Postfazione

Perché pubblicare questo libro di Daniele Giancane? Come editore, ho iniziato ad amarlo dal titolo, che mi ha subito agitato nella mente il più alto diario mai scritto da mano umana di tutta la cultura occidentale cristiana, che sono le Confessionum Libri XIII di Agostino. E come in un’evocazione della mente, mi sono venuti in capo i viaggi in auto di tanti anni or sono insieme a Marziano Guglielminetti, quando ci recavamo in auto alla Giuria del Premio letterario della Città di Lanzo, che Marziano presiedeva e che io affiancavo nel lavoro di Giurato. “Leggi Agostino, caro Sandro!”, mi raccomandava il compianto amico “perché non vi è vertigine abbandonica e luce misterica della fede di più alto livello all’interno della cultura occidentale. Fa rimpicciolire Nietzsche, come fosse un neo della pelle, mi capisci?” e poi aggiungeva, con quel suo vezzo irrinunciabile da accademico di prestigio, “Ti raccomando la versione in latino, è più gustosa”.

Questa endiadi dell’universo illustrata da Daniele Giancane con l’espressione Cielo e terra richiama necessariamente alla mente la contrapposizione di Agostino del “cielo dei cieli” con la “terra degli uomini”: l’ordine imperscrutabile del mistero messo a confronto con il caos fenomenico dell’universo conoscibile. Dove si colloca la “vera vita” dell’uomo? Qual è la sua dimensione di autenticità? E da dove promana la sentenza del corretto orientamento: dalle nebbie della ragione? dagli abbagli della fede?

Con la semplicità delle parole chiare e ultimative, che appartengono solo ai grandi classici della letteratura e della filosofia, Daniele Giancane conduce un perlustrazione familiare e ordinaria intorno alle forme e al contenuto della sua vita, ma subito il lettore intende che in realtà egli sta descrivendo un’orbita intorno al significato ricapitolativo dell’intera esperienza umana, come fece Agostino. Non è un colloquio con Dio, come ha fatto il Santo. A Giancane, infatti, manca la prima consonante: si tratta, quindi, di un colloquio con l’io cosciente dello scrittore. Un “io” che è in espansione psicanalitica, e che si appropria anche di molte pertinenze dell’Es, liberandosi dalla soggezione del Super-io. Un testo apollineo, gioioso e alacre, come una giornata di sole trascorsa in serena attività: un testo d’indimenticabile umanità.

Il coraggio del Poeta: è questo il nutrimento altissimo che Giancane spezza come un pane ai suoi discepoli dell’università. Il coraggio di intendere la sapienza e la coscienza della poesia come luce di conforto e di orientamento. Dopo il grande scrivere di tutto il Novecento e anche di metà Ottocento intorno al male di vivere, intorno al “lato oscuro della mente”, alla damnatio della scrittura, al vizio assurdo cui la scrittura può solo fare da effimero anestetico, ma alla fine si rivela essere la propiziatrice dell’autodafè che conduce alla condanna perentoria della follia o del più nero pessimismo o come minimo al teatro dell’assurdo in cui la parola esala ogni consistenza di significazione, Giancane afferma a chiare parole il “coraggio del poeta” come luce di vita e di autentica speranza. È un libro bellissimo e solare: l’autentico amico, che deve essere tenuto caro come il talismano da tenere sempre in tasca, a portata di consultazione.

Sandro Gros-Pietro

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