PREFAZIONE

 

 

Le poesie di Aldo Sisto assumono la natura di una ricapitolazione condotta con serenità sul significato della vita. Non si tratta di un testamento spirituale, secondo l’usanza un tempo in voga, concepito come lascito aggiunto alle opere e ai beni da consegnare agli eredi. Non è neppure un libro della sapienza, ove si ferma e si annovera il canone rappresentativo dell’epoca in cui l’autore è vissuto: la collocazione perfetta e contestuale, nel flusso indistinto del tempo che si consuma perennemente. Le Cinquanta emozioni rappresentano, invece, un ciclo conchiuso di esperienza di vita che ha il carattere regale dell’invarianza e dell’universalità. Sono emozioni semplici di trasporto, di gioia, d’affezione, di stupore, di paura, ma che valgono l’intera vita perché si mantengono costanti nel tempo, sempre uguali a se stesse e contemporaneamente sono universali, perché ciascun uomo, di ogni età e cultura, le può condividere e parimenti sperimentare.
Lo stile del verseggiare di Aldo Sisto è caratterizzato da un andamento classicheggiante, che Gian Luigi Beccaria non avrebbe difficoltà a definire con l’espressione di poetichese. In realtà, si tratta di formule verbali tronche e di ricorso a vocaboli vezzosamente letterari, in un lucore di stucchi abbellitivi che appaiono un poco d’antan, legati a un gusto vagamente passatista, che il poeta ha volutamente riportato sulla pagina per ricostruire a effetto l’atmosfera dell’anticato, cioè dell’oggetto moderno artatamente invecchiato, per conferire alle parole il carattere di testimone del tempo ovvero di espressioni capaci di suscitare l’emozione del carico di storia e di anni sedimentata sulla pelle. Il tempo, dunque, è il grande protagonista di queste liriche, che in realtà, a dispetto della forma a bella posta ricostruita con effetti d’invecchiamento, sono modernissime nella costruzione del verso – sempre orientato a un esito narrativo e descrittivo – come sono di grande attualità per quanto concerne il tessuto connettivo del discorso, che si cala nella densità del quotidiano, negli accadimenti spiccioli, nell’ordito denso di tanti minuziosi eventi che ricostituiscono insieme il complesso mosaico dei significati della vita. Sta scritto nei versi di Sisto: “Il genere non annulla il singolo / e il genere esiste / perché presente in ogni singolo. // Ogn’uomo può dire: / ‘quella è la mia margherita / perché sento che m’appartiene, / che è quella che mi piace di più, / che è quella che a guardarla / mi fa più lieto’.” Il concetto dell’unicità nell’universalità è, dunque, al centro del discorso del poeta. Tutte le margherite sono esattamente lo stesso fiore, ma ogni margherita è un fiore totalmente diverso da tutte le altre. In questa antica saggezza di temperanza e di osservazione del profondo si contempla il patrimonio di un’intera civiltà ispirata alla bellezza e alla libertà. Non solo il particolare si fonda con il generale, ma anche il microcosmo si sovrappone al macrocosmo, come leggiamo in Capodanno: “La mezzanotte è l’eternità, / compresa nell’infinitamente piccolo di un attimo”.
Nella concezione poetica di Sisto, l’amore ha la sua espressione più pura e vitale nel vincolo del matrimonio, perché è capace di uscire vittorioso dall’usura del tempo e dall’asfissia dell’abitudine, con la riconferma vincente del legame di affetto, solidarietà e seduzione che unisce inscindibilmente i due coniugi, come si legge in Le nostre nozze d’oro: “Assai siam vissuti; / gran privilegio / il poter far festa / di quei cinquant’anni insieme! / Ma per chi vive in amore / gli anni non saranno mai tanti / e le nostre labbra unite / in sospirar diranno: / ‘Amor di sé non è mai sazio’.” Sisto volutamente cita Stendhal, precisamente il ventisettesimo capitolo del saggio Dell’amore che è intitolato “L’amante non è mai sazio del godimento dell’amato”. In Sisto, il concetto diviene che l’amore, come personificazione del sentimento e dell’azione di chi ama, non basta mai a se stesso e anela a non cessare mai.
Anche la terza sezione del libro, La morte, ha nel suo complesso una propensione alla lettura illuminista della vita, cioè appare svolta in chiave razionale e scientifica, indenne dalle passioni dei materialisti come dalle estasi dei mistici. Tuttavia, Sisto si manifesta, nei versi e nei pensieri, come un uomo di fede, che crede nel congiungimento post mortem delle anime. Egli crede in una proiezione indefinita di eternità che è l’unica nozione di eden che siamo in grado di figurarci: una sorta di anticamera di Dio o, forse, Dio stesso, in tutta la sua complessità creativa, di inizio e fine di ogni cosa e di ogni tempo. Come si conviene a uno scrittore scafato di romanzi, la fine del libro coincide con la fine della scrittura, cioè con l’incontro con la morte, e all’insegna di tale incontro si conclude il libro di Sisto, che all’ultima pagina, romanzescamente, sente alitare dietro di sé la Nera Signora, che lo ferma con refolo di agghiacciante respiro; i due si parlano, il poeta è cosciente di ciò che l’aspetta, poi conclude: “Di lì a poco la scrutai dall’alto, / rimpicciolita dalla distanza. / Le gridai: / “Amica, tu sei rimasta sulla terra / mentr’io son libero, / sospinto sempre più in su / laddove niun corpo / a quell’altezza regge.”

Sandro Gros-Pietro

 

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