15,00 €
Autore: Edith Dzieduszycka
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Le Scommesse, 641
Pagine: 156
Pubblicazione: 2021
ISBN/EAN: 9788874148448
PREFAZIONE
A Edith Dzieduszycka
risalita dalle care o più aspre ombre
alla linfa fervida di Luce
L’incipit è cautamente ironico, ma insieme acceso da una fortissima volizione conoscitiva. Tempo, spazio… qui per fortuna saltano, ruotano, sfumano o si sbriciolano, così come tutte le altre risapute, ma in poesia sterili categorie: tutte tranne le direttive, i punti cardinali irrinunciabili della mente e del cuore, della fede che si fa pensiero…
Minuti
cinque
mi do cinque minuti
minute briciole rubate alla ragione
per estrarre
furtiva
…
Curioso annotarlo, ma qui Edith Dzieduszycka pare animata, suffragata da una di quella istintive, connaturate illuminazioni care a Leonardo, che fra pensiero e ragione, corpo e anima, non pone giustamente confini, ostici e dottrinali, ma riconduce semmai il tutto al flusso sacro e concreto degli eventi umani, d’ogni destino armonioso perché umanato: “Il corpo nostro è sottoposto al cielo e lo cielo è sottoposto allo spirito.”…
Forse davvero, ciò che lei ha scritto, o ancora sta scrivendo, distillerà ispirata a oltranza – così come io davvero l’ammiro, la sento vivere – sarà una continua e ben lieta sorpresa, anche per tanti critici ormai stanchi o delusi, purtroppo adusi alla mediocre, troppo spesso affettata o recitata produzione corrente…
Elevare invece a sistema, immaginativo e sensoriale, emotivo ma per ciò stesso etico – ecco il gesto, il metodo, il rischio finalmente salvifico! – poche minute briciole rubate alla ragione; ma più ancora (sembra una finissima movenza, adorabilmente femminile, da quadro di interno), estrarre / furtiva / dalla mia cesta / un frutto / un fiore // perché no un pensiero // con cui giocare / inventare una storia / risvegliare i tizzoni…
E non è finito: né l’arduo, avvolgente proposito di decifrare il visibile, il vissuto, il percepibile; né il gioco serissimo, insieme reale e sognante – dunque vissuto quasi due volte:
e se non ci riesco
spengere la candela
per nel sogno afferrare
l’invisibile filo
che mi ci porta.
Aleggia Shakespeare, il che non guasta (“Spengiti, spengiti, breve candela”… Macbeth; “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”… La tempesta): ma quell’imperativo dolce e suadente – nel sogno afferrare – e per giunta l’invisibile filo / che mi ci porta – ma soprattutto la clausola finale (… e se non ci riesco / spengere la candela…), ci conduce lieti, e nuovamente, a una delle più lampeggianti profezie, favola versificata dell’universale genio di Vinci:
Il lume è foco ingordo sopra la candela.
Quella consumando sé consuma.
Anche la Vita Nuova, il primo testo di Dante, breve e magistrale (ininterrotta dedica alla sua Beatrice, o Bice, Portinari), comincia con un sogno. Denso, forte, nitido ma irrelato: “Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa”…
Nel sogno afferrare… La poesia, insomma, come un irrinunciabile, ma anche impalpabile sogno della Ragione?…
dondola
cieca e muta e vuota
la mia barca
sulle acque fangose del travaglio lunare
Questo nuovo libro di Edith Dzieduszycka, fumigante tra sogno e realtà, nel poetare e afferrare di continuo l’invisibile filo che ci trascina, ma almeno non ci fa smarrire, è testo raro, diamante d’eccezione: è il suo sogno coniugale, trasposto e interminato di Michele (forse perfino vicendevole – quello che Lui potrebbe riflettere e divinare arcano di Lei: sogno scambiato, diciamo pure, dal cuore all’iperuranio…).
Di libri, Edith ne ha scritti tanti, sempre buoni, “abili”… Ma Alghe e fanghiglia rivela, e possiede davvero, qualcosa di più: qui le parole, lo ripetiamo, sono sogni, fanghiglia onirica e detriti d’archetipi, figurazioni, tessuti di pelle, derma sacro dell’anima… I sogni del giorno ripensati, raddoppiati, filtrati e risognati la notte… “quei sogni del giorno che vorrei cancellare”… Effusi eppure concreti, materializzati per un traslato invece di pura essenza…
ma nel buio rimangono
ostinate presenze dall’andare felpato…
Ho memoria di cose impercettibili
cose che di noi
solo noi sapevamo
cose di tutti i giorni
scevre di lassitudine
cresciute insieme a noi
rosario d’abitudini
segreti dell’amore
e della tenerezza
gesti riti sapori
sepolti insieme a te.
***
Edith scrive sempre, in fondo, preghiere laiche. Con la bellezza di una fede vera nella vita, che l’ha fatta bella. E l’ha resa, diciamolo, vedova ma eterna cantatrice di Bellezza – un soprano dispiegato o sottaciuto, sussurrante, dell’Essere; ma che, per farlo bene, cantarsi in ogni nota della vasta, irripetibile partitura che ci è concessa, deve attraversare, esplorare e varcare fino alla Luce tutta una nuova Genesi, una caverna inselvata di Dolore.
Barriera o capolinea
il fermo credere di avere raggiunto
dell’abisso
il fondo
Certezza all’incontrario
diversa fede
di altra convinzione il rovescio?
Avventurarsi al buio a piedi nudi
su terra sconosciuta
Non ho io certezza
né quella né il suo contrario
Mi meraviglia il solo vivere.
Leggere, risalire, liberarsi da queste Alghe e da questa fanghiglia: ma come se si potesse, si riuscisse realmente a immaginare una discesa di Beatrice nell’inferno del mondo… Mai in fondo era stata scritta, forse nemmeno immaginata… per la Creatura che discesa a miracol mostrare, additava e aiutava solo e sempre a salire, ascendere, elevarsi al Bene (molto al di là delle eterne, fin troppo illustri biografie poetiche, gli sliricati romanzi esistenziali delle grandi poetesse del ’900, per cui la vita è stata inferno, talvolta purgatorio, quasi mai paradiso di luce: dalla Achmatova alla Cvetaeva, da Amelia Rosselli a Sylvia Plath, dalla Bachmann alla stessa Alda Merini)…
Dentro sé stesso
scendere sul fondo irraggiungibile
e nel mentre raspare
incrostazioni
ruggine
asperità e nodi
frugare ogni livello
senza tregua forare
fintanto si riesca
a strappare alla melma
filamenti
scintille
de sé l’essenza ancora ignota
Scendere invece in semplicità – umiltà sofferente e all’unisono, al contempo perfecta letitia, forse francescana o quasi d’inconscio –: ecco il nuovo umile ma destinato miracolo, fino alla sorgente angusta, petrosa della Luce (come una vena prodigiosa d’acqua, prima incredula, errabonda di malessere, peregrinante attraverso e dentro decenni che sono stati, ma non sono più): e da lì, proprio e solo da lì, ripartire, alfabetizzare il cuore, le movenze o mancanze dell’anima; per meritare, investigare questa volta un Linguaggio, finanche poetico, che non sia mai più semplice, statica eredità acquisita, preziosità ricevuta: ma un qualcosa di nudo e cruciale da ritrovare, recuperare e meritare proprio grazie e lungo il percorso.
Da siffatti detriti
scandagliati con cura
speri di ricavare facendone tesoro
evanescenti tracce
indizi insoliti
fanghiglia fatiscente
movenze subdole del tuo fermentare.
La chiave di quel racconto
la teneva mia madre
nella tasca profonda del suo vestito
oramai troppo grande.
Ogni tanto la sera
vicino a lei esausta
noi cinque donne – io la più piccina –
presente e bruciante l’assenza di mio padre
sentivamo incredule la storia tragica
dei quattro mesi d’incubo
nel luogo da lei chiamato
Casa delle sofferenze.
……………
Per i miei cinque anni
regalata mi fu una colomba bianca
bestiolina gentile che nominai Justine.
Aperta la sua gabbia svolazzava felice
andando a posarsi sulla spalla o la testa
di chi la invitava.
***
Edith ha sempre fatto questo, con le sue poesie: ha ordito, costruito, inanellato un percorso che ora, finalmente, riusciamo in toto a riaggregare in progetto, a svelare vastissimo e minuziosamente rimettere a posto, orchestrare insieme… Come fosse l’architettura, il meritato miraggio d’un Golfo Mistico, e non più l’orrido o incubo inesorabile, i baratri intermittenti e romanzeschi della Vita, la pena insieme di Essere e Tempo, e insomma il novecentesco, fastidiosamente assuefatto ormai, ma in ogni caso dissonante, malinconico, male di vivere… E nostro (in)civile teatro dell’Assurdo…
Stanze della mia anima
innumerevoli
sparpagliate smaniose
intorno al nocciolo
riluttanti alcune
si chiudono a riccio
e si ritraggono
ferite per il graffio di un respiro
percepire il ronzio che lancinante
sale dall’oscuro cespuglio del nostro sottobosco
attenti coricarsi
contro il corpo assente
di semi gravido della nostra anima
cullarli
farli crescere o sradicarli
creature selvatiche.
Continua il ribaltamento: se qui, più che altrove, Edith ha presentito e sofferto davvero come una drammatica, inopinata Comoedìa anche di Beatrice, discesa agli inferi e poi risalita dalle care o più aspre ombre alla linfa Luce, in un purgatorio di saggezza e verso un paradiso che non ha altri confini e braccia a noi protese che il vero Amore, il coniugio mai terminato se adempiuto, miracolato promessa dopo promessa; e la promessa, come Anima o Poesia sancita, ci incorona, qui la fa umile Regina, piccola sovrana del Bene, ecce ancilla Boni…
…
cambiando l’emisperio, si dilibra,
tanto, col vólto di riso dipinto,
si tacque Beatrice riguardando
fiso nel punto che m’aveva vinto.
Poi cominciò: “Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto
là ’ve s’appunta ogni ubi e ogni quando.
(Paradiso, XXIX, 7-12)
Qui, più che altrove, ogni poesia è un fazzoletto con cui Edith/Veronica ha nettato, asciugato non le lacrime e il sudore sanguinolente del Cristo che è in ogni povero cristo, uomo che soffre (il compianto Michele) – ma sopra il suo stesso, caro e docile viso angustiato nel breve ma pungente Calvario quotidiano che troppe volte ci risucchia, ci lambisce, ci reclama a conoscerlo, il Dolore: e come Dio, non nominarlo mai invano…
Si pesa la sofferenza
si misura il dolore
Per fare statistiche
si calcola con cura
la conta dei dispersi
E del sangue che gronda
come formula vuole
del sangue che si fa?
***
Nominalismo per nominalismo – e tornando al titolo, Alghe e fanghiglia, qui le alghe (ben al di là della loro sempre maggiore importanza dietologica e nutritiva: quasi una scommessa per il futuro) richiamano e rimandano alla pura e acquatile essenza del sogno, alle ombre cupe o verdeggianti, rischiarate nella notte blu d’ogni sana, sacrosanta deriva onirica…
Per il piacere insano di rimestare
ho grattato il fondo della mia memoria
e raschiato la crosta alle sue pareti
concrezioni grigiastre incistate al punto
di diventare pietra
ne ho estratto i sogni rimasti lì sepolti
lividi bozzoli sonnolenti nel buio
……………….
Nell’alba appena schiusa seminava il grano
sul fazzoletto angusto del loro campo
ove con millenaria e sagace perizia
alla terra matrigna cercava di carpire
il cibo necessario alla loro sussistenza.
Caro lo pagava con una schiena curva
la camicia sudata e le mani callose
ma con la mente libera.
E i detriti spesso nominati, perfino invocati, nella fitta trama del libro, rimandano forse ai fascinosi e inquieti metodi artistici, espressivi, di chi col materiale, solo col materiale di recupero, ha avuto voglia di continuare a intavolare, osare un onesto e nudo discorso espressivo. Pensiamo, tanto per dire, a Jean Dubuffet… insomma a tutta una certa art brut che in nome della spontaneità del bambino, del semplice, perfino della pazzia, e contro l’imperio intellettualistico dell’astratto, la moda dell’informale… raccoglie scaglie e scorie e le reinventa, le rinnova a graffito, un po’ come in fondo facciamo con le parole dei nostri stanchi e frustri alfabeti, specie poetici…
è sparita anche quella
risucchiata nel gorgo in cui spariscono
d’una memoria labile i ritrosi detriti.
Lo capì del resto Eugenio Montale già all’inizio del secolo scorso (Ossi di seppia, 1925),quando l’Europa, in piena, tronfia e contagiosa retorica fascista, invece di darsi pace dopo la Grande Guerra, preparava accuratamente, proditoriamente, un altro Conflitto Mondiale, assai peggiore del precedente:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato……
***
Potessimo estrarre
dalle parole dette
lette o sentite
un materiale denso
corposo nutriente?
Sarebbe forse miele
brodo
carne al sangue
pietanza urticante che brucia
e consuma
Invece è solo aria
che si perde nel vento.
Allora, se la parola – le parole – non giungono più ad aprirci il mondo, tutti i migliori mondi possibili, valgano, restino almeno a redimerci il male e i travagli, ad aprirci e riaprirci il cuore… Il cuore risanato:
Tranquilla va lasciata la crosta d’una ferita.
Non va sollecitata
sollevata
strappata
facendo sanguinare nuovamente la piaga.
Le alghe e la fanghiglia di Edith sono gli stessi, sempiterni, scarti o detriti del mondo – dunque anche gli stessi, i medesimi nostri, ansie o gemme schiantate, virgulti feriti eppure anche e ancora fiori da far fiorire, e soprattutto capire, carpire dentro.
Quante storie galleggiano
in fondo a precipizi
storie da raccontare
se ne rimane vivo
il ricordo
la sera
in cerchio rannicchiati
davanti al camino
Capirli voci e volti, parole cui rispondere, con cui dialogare anche in silenzio, o nell’essenza di un Paradiso – cantava Sandro Penna – “altissimo e confuso”… Questo l’insegnamento più bello del libro di Edith, che è anch’essa umile allieva della Vita arcinota, e ancella dell’Ignoto:
Non è presuntuoso
parlare e scrivere di quello che non c’è
discorrere d’ignoto
che tale e quale sempre
– lo si sa – rimarrà?
Alghe e fanghiglia della Storia, di ogni storia piccola o grande che ci chieda di non essere pavidi mai più, o peggio indifferenti agli oltraggi all’Uomo, al Bene…
– Che notizie mi date dal fronte degli eventi?
Ci chieda, esiga piccoli e buoni e sani eroismi quotidiani, anche quello di raccattar parole, raccoglierle, carpirle (e prima sceglierle, onorarle, staccarle, strapparle via da l’orlo bavoso e muto della memoria) come i fiori di campo che si portavano poi a casa, o si donavano in convegno campestre o cittadino agli amori semplici e assoluti, fidanzati al Tempo che non delude, se sconfina sempre e solo nella Luce.
Ali sul mio collo
ricordo le tue mani.
Poi confluisce, d’acqua dolce, nell’immenso oceano: salato dell’Ignoto.
(agosto/settembre 2019)
Plinio Perilli
Anno Edizione | |
---|---|
Autore | |
Collana |
10,00 €
10,00 €
Recensioni
Non ci sono ancora recensioni.