenuto, particolarmente sensibile e indagatrice, fino al punto di esprimere le vertiginose inconcludenze della follia, ricche di fascino e di sorprese incantatrici.

Sandro Gros-Pietro

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