Presentazione

Brandisio Andolfi, come già altre volte affermato, è un amico di vecchia data, di cui ho sempre il piacere di leggere in anticipo quanto egli, nell’ascesa al sole dell’intelletto, elabora nel prolifico e instancabile cammino culturale e letterario, che lo vede costantemente impegnato da oltre quarant’anni. È poeta e scrittore affermato e ben noto al pubblico degli intellettuali. Presente in numerose antologie poetiche, dizionari storici e riviste letterarie, ha al suo attivo la pubblicazione di venti sillogi poetiche, di due saggi storici (Muzio Attendolo Sforza – un condottiero alla corte di Giovanna II di Napoli e I luoghi della memoria – Usi costumi, mestieri, tradizioni e ricordi di guerra a Sessa Aurunca negli anni 1930-1970), di vari studi critici, quali: Vincenzo Rossi – poeta, narratore e saggista; Gaetano Andresani; Rudy De Cadaval – una vita storicizzata; Umanisti Campani: Giannantonio Campano, Elisio Calenzio e Luigi Tansillo; Antonio Crecchia – l’uomo, il poeta, il saggista. Ha conseguito numerosi primi e secondi premi dal 1985 ad oggi in Italia e all’estero; a questi vanno aggiunti vari Premi per meriti culturali, con diploma d’onore e motivazione d’encomio rilasciati da Università degli Studi, Enti, Associazioni culturali, Comuni, Province e Regioni d’Italia.
Per una conoscenza approfondita di questo valente e prolifico Autore, rimando all’antologia critica Brandisio Andolfi nel giudizio della critica, a cura del sottoscritto (BastogiLibri – Roma 2014 – pagg. 280).

Di recente, ho avuto in lettura, scritto a penna su carta rigata formato protocollo, un “diario”, risalente al 2002. L’autore ha vergato su un’agenda il prodotto dei suoi pensieri, riflessioni e considerazioni varie maturate nel corso di un intero anno. Infatti ha una scansione giornaliera, seguendo rigorosamente l’ordine del calendario, con annotazioni riguardanti di preferenza “la natura e il clima”. Sicuramente l’opera segue il disegno dell’autore di dare vita ad una raccolta di annotazioni distribuite con cura e impegno nelle pagine dell’agenda per meglio conservare memoria di un anno particolare, che segna il passaggio da un secolare sistema monetario basato sulla “Lira”, all’uso, e consumo, dell’Euro, moneta europea che ha penalizzato fortemente le classi più deboli, lavoratori dipendenti e pensionati italiani.
Non mi pare ci sia stato l’intento di creare un prodotto letterario su temi prefissati, ma piuttosto l’intenzione di fornire ai suoi lettori di oggi e di domani un contributo esplicativo della sua propensione alla letteratura, a raccontarsi dentro uno schema di vita vissuta da persona seria, laboriosa, amante della natura, della tranquillità, della cultura in senso lato, delle amicizie che arricchiscono il suo vigore intellettuale, morale e civile.
Chi legge il diario, si rende subito conto che l’autore, in una felice vena di confessioni, vuol fissare sulla carta e rendere conto, anzitutto a se stesso, quanto gli “ditta dentro” quello spiritello che lo mette in fibrillazione allorché si sie­de alla scrivania con l’intenzione di scrivere alcune righe, tante quante gliene consentono gli spazi a disposizione, uguali per quanto riguarda i giorni feriali, più ristretti quelli relativi alla domenica.
Bisogna dargli atto della costanza, continuità e pazienza dedicate giornalmente a un lavoro di meditazioni e appunti in relazione al clima temporale, ma anche sociale, politico e culturale.

Significanti e significati si susseguono a ritmo incalzante, si tingono dei colori del giorno indicato con una data precisa, caratterizzato da una visione di sapore stagionale, di apertura panica, in presenza di sole e benefiche brezze, che esaltano la bellezza e la gioia di vivere l’attimo, il momento fertile dell’osservazione, della riflessione e dell’espressione.
Il diario è anche un tributo di fedeltà alla scrittura, quale omaggio alla “parola” realizzata nella sua concretezza segnica, discorsiva, significativa dei colori, umori, gioie, ansie e preoccupazioni della quotidianità. I lettori di Brandisio Andolfi, leggendo le 365 annotazioni giornaliere, vergate con l’inchiostro dell’anima tesa a uscire dalla prigione dell’ego e immergersi nel mondo delle relazioni sociali, troverà indubbiamente utile e ragionevole rapportarsi alla dimensione umana, morale e religiosa del casertano…
Con l’intento di essere ascoltato, compreso e riconosciuto come intellettuale dedito a un costante lavoro di ricerca e di espressione dei moti riposti dell’anima, il nostro Scrittore ci parla di incontri con amici, amanti come lui del sapere, di partecipazione a eventi culturali nella sua Caserta e in altre città d’Italia, di premi ottenuti in agoni poetici, delle sue escursioni in amene località della Campania, dell’Abruzzo e dell’Umbria “verde”, della frequenza domenicale in chiesa per accrescere la sua serenità di mente e di cuore, e riscoprire la fede nel silenzio dell’anima.
Le sue immancabili osservazioni meteorologiche non sono aridi resoconti del “tempo che fa”, ma lezioni didattiche che rivelano l’utilità o la dannosità di certi fenomeni atmosferici.
La pioggia, ad esempio, “In alcuni giorni di certi mesi di determinate stagioni è una benedizione di Dio sulla terra, la divina aspersione che rinvigorisce la vita delle piante, degli animali e di tutti gli esseri viventi delle Creato. Ma l’uomo tecnologico e incosciente della moderna città ignora l’importanza vitale della pioggia per la natura e la vita terrena. Anzi, impreca e maledice quando la pioggia produce disastri ecologici e morte umana. Ciò è pur vero, ma soltanto quando è l’uomo a non saper provvedere e prevedere i disastri”.
Poiché l’uomo savio non è mai stanco di “sapere”, Brandisio, socraticamente intento a ispessire le virtù contenute nella parte intelligente della sua anima, avverte di continuo il bisogno di apprendere cose nuove, leggendo di tutto e alimentando così “la mente e l’anima” con nuove informazioni, che non mancano di fornire palesi spunti di riflessioni. Oggi, poi, acculturarsi non è difficile data la quantità e qualità di “straordinari mezzi di informazione che si hanno a disposizione”, come giustamente osserva il Nostro. “Però la lettura resta sempre il migliore e più efficace mezzo di tutti: è la ginnastica del cervello e allunga il periodo della vecchiaia. Anche i cellulari e tutti i mezzi del Web sono utili ma non come la lettura diretta degli argomenti del sapere su pubblicazioni editoriali e librarie di ogni genere”.
Brandisio non ha mai dimenticato la sua collaudata funzione di docente, dentro e fuori dalla scuola; riproporsi di continuo come educatore, come conservatore e dispensatore di valori umani, perenni, legati non solo alla civiltà delle lettere ma anche alle sane e oneste tradizioni locali, è una prerogativa di coloro che operano disinteressatamente con il fine di arrecare un qualche beneficio, morale e culturale, alla società di appartenenza. Intenzione vanificata dal moderno “uomo tecnologico”, il quale, totalmente immerso nella filosofia del libero arbitrio, votato al perseguimento di scopi edonistici e utilitaristici, ha unicamente di mira il possesso dei beni materiali, il soddisfacimento dei suoi istinti naturali.
Lo spirito, come principio immanente all’uomo e fattore determinante della vita morale, religiosa e intellettuale, ha perso la sua vigoria plasmatrice di individui liberi di pensare e agire autonomamente in sintonia con la volontà di ricerca e di perseguimento delle antiche virtù dei padri. Lo spirito soggettivo è ormai reso totalmente schiavo dallo spirito oggettivo, rappresentato dall’insieme delle istituzioni sociali, storiche, scientifiche, economiche, militari, operanti sotto la bandiera della globalizzazione dei mercati, dove si decide la compra-vendita di tutto, uomo compreso, condizionato e reificato da un apparato ideologico motivato e azionato da presupposti tecno-scientifici e dalle leggi dell’economia e della finanza.
Brandisio scrive con l’occhio rivolto al presente, alla storia che viaggia con la complessa macchina del progresso scientifico e tecnologico, con i suoi effetti benefici e le sue invenzioni provocatrici di guasti fisici, psichici e ambientali, e l’anima rivolta al passato vissuto in armoniosa quiete e solitudine nelle apriche campagne di Sessa Aurunca. Da qui nostalgie e sussulti di stupore a fronte della natura che si dispiega agli occhi del poeta viaggiatore quando da Caserta ritorna ai luoghi natii o si porta in verdi contrade dell’Abruzzo, dell’Umbria e del Molise. Uscire dalla “città” significa uscire in primo luogo dalla “rumorosità”, figlia della moderna tecnologia, e poi dal tedio, dal regno degli egoismi, falsità, ipocrisia e vanità, totalmente opposto al vecchio mondo contadino, emblema di serenità, di concordia e purezza di cuore e, quindi, di moralità.
Nel confronto “città” e “campagna” risaltano i vistosi segnali di cambiamenti epocali, dei tanti guasti operati dall’uomo nel suo rapportarsi al creato e vivere il proprio tempo. Nella memoria si conserva integra la visione di un passato dove la “vita” penetrava in ogni angolo della terra: una terra mater, poi “matrigna” ora semplicemente un deserto vegetativo, senza l’uomo, ammassato nei “centri” di consumo, di ozi, di divertimenti e balordaggini, di scontri ideologici e politici, di assuefazione a tutti i disagi esistenziali, scandali, congiunture, malizie, corruzione, manipolazione delle coscienze, di adattamento alle mode e gusti stravaganti, della cultura al servizio dei baroni del potere e incapace di tracciare una giusta via per uscire dal caos dei comportamenti infantili e primitivi e dalle opinioni condite con la salsa della stupidità.
Nelle pagine del “diario”, il professore in quiescenza continua a impartire le sue lezioni, a istruire i giovani sui cambiamenti epocali, sui mali della civiltà industriale, la quale se da un lato ha portato dei miglioramenti sul piano economico, con l’attuazione di norme giuridiche a tutela dei diritti dei lavoratori, dall’altro ha prodotto una marea di atteggiamenti e condizioni di vita negativi: stress, incomprensioni, egoismi, fanatismi, fariseismi, disparità sociali, impoverimento, violenza e criminalità in vertiginosa ascesa; l’assenza di dialogo sereno e aperto, sostituito da diabolico spirito di discordia, spinge l’uno contro l’altro, in una sfida continua, spavalda, ipocrita, che mette a rischio il senso dell’umanità e la sopravvivenza di regole di comportamento etico maturate con l’esperienza di secoli. A questa visione deludente e deprimente, il nostro Scrittore contrappone l’immagine sacra, serena e vivificante di una “sua” natura e vita agreste, dentro la quale è vissuto negli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, prima, cioè, di approdare in città, dove i sensi, prigionieri dell’automatismo, dei rumori, dell’inquinamento e del cemento, ignorano cosa significhi vivere in libertà a contatto con la natura, generosa dispensatrice di luce, di aria amena, di serenità e spazi immensi, da cui gli occhi possono elevarsi fino al cielo, le orecchie saziarsi dei moti armoniosi della natura e gli altri sensi saziarsi dei piaceri che effluivano dalle infinite manifestazioni del Creato.

Antonio Crecchia

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