PREFAZIONE

Nel Giugno del 1997, passeggiando lungo una strada in un paesino al sud-ovest della Germania: Steinbach, paese nel quale abitavo, vidi una piccola taccola con un’ala rotta, che si dimenava fra il fango e le pozzanghere che la pioggia aveva lasciato fra la strada ed il marciapiede.
La raccolsi, le curai l’ala rotta con un’erba: la Consolida Maggiore e convivemmo per nove mesi.
Periodo nel quale io mi innamorai di lei, forse lei di me, periodo dal quale scaturirono le pagine di questo diario.
L’esperienza di dover accudire ad un piccolo volatile, mi riconduceva a precedenti esperienze d’infanzia, nelle quali sperimentai i miei primi innamoramenti attraverso passerotti o colombi che, nel loro silenzio, lasciavano spazio alle parole della mia fantasia.
Così, da adulto, mi ritrovavo ad affrontare una simile esperienza, arricchito però dalle mie precedenti conoscenze e quindi in un qualche modo “pronto” alle diverse eventualità che un tale incontro avrebbe suscitato in me.
Naturalmente, questo “essere pronto”, non è stato reale od afferrabile, a quanto pare, per ciò che ha a che fare con le emozioni, non esiste un particolare momento nel quale si possa sostenere di essere pronti.
Di sicuro esiste la nostra capacità e possibilità di accumulare ricordi, ma… e grazie al cielo, il vissuto emozionale, sarà sempre qualcosa di nuovo e diverso.
Il diario di Abraxas è stato per me un’occasione per poter affermare delle opinioni ed essere comunque ancora legittimato ad esistere come “essere umano”, ovvero, il tradimento che compivo nei confronti del genere umano era in fondo la denuncia di un volatile e non l’espressione della mia infelicità.
Nello scriverlo, ho pensato a come si potesse sentire un qualcuno, che anonimo, lasci un messaggio di accusa scritto su di un muro.
Ho fatto così i conti con un aspetto di me, l’irresponsabile o l’ingrato, che poco mi piace e ne sono uscito sollevato grazie alla considerazione che in effetti ero io l’autore di quello scritto, quindi ero io in fondo ad avere il coraggio di denunciare quelle falsità umane.
Il comunicare attraverso il pensiero di Abraxas, mi ha così inizialmente in qualche modo legittimato a sostenere una posizione altrimenti difficilmente sostenibile ed imbarazzante e, proprio grazie a questo, mi è stato possibile riprendere in seguito il possesso e la responsabilità delle denuncie dichiarate.
Naturalmente, l’artefice o la musa ispiratrice in tutto questo, è stata lei, la taccola e quindi, dovessi ringraziare qualcuno per la stesura di queste riflessioni, ringrazierei in primo luogo e comunque Abraxas.
Il diario nasce dunque come occasione per esprimere delle impressioni e dei concetti sul vivere, come esperienza di sdoppiamento di personalità, pur rimanendo negli ambiti umani, forse anche prendendomi un po’ in giro o confessando le mie incongruenze come rappresentante della razza umana.
L’aspetto che ho trovato interessante in questa esperienza, è stato il poter giocare sulla possibilità che, per la creatura-uccello, io potessi davvero essere un “Maestro” e questo mi autorizzava a ritenere sensato ogni mio atto, anche se insensato.
Questo, anche se alla prima impressione poteva far dubitare su di un probabile delirio di onnipotenza, mi sintonizzava sul fatto che le mie incongruenze potessero in qualche modo avere una loro ragione, una loro congruenza.
Abraxas, era il mio altro “Io”, quello saggio e divino e nella sua ingenuità e genuinità, mi metteva di fronte ad una Realtà che in fondo era l’unica possibile in questa attualità.
In pratica, ho incontrato in lei il maestro così tanto anelato e desiderato nel mio vivere, che fingendosi allievo, mi ha permesso di scoprire le saggezze nascoste in me che mai avrei trovato altrimenti.
L’essere innocente e naïf di qualsiasi animale, mi ha sempre posto di fronte ad aspetti odiosi dell’umanità, sino al punto di pensare che il vero “disumano” fra l’animale e l’umano, potesse davvero essere unicamente l’umano.
Così, questo uccello riuscì a motivarmi e ad autorizzarmi all’estendere questi pensieri e queste considerazioni, come le riflessioni sui compromessi o sull’amore, per me altrimenti difficilmente esternabili.
Un’altra parentesi grande ed importante che mi si aprì grazie a questa esperienza, fu lo sperimentare più che altre volte, la vicinanza e l’influsso, quasi la sovrapposizione, che avesse il concetto di possesso con quello di amore.
Non che possesso ed amore siano solamente concetti, quanto mi appariva in tutta la sua stonatura l’affiancarsi ed appunto il sovrapporsi che comunemente si fa fra queste due realtà in effetti in antitesi l’una con l’altra.
L’amore, dunque, rischia di venire a confondersi con ciò che riteniamo sia il nostro possesso e questa perversa modalità di vita ci condiziona a tal punto da porre in secondo piano il soggetto da noi ritenuto “amato”.
Sotto questa prospettiva, si manifesta tutto il nostro egocentrismo e possiamo constatare che in fondo l’oggetto del nostro amore, non siamo altro che noi stessi.
Questo, naturalmente non sottintende che noi non ci si debba amare, quanto esalta la necessità di prendere consapevolezza e coscienza delle nostre responsabilità.
Qui, mi ritrovai sui facili e scontati passi del moralismo, dove ogni atto di attenzione a se stessi, appare come egoistico e quindi condannabile e “peccaminoso”, senza voler prendere in considerazione che per conoscere meglio l’altro, io debba per forza conoscere me stesso.
In seguito, nella storia del nostro sviluppo, per non so quali ragioni, avanza e si ingrandisce lo spirito di arroganza, per cui, nella stesura di queste pagine, mi appariva sempre più nitida l’immagine di un essere umano unicamente occupato ed impegnato a fare capire al genere animale la sua arrogante superiorità.
Tale spirito di prepotenza, verrà semplicemente azzittito ed annullato proprio dalle ingenue esternazioni dell’uccello.
Quindi, è stato per me necessario raccontare al mondo parte dei miei stati d’animo attraverso l’esperienza più diretta che in quel frangente della vita mi accadeva.
Convivere con un uccello, era stata per me quell’esperienza ed i suoi nove mesi di permanenza, la gestazione affinché potessero nascere e prendere forma queste riflessioni.

 

 

 

VORWORT

Im Juni 1997 sah ich eine kleine Dohle mit gebrochenem Flügel, als ich auf der Straße eines Städtchens im Südwesten Deutschlands spazieren ging; in Steinbach, dem Ort, in dem ich zu dem Zeitpunkt wohnte. Sie wälzte sich in Mitten von Schlamm und Pfützen, die der Regen am Kantstein hinterlassen hatte.
Ich sammelte sie auf, heilte ihren gebrochenen Flügel mit einem natürlichen Mittel, der Beinwellwurzel, und wir lebten neun Monate zusammen, ein Zeitraum, in dem ich mich in sie verliebte, sie sich vielleicht in mich, ein Zeitraum, dem die Seiten dieses Tagebuchs entspringen.
Die Erfahrung, ein kleines geflügeltes Wesen pflegen zu müssen, führte mich zurück zu früheren Kindheitserfahrungen, im Zuge derer Spatzen oder Tauben zum Gegenstand meines ersten Verliebens wurden, die in ihrem Schweigen Raum ließen für die Worte meiner Phantasie.
So befand ich mich als Erwachsener angesichts einer ähnlichen Erfahrung, bereichert durch meine gesammelten Kenntnisse und dadurch in gewisser Weise ‘bereit’ für alles, was eine solche Begegnung in mir auslösen würde.
Natürlich war dieses ‘Bereitsein’ nicht real oder greifbar. Wie es scheint, gibt es für alles, was Gefühle betrifft, keinen besonderen Moment, in dem man sagen kann, dass man bereit sei. Sicher können wir Erinnerungen anhäufen, aber… dem Himmel sei Dank wird das emotionale Erleben immer neu und anders sein.
Abraxas Tagebuch war für mich eine Gelegenheit, Meinungen zu äußern, ohne die Berechtigung zu verlieren, als Mensch zu existieren, oder anders ausgedrückt, der ‘Verrat’, den ich gegenüber der menschlichen Spezies beging, war nicht Ausdruck meines Unglücklich-Seins, sondern im Grunde genommen das Protestschreiben eines geflügelten Wesens.
Während ich schrieb, dachte ich daran, wie sich einer fühlen möge, der anonym eine Protestbotschaft auf einer Mauer hinterlässt.
So habe ich mich mit einem Teil von mir, dem Verantwortungslosen oder Undankbaren, auseinandergesetzt, der mir wenig gefällt, und die Überlegung, dass ich tatsächlich der Autor dieses Schriftstücks bin, hat mir geholfen, da herauszukommen. Also bin ich es, der den Mut aufgebracht hat, die menschliche Falschheit aufzuzeigen.
Durch Abraxas Gedanken zu sprechen, hat mir so anfänglich in gewisser Weise die Berechtigung gegeben, eine ansonsten schwer vertretbare oder peinliche Position zu vertreten, und in der Folge wurde es mir dann wieder möglich, die Verantwortung für die Protesterklärungen zu übernehmen.
Natürlich war bei all dem für mich die Dohle Schöpferin oder inspirierende Muse, und daher würde ich, sollte ich jemanden für das Niederschreiben dieser Reflektionen danken, an erster Stelle und in jedem Fall Abraxas danken.
Das Tagebuch entsteht also als Gelegenheit, Eindrücke vom und Ideen über das Leben zum Ausdruck zu bringen, als Erfahrung der Verdoppelung der Persönlichkeit, dabei immer im Bereich des ‘Menschlichen’ verbleibend, vielleicht auch mich selber ein wenig auf den Arm nehmend oder meine Ungereimtheiten als Vertreter der menschlichen Spezies gestehend.
Der Aspekt, den ich in dieser Erfahrung interessant fand, war, mit der Möglichkeit spielen zu können, dass ich für die Kreatur ‘Vogel’ tatsächlich ein ‘Lehrmeister’ sein könnte. Dieser Ansatz erlaubte es mir, jede meiner Handlungen als sinnvoll zu betrachten, auch wenn sie unsinnig waren.
Auf diese Weise wurde ich auf die Tatsache eingestimmt, dass meine Unstimmigkeiten auf irgendeine Weise einen Grund und damit eine ihnen eigene Stimmigkeit haben könnten, auch wenn man auf den ersten Blick einen wahrscheinlich bestehenden Allmachtswahn vermuten könnte.
Abraxas war mein anderes ‘Ich’, das weise und göttliche, und in ihrer Unschuld und Ursprünglichkeit konfrontierte sie mich mit einer ‘Wirklichkeit’, die im Grunde genommen die einzig mögliche in dieser Wirklichkeit war.
Man kann praktisch sagen, dass ich in ihr dem Lehrmeister begegnet bin, den ich in meinem Leben so sehr ersehnt und nach dem es mir so sehr verlangt hatte, die, indem sie so tat, als sei sie meine Schülerin, es mir erlaubte, die in mir versteckten Weisheiten zu entdecken, die ich anders nie gefunden hätte.
Das unschuldige und naive Wesen jedweden Tieres hat mich immer mit den hassenswerten Aspekten der Menschheit konfrontiert, bis zu dem Punkt, an dem ich dachte, dass bei einem Vergleich von Mensch und Tier wirklich der Mensch der eigentlich ‘Unmenschliche’ sein könnte.
So gelang es diesem Vogel, mich dazu anzuregen und mir dafür die Erlaubnis zu geben, diese Gedanken und Überlegungen niederzuschreiben, wie z.B. die Reflektionen über die Kompromisse oder die Liebe, die ich anders nur schwerlich hätte äußern können.
Eine andere große und wichtige Parenthese, die sich mir dank dieser Erfahrung eröffnet hat, ist, dass ich stärker als bei anderen Gelegenheiten erfuhr, wie nah das Konzept des Besitzes dem der Liebe ist, welchen Einfluss es auf dieses hat, ja dass es es nahezu überlagert.
Nicht dass Besitz und Liebe nur Konzepte wären, vielmehr erschien mir die Tatsache in ihrem ganzen Missklang, dass diese beiden Realitäten, die doch in Wirklichkeit in Antithese zueinander stehen, gemeinhin nebeneinander gestellt und, wie bereits gesagt, überlagert werden.
So droht die Liebe verwechselt zu werden mit dem, was wir als unseren Besitz betrachten, und diese perverse Lebensweise bedingt uns derart, dass wir das Subjekt, das wir als von uns ‘geliebt’ betrachten, an die zweite Stelle stellen.
Unter diesem Blickwinkel wird all unsere Egozentrik manifest und wir stellen fest, dass im Grunde genommen niemand anderes als wir selber das Objekt unserer Liebe sind.
Dieses soll natürlich nicht bedeuten, dass wir uns nicht lieben sollen, sondern vielmehr auf die Notwendigkeit hinweisen, uns unserer Verantwortlichkeiten bewusst zu werden.
An dieser Stelle befand ich mich auf den Fußspuren des Moralismus, der es sich leicht macht und vorhersagbar ist, wo jede Handlung, deren Aufmerksamkeit sich auf einen selber richtet, als egoistisch und damit ‘sündhaft’ erscheint, ohne in Erwägung ziehen zu wollen, dass man gezwungenermaßen sich selber kennen muss, um den anderen kennen zu können.
Aus mir unbekannten Gründen tritt dann im Zuge unserer Entwicklungsgeschichte der Geist der Arroganz hervor und nimmt immer mehr Raum ein. Von daher erschien mir beim Niederschreiben dieser Seiten immer klarer das Bild eines menschlichen Wesens, das einzig damit beschäftigt und davon beansprucht ist, der Gattung der Tiere seine arrogante Überlegenheit zu verstehen zu geben. Dieser Geist der Überlegenheit wird schlicht und einfach durch die unschuldigen Äußerungen des Vogels zum Schweigen gebracht und annulliert.
Aus diesem Grund war es für mich eine Notwendigkeit, der Welt von einem Ausschnitt meiner Gemütszustände anhand der unmittelbaren Erfahrung zu erzählen, die mir in diesem kurzen Abschnitt meines Lebens widerfahren ist.
Mit einem Vogel zusammen zu leben, war für mich diese Erfahrung und sein neunmonatiger Aufenthalt die Schwangerschaft, während derer diese Reflektionen entstehen und Form annehmen konnten.

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