PREFAZIONE

A poca distanza dal primo libro, In viaggio. Poesie e racconti nel tempo, Eros Pessina fa uscire il nuovo Arte e poesia nelle stagioni della vita, che riprende il tema del viaggio nel tempo e, almeno in parte, anche nello spazio, ma con l’aggiunta di un nuovo contenuto. C’è in più, infatti, la congiunzione tra la pittura e la poesia. In verità, c’è anche un approfondimento del tema iniziale, quello del fluire del tempo. E lo stesso titolo lo lascia presagire, perché si parla del famoso tema delle “tre età dell’uomo” che ha affascinato molti pittori rinascimentali, basti citare Giorgione e Tiziano, quest’ultimo anche riproposto nella copertina del li­bro. Adolescenza, maturità e vecchiaia rappresentano in­sie­me la triade dell’esistenza, e dai pittori sono per lo più il­lustrate in composizioni in cui i tre soggetti dialogano fra loro. Il dialogo è, in fondo, la misura dell’arte poetica di Eros Pessina, il quale si distingue come autore principalmente per la cifra confidenziale con cui si rivolge al lettore e lo coinvolge nel racconto epicizzato della vita, fatta di amo­ri, di speranze, di realizzazioni, di impegni, di battaglie, di lut­ti, di vittorie, di onori e di risultati ottenuti. Conviene subito chiarire che nel libro si narrano gli eventi di una vita di raro valore, in quanto non contiene nulla di banale e neppure di comune, anche se il protagonista, che è posto al centro della vicenda, nel ruolo di quello che presso i classici era l’eroe del poema, non è un padre della patria universalmente celebrato dal bronzo degli scultori e dall’inchiostro dei drammaturghi. Per l’esattezza il nostro protagonista è il nonno dell’autore, Carlo Pessina, rampollo di una famiglia di origine borghese, ma molto vicina alla nobiltà. Lo vediamo fanciullo giocare e correre nel vasto parco della residenza familiare di Pollenzo, uno scrigno della natura che non era disdegnato neppure dal Re Galantuomo per le sue battute di caccia. Infatti, i genitori di Carlo, sono imparentati nientemeno che con Rosa Vercellana, la Bela Rosin, moglie morganatica di Vittorio Emanuele II. La Contessa di Mirafiori è al centro di una delle più belle e controverse storie d’amore del secondo Ottocento italiano, che unisce come in una favola dei fratelli Grimm la bellezza adamantina di una giovane sedicenne di modeste origini al destino di un uomo potente e già maturo, che siede su uno dei troni più prestigiosi d’Europa e che, divenuto vedovo, impalmerà la donna amata, rimanendole fedele fino alla morte. Già questa è di per sé una splendida poesia di vita, che ha scatenato la fantasia degli scrittori e delle leggende popolari che la riguardano. Il caso vuole che i Pessina, apprezzati artisti del pennello, siano divenuti artigiani e decoratori di altissimo livello, in quanto rilucenti all’interno del mantello di luce della Bela Rosin che come una cometa attraversa, e anche scombussola, la pomposa esistenza della casa reale Savoia.

Nel libro il nipote Eros ricostruisce la vita del nonno Carlo e della nonna Anna. La cerniera che congiunge fra loro il nonno e il nipote è il padre Elvio. Il nonno ha l’animo dell’artista ribelle, ma è anche un personaggio fiero e coraggioso, capace di compiere gesta eroiche in battaglia e di scontrarsi furiosamente con la cieca cocciutaggine dei suoi superiori, fino a subire delle conseguenze poco gradevoli. Ma non ba­sta, perché in aggiunta c’è il fatto che egli fino da­gli esordi del fascismo prende le distanze dalla dittatura e di­fende la libertà e la democrazia. A seguito dell’evolversi catastrofico degli eventi bellici dell’ultima guerra, Carlo si impegna attivamente nella lotta di liberazione e diviene un combattente partigiano, per cui viene arrestato dai nazifascisti, in modo molto spiccio, viene confuso con i prigionieri politici destinati all’immediata fucilazione. Ma c’è sempre la madre di Carlo che invoca per il figlio l’intervento dei rappresentanti della casa reale, i quali riescono all’ultimo mi­nuto a salvargli rocambolescamente la vita, quando è ormai già davanti al plotone di esecuzione e vede la morte in faccia.

L’aspetto nuovo di cui si diceva all’inizio è che Carlo è un pittore, e quindi dipinge tele, affreschi murali, decorazioni d’ambienti e insegne artistiche. Suo nipote Eros dirige una ditta che rappresenta l’evoluzione industriale del primigenio atelier artistico del nonno. Inoltre, Eros è un poeta: per l’esattezza racconta la vita con le parole della poesia, in modo armonico, sognante, incisivo e analogico. Si crea una liaison tra la pittura del nonno e la poesia del poeta: en­trambi diventano autori di racconti per immagini e per pa­role di vita autentica, epicizzata nelle loro rispettive opere. Eros Pessina rinnova in questo libro quella comunanza di intenti che per tutta la fine dell’Ottocento e per metà Novecento ha strettamente unito fra di loro i pittori e i poeti, nel concepire una comunanza di sentimenti e di espressioni artistiche specifiche alle rispettive arti, ma anche fra loro sinergiche e parallele. Tali affinità automatiche richiamano alla mente la Ville Lumière di fine Ottocento e inizio Novecento e non è quindi un caso che una delle più belle poesie finali di Eros Pessina sia stata da lui formulata in francese e si intitoli Paris je t’aime.

Sandro Gros-Pietro

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