Prefazione

L’ideazione di una raccolta poetica orientata al concetto di mescolanza, miscela, ibridismo e meticciato, afferenti a tematiche diverse, vuoi perché collocate in tempi e luoghi diseguali, vuoi in quanto caratterizzate da contenuti che sviluppano altre problematiche: è questa la formula del libro di Poesia D’amore un cocktail, nella quale trionfa un sapore unico, che congiunge insieme il ventaglio delle pulsazioni emotive e degli elucubrati processi razionali, ed è l’eros. Si tratta proprio della pienezza dell’eros, tra corpo e spirito, tra emozione e ragione, tra salvazione e dannazione: è una sorta di hybris epica, che si porta appresso l’evocazione della tragedia, ma che va presa anche con il distacco del di­sincanto tipico della commedia – senza mai finire nella farsa – dell’artificio ad hoc, dell’invenzione fantastica, con roboanti annunciazioni di avventure, il cui strabiliante epilogo si concluderà nel ripristino della prevedibilità. C’è, nel retrogusto del cocktail, un fondo residuale di amarezza e di solitudine, che è il calice scontato di ogni conclusione umana, quando si arriva ad avere, come diceva l’impareggiabile Vittorio Gassman, un futuro alle spalle: è la formula che configura il domani come accumulo di ricordi del passato.

Il cocktail di eros che prepara il barman Salvatore D’Ambrosio è un vintage millesimato di ottima concezione poetica, decisamente postmodernista. Possiede un’eco di sperimentazione della parola poetica, perché ha decostruito i contenuti strutturati e canonici. Il testo si articola per messaggi che paiono codici di parole d’ordine, ovviamente appesi nel vuoto, come erano le trasmissioni di Radio Londra destinate alla Francia invasa da Hitler, quel far sapere che non si può sapere, tra spaesamenti e bizzarrie: dice chiaro ad un certo punto il Poeta, godi il puzzle che si ricompone, nella poesia intitolata Finalmente ho capito. Il mistero della vita, con il miscuglio di opportunità inopinate che fulminano la vista e l’immaginazione -una gonna cortissima a quadretti- sai è vero, ci sono della vita cose / che più non potrai dimenticare.

Per tutti noi che siamo viaggiatori nel tempo, disincantati e accondiscendenti -come il torrone morbido di Cremona a Natale- per noi che siamo sgraditi ai supermarket, perché non apparteniamo all’umanità omogeneizzata e conforme: per noi il mistero va respirato come una sigaretta senza filtro che buca i polmoni. Il Poeta lo fa capire nella poesia È come diceva la Ortese. Si tratta proprio di Anna Maria Ortese, nota al grande pubblico per Poveri e semplici, ma qui citata per quel capolavoro di romanzo del 1953, Il mare non bagna Napoli, libro che è la cronaca di uno spaesamento, illustrato dalla scrittrice che ritorna a Napoli, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Salvatore D’Ambrosio, lancia un appoggio citazionale per marcare un orientamento di gusto sperimentale. Successivamente, in Giardino segreto, scriverà apertamente Noi / cresciuti dentro le parole / della vita vera / abbiamo un giardino segreto / fatto di terra che / non sporca mai le mani. L’attività di chi scrive, dunque, non contamina la realtà del mondo, perché sono i fatti che danno forma alla storia dell’umanità, mentre le idee sono una sovrastruttura, secondo un sano principio del ben noto materialismo storico. E se ne potrebbe anche fare a meno, della struttura, dei canoni, delle forme chiuse e delle altre batterie di cucina. Il discorso nella sua complessità è diventato molto chiaro, perché a poco a poco si compone il puzzle.

I ricordi di famiglia, la figura del padre, col pennello da barba consunto, l’assistenza domestica -pronto è il caffè / da portargli a letto- il fascino della natura e l’accavallarsi delle stagioni, la mano della mamma, che è prensile e che accarezza al di là delle stelle in cielo, i viaggi ad Atene e le visite al Partenone: tout se tient, tutto si colloca in una pienezza di vita, vissuta con partecipazione e con stupore, nonché con curiosità ammirativa, di chi con la delicatezza di un refolo di vento solleva la ciocca di capelli di una ragazza dormiente per potere ammirare quel taglio obliquo degli occhi a mandorla. I ricordi sono luminosi, sensuali, talvolta apertamente erotici ed evocanti parti sensibili della donna, ma capaci di illuminare la vita, aprire orizzonti di sogno, restare indelebili, anche se, alla fine della fiera, resta il sale amaro di un amore divenuto impossibile, e il Poeta intuisce che si ritrova a bussare a una porta, dietro cui è chiusa un’altra vita.

Sandro Gros-Pietro

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Giugno

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