Prefazione

Negli Amari versi del poeta torinese Franco Sorba c’è l’immediatezza espressiva dell’attualità e dei tempi moderni, con la trattazione delle tematiche che vediamo ogni giorno fare capolino sui giornali ossia l’emigrazione, le guerre nel mondo, la violenza metropolitana, l’inquinamento dei mari e del cielo. Il linguaggio poetico impiegato è quello dei cantastorie popolari di antica memoria e di grande efficacia, parole semplici e concrete, che a quel tempo venivano organizzate in endecasillabi rimati in ottave e ottavine, da cui è successivamente disceso il filone dei grandi poe­mi cavallereschi della nostra letteratura di Ariosto, Boiardo e Tasso.
Franco Sorba esprime la voce dell’uomo comune che vive in una qualsiasi media metropoli dell’Unione Europea, nel caso specifico si tratta di Torino, il capoluogo padano più attorniato dalle Alpi. Un omaggio alla Città è già espresso nella prima poesia, concepita in lingua piemontese e poi tradotta in italiano. Come bene si sa, il dialetto piemontese, in verità, è una vera e propria lingua, perché possiede una sua letteratura scrit­ta, anche se è assai differenziata l’espressione fra i diversi ceppi linguistici diffusi sul territorio.
Uno degli argomenti più ricorrenti di Franco Sorba è l’amore verso la donna, che sovente si risolve nell’illustrazione dei “contrasti” che alimentano il dialogo di attrazione e di opposizione tra le due metà del cielo. Anche sotto questo aspetto, Franco Sorba recupera un’antica tradizione della letteratura italiana e provenzale in particolare modo, nonché ripresa dalla Scuola Siciliana, promossa dall’imperatore Federico II, lo stupor mundi, con i “contrasti” d’amore di Cielo D’Alca­mo, tra cui celeberrima è la Rosa fresca aulentissima, simbolo floreale dell’intimità femminile.
Può anche succedere che l’immagine della donna tratteggiata nei versi scabri e possenti di Sorba assuma la rappresentazione cruda della cortigiana di strada, consumata dal mestiere, come si legge nella poesia Riflessi, che rappresenta con verismo il degrado nel meretricio, “La donna seduta / sul marciapiede / usata e stanca / segnata / da un carnale e violento passato / ricorda solo / le luci di strada / e i bagliori dei fari”. Talvolta, invece, i versi descrivono la casualità del destino che può portarci il dono dell’amore in uno dei luoghi più romantici del mondo, come si legge in Febbraio a Venezia, “Leggevo distratto qualcosa / mi scontrai con il tuo morbido corpo / su un canale romantico, i tuoi occhi / le mie scuse, le tue scuse, un caffè / quell’incontro casuale fu la vita per me / cancellasti la mia maschera sarcastica / al suo posto subentrò la tua bellezza / mi nutrii del tuo intenso amore”.
Indicativo di un contrasto ossimorico, tipo il ghiaccio bollente, è il testo Passione, “Il tuo corpo / violato e indiscusso / reclama / parole di ghiaccio / per placare / l’onda di carne / possente / e il vento travolto / dal desiderio / inatteso”.
Il contrasto si sviluppa anche nella formulazione dei desideri, con pulsazioni di attrazione e di repulsione, come è bene esposto in Patto d’addio, “Stordisci la mia anima / con un ricordo fragoroso / baciami / con le tue labbra fantasma / suonami / la tua musica nelle vene / solo così / potrò vivere in pace / senza pensare a te / che sarai per sempre lontana”.
Anche la natura ha un posto di preminenza nella poesia di Franco Sorba. La descrizione di località in­cantevoli, in cui la natura affascina con la luminosità e varietà di colori e di riflessi, è presente nelle poesie Grecia, Maldive e Acque salate, quest’ultima essendo allo stesso tempo sia un paesaggio della natura sia un paesaggio dell’anima, “Ho gli occhi colmi di onde / che domai infinite volte / dai gotici scogli dell’anima”.
Franco Sorba scrive “il poeta / vive in un sogno / l’universo intero, / la poesia creata / diventa un diritto di tutti / e donarla / regala la gioia più grande”, per definire il poeta come un novello Prometeo che dona agli uomini la luce e il calore non già del fuoco come fece il titano della mitologia greca, ma offre la Poesia che dovrebbe essere alfiere di progresso e di civiltà.

Sandro Gros-Pietro

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