PREFAZIONE


Le quattro stagioni che si succedono alludono all’evoluzione del creato: la bolla gommosa del tempo, che si dilata e si comprime, accelera e rallenta, ma sempre si consuma senza altro apparente scopo che l’inganno artificioso del cammino orientato a una meta presunta, che ri­mane inintelligibile. Ogni vita umana buca la palla di gom­ma e la fa esplodere o implodere intorno a se stessa. Ogni essere diviene quella unica immensa sfera che os­serva ed esplora il creato dal suo interno. L’uomo si chiede cosa ci sia fuori dalla boccia gommosa in cui è rinchiu­so, e non riesce a rispondere ad alcuna domanda che si pone intorno alle dimensioni, al tempo, all’origine e al­la fine di tutto ciò che studia e che osserva con insaziabile curiosità. Ogni monade è prigioniera dell’immensità sen­za fine contenuta nella minuscola sferetta, piccola e an­cora più piccola, che è la singola vita umana: lo scamuzzolo infinitesimo che contiene l’immensità del Tutto.
Se quanto si è appena detto può essere un approccio iniziatico, sia pure abborracciato, alle tematiche dominanti della moderna ricerca poetica, la Controversia che ci presenta Marcello Croce ne è una ricapitolazione em­blematica, elaborata in chiave filosofica e letteraria, se­guendo un unico raggio di luce polarizzata: l’amore. Qua­si alla maniera del trobar clus, e quindi per forme ‘quasi’ chiuse e in evocazione di una poesia per anime elette e guittoniane, la controversia che anima questa ricerca è un dibattito tra scienza e mito, tra ragione e fede, che vede sempre vincenti i primi due termini della doppia endiadi. La Scienza e la Ragione trionfano sulle ipotesi fumose, orfiche, contraddittorie elaborate dal mito e dalla fede. Peccato, tuttavia, che peggio ancora che per quella ottenuta da Pirro, questa sia una vittoria totalmente fallimentare, perché il trionfo di scienza e ragione non serve in alcun modo a saziare l’immensa sete d’amore che arde nel cuore degli uomini, cosa che invece, sì, il Mito e la Fede, nel loro bislacco teorizzare una sopramondanità, che non esiste o che si limita a non dare alcun segno di sé, non hanno alcuna difficoltà a saziare. Detta in termini estremamente rozzi, tali da dovere chiedere venia in ginocchio allo splendore formale e sostanziale dell’argomentazione poetica condotta da Marcello Croce, è dunque questo il caso controverso contenuto nel suo splendido poema. L’attrito nasce tra il ragionamento a misura – cioè scientifico e razionale – e il ragionamento per eccesso – cioè orfico e visionario. Vince solo il primo, ma affascina unicamente il secondo. La sete di amare è una sete eccessiva, è incapace di qualsiasi temperanza, travalica ogni confine, prima di tutto i limiti della realtà, ma poi si spinge più in là: perfora ogni dimensione del tempo, e cerca l’eternità. Chiunque abbia un solo chicco di senno in testa non avrà difficoltà a convenire che scienza e ragione sono del tutto incapaci di soddisfare la sete d’amore che cova insaziabile nell’animo umano (vedasi, al riguardo, le confessioni di Galileo e di Leonardo). Per cui ogni uomo può tranquillamente scegliere, con animo prudente e riflessivo, si trova davanti al bivio ineludibile, che impone la scelta inevitabile: si vuole soddisfare la sete d’amore, sì oppure no? Ma, attenzione, non si compia la grossolanità di confondere la sete d’amore con l’eros. Se è vero che l’eros è ben di più del sesso, è altrettanto vero che la sete d’amore è ben di più dell’eros. Come insegnano gli stilnovisti, e prima ancora Cielo D’Alcamo, l’eros sta tutto all’interno del “contrasto d’amore”, cioè in quelle formule d’amore cortese che educano il comportamento rozzo dell’uomo a espressioni superiori di raffinato desiderio d’amore, che addolciscono l’animo dell’amante alla ricerca del piacere congiunto sia della carne sia dello spirito uniti insieme, in una dialettica a contrasto tra il dovere e il piacere. Ma la sete d’amore è ben di più dell’eros, perché diventa l’interpretazione della divinità in chiave di amore cristiano. Bisogna inevitabilmente usare l’aggettivo cristiano, perché non esiste un altro termine per definire l’interpretazione della “divinità in chiave d’amore”. Viene in mente Benedetto Croce: dobbiamo tutti definirci ‘cristiani’, dove le virgolette stanno ad indicare che se abbiamo educato l’animo a nutrire dentro di sé la “sete dell’amore”, questa non potrà che essere cristiana, visto che l’ha spiegata pianamente Gesù, più di duemila anni or sono. Chi si avvia a educare il suo animo ad alimentarsi di sete d’amore, dovrà impegnarsi non già e non solo in un “contrasto d’amore” – come racconta Ciullo D’Alcamo – ma addirittura in unacontroversia d’amore, in cui i contendenti sono quei tali termini delle due endiadi primi enunciate: la fede e il mito da una parte, la scienza e la ragione dall’altra. Chi scrive vuole farla breve, per cui intende fermarsi a questo punto. Ma chi legge, vedrà che Marcello Croce è andato bene oltre la povertà delle parole fino a qui espresse. Prende possesso del poema già dall’inizio la figura della perduta e perlata compagna dell’Autore, che immediatamente si presenta nei versi come icona di divinità, e tale rimarrà per tutto il poemetto, mentre si rinnova infinite volte nel grande mito della letteratura mondiale in prorompenti metamorfosi di forme della divinità e di dialoghi con il sopramondo. Sono pagine di altissimo valore non solo di cultura e di erudizione, ma an­che di sentimento e di emozioni. Croce non si limita ad aprire i volumi della libreria, ma apre soprattutto il cuore degli uomini per leggervi dentro la pienezza e l’elevazione massima degli ardori che vi sono contenuti. Forse, un buon critico letterario parlerebbe a questo punto anche del­l’importanza e del significato che assume la scelta di un dettato poetico orientato verso le forme chiuse. Ma davanti alla vastità panoramica del discorso ingaggiato potrebbe sembrare riduttivo impostare l’analisi in termini di ecolalìa critica sui riferimenti espressivi rivolti alla tradizione, sia pure in una tensione proiettiva di visione moderna. Meglio è rimandare il discorso a occasioni più approfondenti sulla poetica di Marcello Croce, poeta contemporaneo tra i più ricchi di novità oggi operativi in Italia.

Sandro Gros-Pietro

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