Prefazione

Giovanni Stella concepisce la Poesia – e con essa l’intera letteratura – come l’espressione più durevole e autentica della vita. Per proporre una metafora di immediata comprensione, si dirà che il poeta è il tagliatore che raccoglie la gemma grezza, la scompone e la segmenta per farne un diamante di impareggiabile lucentezza. Però, invece di una pietra, Stella si concentra su un evento di vita ovvero anche su una idealità, un sogno, un concetto, un argomento tematico di peso: ne studia la complessità e infine lo taglia o più esattamente ne ricostruisce la forma e il contenuto con il bisturi della scrittura. L’argomento, per grande predilezione e per versatilità del Poeta, è quasi sempre un vissuto quotidiano che viene poi trasformato in diario poetico. Se il tagliatore dalle pietre preziose ottiene le gemme, ecco che il Poeta dalla vita quotidiana ottiene, invece, la vita ornata, che ne è la versione artistica rappresentativa e simbolica, proprio come il diamante trasforma in versione d’artista la pietra greggia, similmente la vita ornata è traduzione poetica, rimodellata e rifinita dall’arte della scrittura, di una preziosa scheggia di vita. Una passeggiata, una conversazione fra amici, l’osservazione del tramonto dietro i monti Iblei, la visita a una mostra d’arte, un viaggio esotico o un’escursione nelle vestigia delle civiltà antiche, le blandizie gioiose dei nipoti, la beltà rasserenante della donna amata o anche semplicemente una tazzina di caffè servita da mani gentili al tavolino nella piazza centrale di Avola: tutto diviene il quadro perfetto nel suggello di un episodio di vita ornata, cioè di una poesia.
Sono molti i maestri a cui Giovanni Stella si ispira nell’e­secuzione della sua arte di tagliatore di gemme. La vita è la sua miniera a cielo aperto e i libri – un’infinità di li­bri! – sono gli strumenti del lavoro. Come sempre accade, si impara per emulazione da chi è venuto prima. Nel caso della letteratura, gli esempi cui Stella si ispira risalgono indietro nel tempo fino alle origini, cioè alla mitologia greco-romana. Basti dire che il mito più ripreso è quello di Icaro e di Dedalo, di cui più volte viene citato il celebre verso di Ovidio, dedit oscula nato non iterum repetenda, diede baci al figlio non altra volta ripetibili. Ma i richiami tratti dall’antichità sono ben più numerosi, da Platone e quindi da Socrate, da Senofonte, da Orazio, da Virgilio, anche se indubbiamente Ovidio è forse il più citato, lo è anche nel mito di Perseo e Medusa, sempre dalle Metamorfosi. Ovviamente i grandi classici italiani alitano in coro sulle pagine di Stella: Dante, Petrarca, Metastasio, Ariosto, Tasso, Foscolo, Leopardi, d’Annunzio hanno continue agnizioni istantanee tra i versi del Poeta avolese, debitamente evidenziati col richiamo del carattere corsivo, per segnalare l’inserto – l’intarsio? – di una presenza amica e autorevole. Tuttavia, se la mente di Giovanni Stella divaga per la temperie dei secoli della nostra civiltà, appare chiaro che gli occhi e il cuore sono calamitati quasi esclusivamente ai tempi moderni e lo scrittore che fa da discrimine per aprire il sipario della modernità è sicuramente Charles Baudelaire. Quest’ultimo sta in buona compagnia, con Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, e al di là dell’o­ceano Walt Whithman. Innumerevoli sono gli autori considerati pietre miliari del Novecento, come Guillaume Apollinaire, James Joyce, Louis Borges, Thomas Stearns Eliot, Luigi Pirandello. Neppure mancano i più recenti come Jacques Prévert, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Gesualdo Bufalino, Giovanni Testori e ancora tanti e tanti altri scrittori, attori, cantanti, uomini di cultura, e grandi maestri delle professioni liberali, questi ultimi proposti come esempio di saggezza, deontologia, vastità e profondità di conoscenze.
Alla fine il lettore si rende conto che è l’amicizia la carta più importante del mazzo. L’amicizia è l’asso di cuori. Letteratura come amicizia potrebbe essere il motto ex-libris da imprimere su tutti i volumi di Giovanni Stella. Dall’unione della parola scritta con la conoscenza umana dell’autore, nasce nel nostro Poeta l’amore verso la poesia e la letteratura in genere. Bisogna dire che è più frequente il sentimento opposto. L’ostilità dei poeti fra loro è qualcosa di epico. Giovanni Battista Marino arrivò a prendere a pistolettate Gaspare Murtola per le vie di Torino. Gabriele d’Annunzio manifestò un’irrefrenabile derisione nei confronti di Giovanni Pascoli. Che dire, poi, dei fierissimi odi letterari di Vittorio Alfieri e di Ugo Foscolo? Giovanni Stella, invece, ha seguito l’esempio offerto dal padre della Poesia italiana. Infatti, per Dante l’amicizia letteraria è il valore umano più alto e più nobile concepibile, fino al pun­to di potere quasi rivaleggiare con il sentimento d’amore provato verso la donna amata. Dante si scelse un amico, più anziano di lui di circa sette anni, che divenne compagno e mentore, cui rimase convintamente attaccato, fino alla morte del sodale. Si tratta, come ben si sa, di Guido Cavalcanti, che era legato a Dante a formare il trio insieme al notaio Ser Lapo Gianni, quest’ultimo splendido esempio di professionista colto, amante della vita, dell’arte e della Poesia. Viene ovunque riportato come esempio di fusione tra l’amicizia e la Poesia lo splendido sonetto dantesco inserito in Vita nova, a fondamento del dolce stil novo, con il celebre attacco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel, ch’ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio.
Nel vasel di Giovanni Stella possiamo idealmente collocare due anime tra le più sensibili del secondo Novecento. Precisamente si tratta del noto poeta e studioso torinese Giorgio Bárberi Squarotti, e del noto avolese accademico, italianista, traduttore e saggista Jean-Paul Manganaro. A differenza di quello dantesco, questo trio non ha avuto molte occasioni di cementazione nella vita comune, ma certamente di profonda meditazione, rispetto e riflessione sulle opere dell’uno e dell’altro. Giovanni Stella è stato il ponte ideale di comunicazione tra i due accademici, l’uno principe dell’ateneo sabaudo e l’altro in cattedra alla Sorbonne di Parigi e all’università di Lille, nelle Fiandre Francesi. Il Diario poetico si apre con un commosso, riverente, anche confidenziale omaggio del Poeta al suo più anziano mentore, Giorgio Bárberi Squarotti, che è mancato ad aprile del 2017. Immensa è la commozione, l’affetto, il canto devoto che il Poeta rivolge all’amico salito ai più alti cieli stellari della poesia. L’intero omaggio rappresenta uno degli esempi più luminosi di ciò che Dante intendeva per “letteratura come amicizia”. Infatti, sia concesso, in chiave di sommessa ironia benevola, osservare che il grande affetto nutrito da Dante nei confronti di Cavalcanti non gli impedì affatto di collocarlo a patire per l’eternità la pena di giacere in una tomba infuocata, in quanto eresiarca, bruciato dalle fiamme del castigo divino insieme ai suoi seguaci d’eresia. Al contrario, Giovanni Stella si immagina che l’amico poeta Giorgio sia assunto in cielo e da lassù lo osservi con benevolenza nella conduzione della vita quotidiana. Jean-Paul Manganaro è invece – per fortuna sua e nostra – destinato a condividere ancora per lustri il destino terragno in questa valle di lacrime, tuttavia allietato da dilettevoli conversazioni, incontri in ameni luoghi ristoratori, consultazioni di rare opere librarie e altre gioie dello spirito, come il Diario compuntamente registra.
Come è già successo a Dante, anche Stella ama molto i rappresentanti delle libere professioni – nel tardo medioevo dovevano ancora chiamarsi tali, erano semplicemente indicati con l’appellativo di Ser. Basti leggere le numerose poesie dedicate a rappresentare l’umanità e la cultura di professionisti di alto livello della società italiana come l’avvocato Franzo Grande Stevens e l’avvocato e ministro Alfredo De Marsico. Non mancano gli amici in campo artistico, come si conviene a un autentico umanista, quale sicuramente è il nostro Poeta, per il quale non c’è differenza fra le arti, essendo le Muse tutte sorelle di pari dignità, anche se probabilmente ad Erato, la musa della Poesia d’amore, va riconosciuta una forma di priorato spirituale tra divinità paritarie. Accade così che tra i tanti nobili artisti nominati nel Diario Poetico – attori, cantanti, musicisti, librai sulla Senna e altro ancora – il preferito dell’anima sia il pittore Saro Arizza, sostenitore del cromatismo tattile, cioè si tratta di una pittura che non solo stupisce per l’azione splendente del contrasto cromatico, ma che invita anche irresistibilmente al piacere tattile dell’opera, con il palpeggio dei polpastrelli sulle rotondità ovvero asperità ispessite dell’opera.
In questa grande ridda di protagonisti che si affacciano sul proscenio del Diario poetico per recitare volta a volta un assolo che è il medaglione dedicato loro dal Poeta – si diceva la gemma incastonata sull’anello poetico – l’unico vero e sommo protagonista che trionfa in ogni pagina, al di sopra di tutti gli altri, e che è presente anche con la sua assenza, ancora più incombente della presenza stessa, è l’Isola per antonomasia: il luogo di tutte le civiltà passate, presenti e prevedibilmente di quelle future. Nell’opera, l’Isola viene definita con cinque metafore diverse, ripresa da altrettanti cinque scrittori sommi siciliani. La Sicilia, dunque, è il luogo di tutti i luoghi ed è il tempo di tutti i tempi in cui ha vissuto e tuttora vive il nostro Poeta. Il quale ha viaggiato per un’infinità di città diverse, prima fra tutte e amata al di sopra di ogni altra è la città di Parigi. Verrebbe da dire: “Se solo Parigi avesse i due mari che si incontrano al largo di Capo Passero e disponesse di quell’Inferno e di quel Paradiso in terra che è l’Etna, allora di lei potremmo dire che sarebbe quasi come una seconda Sicilia, forse più piccina e meno luminosa, ma quanto poetica anch’ella!” Si ritiene che questa affermazione possa apparire forse un po’ azzardata: magari tropo generosa verso i parigini e troppo punitiva nei confronti dei siciliani. L’unico modo per farsene una ragione è tenersi caro sul comodino una copia del Diario poetico e leggerne ogni sera qualche pagina.

Sandro Gros-Pietro

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