Premio I Murazzi per l’inedito 2010 (dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

 

Per l’ironico bestiario dalla tassonomia alfabetica, rappresentato per filastrocche sonore, per sciarade, sincopi, rime, assonanze, con altri incanti e discanti verbali, riverberati da una luce profonda di significati allusi: la Giuria attribuisce la dignità di stampa rafforzata, dalle precedenti pubblicazioni apprezzate, da illustri studiosi e critici di poesia.

 


PREFAZIONE

È raro aprire un libro di poesia e leggervi una tale vocazione alla gioia e alla serenità. La poesia moderna, infatti, è quasi tutta contrassegnata da un plumbeo male di vivere che non lascia quartiere all’allegria. Come se il senno stesse dalla parte di chi è disperato. Clara Serra ha il grande merito di ricordarsi e di ricordarci che il gioco, invece, è una delle più nobili e scintillanti virtù umane. Solo gli uomini sanno giocare con autentico trasporto e passione per le parti fantastiche che essi si attribuiscono in avventure di gratuita invenzione. Solo alcuni mammiferi di intelligenza superiore, come felini, delfini, canidi o le scimmie e pochi altri, hanno arricchito e dilatato la loro esistenza con le pratiche del gioco e dei ruoli fittizi. Ma per nessuno di loro si tratta di qualcosa di paragonabile alla ricchezza della finzione gioconda e drammatica che è in grado di mettere in scena l’essere umano. E per celebrare questa virtù, così specialistica degli uomini, Clara Serra ha scelto di darle un’icona animalesca: animali diversi, dunque, perché immaginati in un modo differente da quello che è rappresentato nell’icona consueta attribuita loro dalla zoologia, ma anche sono di versi perché sono proiettati nel mondo della libera invenzione poetica, che è una dilatazione indeterminata della realtà. L’andamento dei testi in chiave di filastrocca infantile restituisce subito al lettore l’aspetto ludico del libro. Si vuole giocare, ecco: con intelligenza, con grazia, con serenità e buon gusto. Tuttavia, si vuole fare le cose per celia. Non c’è una verità da scoprire, se non che a tal punto lontanamente allusa da essere improbabile. L’unica verità è la grazia del gioco che viene proposto: il compiacimento di rime, assonanze, analogie, sinestesie, nonsense, calembour, sciarade, anagrammi, polisemie e altro ancora.
In poesia il bestiario nasce sempre dal desiderio di forzare i confini della lirica. Se per lirica si intende la poesia in cui prevale la tematica del soggetto e delle sue emozioni interiori, il bestiario poetico serve a dirci che c’è poesia anche al di fuori della lirica, cioè al di fuori del soggetto preso come universo cantabile della poesia. I tanti bestiari sono lì proprio per dirci, in chiave metaforica: attenzione, l’uomo è solo piccola parte delle possibilità del canto poetico. Esiste, infatti, una realtà cantabile che è tutta altra cosa da ciò che sentiamo nei precordi del cuore. Questa cosa, tutt’affatto diversa dall’uomo, è appunto la bestia: icona poetica collaudata da una pratica molto diffusa, che sta ad indicare l’alieno, il diverso, l’esotismo, l’anomalia dei canoni e altre cose. Non inganni il carattere antropomorfo che per lo più hanno tutte le bestie poetiche: si immagina sempre un altrove che sia organico alla nostra prossimità, altrimenti non sarebbe agibile neppure con la fantasia. E poi una bestia umanizzata è sempre più divertente, perché è specchio di vizi e virtù deformate, diviene più facilmente godibile. Queste cose si fanno solo per divertimento, non certo per terapia prescritta dal medico di famiglia, ma per licenza di libero pensiero. La bestia, in fondo, è proprio questo: un pensiero libero, totalmente fuori dai canoni, che non rispetta precetti e che fa tutto alla rovescia ovvero secondo consuetudine in base all’azzardo, in base alla combinazione fortuita dei significati con i significanti, alle catene analogiche e via di seguito. A chi di noi verrebbe in mente di gustare una sfogliata di tartufo sopra una sogliola? Certamente nessuno oserebbe sperimentare una simile bestialità, ma la vongola di pagina 76 sperimenta con gioia che sogliola e trifola s’uniscono in rima con briscola e regola, dentro una stessa pentola: tutto ciò è un autentico spasso. Forse, c’è qualcosa di più complesso nel calcolo di Clara Serra, quando va alla ricerca di un’autonomia di significati delle bestie al di fuori dell’identità umana. È possibile che la poetessa si chieda se possa veramente esistere, dentro il pensiero umano, la bestia? Può esserci qualcosa, dentro il linguaggio dell’uomo, che non faccia totale parte dell’uomo? Può veramente la poesia uma­na interessarsi e rappresentare qualcosa che sta al di fuo­ri dell’uomo? Parlare di un fiore, una cascata, un fulmine come se non fossero categorie umane in tutto simili alla fame, al freddo, alla nostalgia, all’amore e via discorrendo? Ha senso parlare di una poesia ecologica, cioè in grado di percepire e rappresentare l’autonomia della natura rispetto all’uomo? Possiamo solo dire che a Mario Luzi la poesia ecologica suscitava un moto di comicità. Ma in pochi anni i tempi sono molto cambiati. Il dibattito è aperto e il bel libro di Serra contribuisce ad orientare la ricerca anche su questo nuovo versante dell’orizzonte poetico.

Sandro Gros-Pietro

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