PREFAZIONE

Rintoccano pressoché quattro lustri da quando Ivana Trevisani Bach, di professione biologa e docente nei Licei e all’Università, si è dedicata alla Poesia per realizzare l’indicazione espressa dal Nobel dell’Economia Daniel Kahneman: “per mobilitare le persone occorre un loro coinvolgimento emotivo”. Per scegliere il meglio del coinvolgimento emotivo, Ivana opta per la Poesia, probabilmente memore della fiera scelta di Vittorio Alfieri, che definisce la Poesia “del forte sentire più forte figlia”. Qual è il forte sentir di Ivana? In prima approssimazione, si può rispondere che è l’ecologia. Infatti, Ivana nel 2005 scrive il Manifesto di Ecopoesia Italiana, che poi presenta non solo in patria, ma in Spagna, in Inghilterra, negli Usa, in Brasile e ancora in molte altre occasioni. Lei diviene una sostenitrice e una testimone negli ambienti di selezionata cultura letteraria dell’azione di sensibilizzazione svolta da Greta Thunberg. Le sue poesie, dedicate ai più svariati temi di difesa dell’ambiente, vengono premiate in una serie di selezionati concorsi letterari. Frattan­to, la sua produzione letteraria si arricchisce di sempre nuove pubblicazioni, non solo di Poesia, ma spazia anche nella prosa e nel teatro.
Questo ultimo libro di Poesia, Antropocene, amplia di molto il nucleo primigenio del forte sentire ecologico di Ivana. Il termine è un neologismo, coniato probabilmente per la prima volta dal biologo Eugene F. Stoermer e poi reso celebre in comunione sodale con il Nobel Paul Crutzen, meteorologo e chimico dell’atmosfera. L’era geologica in cui viviamo, co­me ben si sa, è denominata Olocene, dal greco holos più kainos, intendasi totalmente recente. È un’era relativamente “giovane”, in quanto la si fa risalire a me­no di 12.000 anni or sono, più o meno coincide con la fine della preistoria umana. L’antropocene rappresenta una qualificazione particolare di tale era, e precisamente caratterizza l’acquisita capacità da parte dell’umanità di influire direttamente nei processi naturali di variazione e di decadenza entropica del Pianeta. Solo con lo sviluppo planetario delle attività industriali che datano dalla fine del XVIII secolo, l’umanità ha realizzato una crescita esponenziale demografica, con un incremento enorme di tut­te le attività produttive: espansione territoriale, uso di combustibili fossili, deforestazione, costruzione di immense aree urbane, inquinamento dell’atmosfe­ra, delle terre e dei mari, distruzione totale ovvero profonda alterazione degli habitat naturali. Tali attività hanno comportato un’influenza degenerativa nei processi di mutazione della Terra, la quale possiede comunque una sua propria evoluzione cosmica. Per fare comprendere il concetto si può ricorrere alla metafora di immaginare il pianeta Terra come se fosse un essere umano, la cui vita biologica sia contenuta all’incirca in un secolo. Tale corpo umano a sua vol­ta è abitato da un numero elevatissimo di microscopici organismi viventi, i batteri, che vivono al suo in­terno. Supponiamo che, per modificazioni biologiche, si formi all’interno di quel dato corpo umano un batterio del tutto particolare, più forte e più aggressivo degli altri, al punto da diventare un pericoloso killer, non solo degli altri batteri, ma an­che dello stesso corpo umano in cui è ospitato. Diviene evidente, allora, che quel tale corpo umano cadrà in pre­da a una grave infezione. Infatti, risulterà essere infettato da un batterio che tenderà a distruggerlo; lo farà invecchiare prima del tempo e innescherà un deleterio processo di degenerazione del corpo in cui il batterio è ospite fino al punto di accorciarne la vita. Quel corpo non vivrà più i prevedibili cento anni, ma assai di meno. Fuori di metafora, questa è la condizione della Terra invasa dall’umanità che la sta depredando delle sue risorse non rinnovabili, e la rende sempre più povera, ogni anno che passa. Tale processo, causa un accelerato “invecchiamento” del Pianeta, le cui ere geologiche vengono modificate nel loro sviluppo dall’azione umana.
La metafora non è stata scelta casualmente, ma è suggerita tra le righe dalla stessa Poeta, che tende a fare un confronto in parallelo tra le diverse età della sua vita umana e il cammino evolutivo della Terra. Accade, dunque, che il processo di invecchiamento e di danneggiamento del Pianeta abbia un riscontro diretto con l’appercezione che Ivana matura di inizio della sua personale fase di stagionamento autunnale, come si legge apertamente in Il conto rovesciato è ormai partito. Per questo motivo Ivana può definirsi la Cassandra 2022: la Poeta vive nel suo spirito e nel suo corpo quel processo entropico di decadenza e di disordine a cui il Pianeta sta andando incontro in modo accelerato per l’azione scriteriata dell’intera umanità.
Tuttavia, c’è da parte di Ivana una visione che eson­da totalmente le sorti del Granello azzurro, che è metafora del “pianeta strano e singolare / donato a chi / non sa vedere / il suo prossimo futuro”. Si trat­ta degli aggiornamenti di astrofisica sulla concezio­ne in divenire che riguarda l’intero cosmo, composto da milioni di miliardi di galassie in espansione, ognuna delle quali contiene centinaia di milioni di “granelli azzurri”, presumibilmente simili alla Terra, probabilmente abitati da una varietà indefinibile di Fratello alieno come è illustrato nella poesia omonima. Quale destino è riservato all’inimmaginabile quantità di materia e di energia che continuamente deflagra nel vuoto dello spazio infinito? Nessuno può rispondere con sicurezza a questa domanda, ma come esiste la teoria di formazione iniziale dell’universo, così esistono differenti teorie di conclusione, quali il Big Rip, il Big Freeze e il Big Bounce, come è illustrato nella poesia Big Bang. La mente di Ivana spazia su una problematica scientifica che si colloca ai confini della conoscenza umana, ma che diviene utilissima per inquadrare il destino del nostro Pianeta in un quadro evolutivo praticamente preordinato. Si crede che l’universo esista da circa quattordici miliardi di anni e, secondo alcune delle già menzionate teorie di estinzione dell’intero cosmo, siamo già arrivati a quasi la metà della durata complessiva: spanna più, spanna meno ne avremmo ancora per un’altra ventina di miliardi d’anni. Ci sarebbe da stare tranquilli. Ma non è così, perché il sistema solare ne ha per solo un altro miliardo e mez­zo, poi è previsto che inizi a collassare. Anche così, ce ne rimarrebbe ben donde. Se non fosse che c’è di mezzo la nostra vocazione di “batterio killer” all’interno del corpo celeste che ci ospita: noi potremmo autodistruggerci molto, ma molto prima del­le ere geologiche potenzialmente prevedibili per il Pianeta, come lascia intendere la Poeta nella metafora contenuta all’interno della poesia intitolata Incendio: si tratta di un incubo, consistente nella casa che va a fuoco. Ma quella dimora in fiamme non allude forse all’intero pianeta?
Le due dimensioni, quella personale della Poeta e quella astronomica dell’intero universo dentro cui vi è anche il nostro microscopico e disperso “granello azzurro”, formano un duetto inscindibile di messaggi profetici: Cassandra è al lavoro! Auguriamoci che i nostri contemporanei e i nostri successori traggano insegnamenti dalla storia di Troia, raccontata da Omero, il “più forte figlio del forte sentire”, col permesso di Vittorio Alfieri.
Ciò che fa premio in modo particolare nelle opere e nella personalità di Ivana è l’unione in unico pensiero di “conoscenza e di consapevolezza” del sapere scientifico e di quello umanistico, come si usava ai tempi dei due secoli illuminati dallo splendore italiano che influenzò l’Europa intera, tra la metà del XV e la metà del XVII secolo ossia nel periodo massimo dell’Umanesimo e del Rinascimento, durante i quali l’Italia “delle mille contrade” fu realmente il crogiuolo di scienza e letteratura unite insieme in un vertice mirabile. Così ci sembra sia la bella parola di poesia e di scienza di Ivana Trevisani Bach.

Sandro Gros-Pietro

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