PREFAZIONE

Tutto l’universo è andato in frantumi, lo specchio connettivo che lo rifrangeva nella nostra mente è ridotto in pezzi. Una babele contraddittoria di voci ci ronza nelle orecchie che un tempo coglievano l’eco estatica dell’universo. Ora raccogliamo solo il vociare strillonico del suk: sentenze, aforismi, proverbi, metafore, parabole divengono i proclami sincopati di un richiamo atrofico, anzi, di un pensiero debole che ci affascina subitamente ma che con altrettanta immediatezza scompare e si dissolve nel grande caos, contraddetto da altre situazioni, soffocato da altri adescamenti. Già Eliot teorizzava l’assoluta impossibilità di ricostruire il discorso poematico, cioè di raccontare l’epica del mondo, la grande favola del poeta, perché la narrazione del poeta, a seguito della rottura dello specchio del linguaggio dentro cui si rifletteva, si è scomposta in una serie di frammenti. Ci sono reperti, brandelli, tessere del grande mosaico, si può fare un’operazione inventariale e di riconoscimento, ma non c’è la reale possibilità della ricostruzione del senso complessivo delle cose, che sfugge comunque e rimane indescrivibile. L’unica cosa che si può proporre è osservare e commentare quel che resta delle elucubrazioni del tempo passato e, tuttavia, ripeterle per il piacere della documentazione, per il valore della cosa in sé: facite ammuina, insomma, organizzate fracasso e confusione senza un disegno preciso, perché non c’è altro da fare.
Fare ammuina era l’ordine che si dava alla ciurma della reale marina di Francesco II, ultimo re di Napoli, quando ci fosse stata l’ispezione improvvisa a bordo. Ovviamente si tratta di un falso storico, perfidamente architettato dai comandanti piemontesi per deridere la scarsa propensione guerresca delle truppe borboniche, che fa il paio con quell’altra presunta strategia adottata dai fanti per sbaragliare gli avversari, facite ’a faccia feroce. In Rossano Onano non c’è alcun intento derisorio e neppure ironico, anche se tutto l’intreccio poetico è elaborato con una sapienza grottesca che sottintende un’intelligenza ludica. Ma la scena è sempre drammatica. Viene rappresentata sostanzialmente un’umanità che soffre, che s’arrabatta, che compete con sé stessa, che si disputa le poche risorse di cui dispone, che si danna nel tentativo di inseguire la felicità, che è cannibale di sé stessa, che è perennemente posseduta da furbizie, tranelli, pentimenti, rancori, angosce e incubi notturni, che si butta nei sensi e in particolare nei vizi di gola e di lussuria con una dannazione frenetica. Questo grande affresco alla Hyeronymus Bosch di civitas damnata non prevede la presenza della natura, neppure di un filo d’erba: né madre né matrigna, semplicemente la natura è un elemento aggiuntivo e intrigante della barbarie del mondo, come lo sono le altre forme di competizione e di successo. La natura è una “distesa piaga verdissima” di cui è stato “raccolto il campo”, ma anche l’uomo ne ha “ucciso i bisonti e le folaghe passeggiatrici”.
La cultura che fa da background al linguaggio poetico di Rossano Onano è una definizione selezionata e orientata di quel gran meticciato moderno frequentato dagli intellettuali occidentali, fatto di barbagli di attualità televisiva in cui galleggiano cantanti, calciatori, ciclisti, quizzisti, cui si aggiungono le fonti popolari e folcloristiche, cui si aggiungono i fondamenti basilari dell’invenzione del linguaggio poetico, che ovviamente risalgono alle due grandi querce del sistema culturale d’Occidente, la Bibbia e Omero, arricchite e allargate dalle grandi fonti classiche successive, cui si aggiungono i fascini e le propensioni per il mondo asiatico, specie per l’India, magica, dolcissima e crudele. L’intreccio poetico funziona per analogie, reiterazioni, chiasmi, anafore, secondo un principio di coagulazione dei materiali che si incatenano e si condensano nella costruzione del discorso sia per omogeneità sia per contrasto.
Rossano Onano mantiene sempre vigile nel testo sia l’attenzione psicologica dei comportamenti umani sia la plasticità espressiva del linguaggio. Con la psicologia Onano compie una mappatura riguardante l’origine profonda degli accadimenti che narra, mentre con il linguaggio, di quegli stessi fatti, illustra la manifestazione epidermica e comunicativa, che sovente è contraddittoria o meglio contraddetta e franta da elementi ostili o comunque di segno contrario. Vi è una continua corrispondenza dialettica tra ciò che sta alla radice dell’agire umano – nel territorio buio delle intenzioni – con ciò che è descritto nello splendore rappresentativo della parola, dalla scrittura che pure proviene dalla tenebra del calamaio e che mantiene comunque un enigma anfibologico irrisolvibile. La lettura della poesia di Rossano Onano è sempre un intrattenimento ameno di cultura e di possibilità sia risolutorie sia confusionali, quasi l’autore volesse ricordarci che anche la mente produce confusione e fa sovente ammuina, come i marinai di Franceschiello, intorno ai quali è nato un mito.

Sandro Gros-Pietro

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