Premio I Murazzi per l’inedito 2015 (Dignità di stampa)
Motivazione di Giuria

L’atmosfera d’introspezione e di intimità della poesia di Paola Novaria è ricostruita con l’incanto inventivo della fantasticheria iperealistica ed erudita, attraverso cui il quotidiano viene raccontato sul boccascena di un immaginario teatro il cui sfondo scenografico è rappresentato dalle occasioni colte della letteratura, con un recitativo proposto come un assolo lirico, ricco di nostalgia e di bellezza, talvolta ombreggiato dall’amarezza della solitudine, e con avvaloramento della parola poetica che si eleva a raccontare la vicenda contrastata di un “bene alloglotto”.

 

Prefazione

C’è più di una continuità ideale tra Per carmina quaero, uscito nel 2012 e molto apprezzato dalla critica più esigente, e Documento di identità, che vince oggi la dignità di stampa al concorso de I Murazzi del 2015. Sono stati tre anni di intensa crescita per la poesia di Paola Novaria, che ormai viene indicata come una delle voci più interessanti del panorama poetico dell’Italia del Nord e specificamente della “piazza torinese”, che dalla fine dell’Ottocento ad arrivare a oggi ha sempre espresso poeti di grande rilevanza nazionale e internazionale. Una crescita avvenuta in termine di spessore del racconto della vita: è un pescare più a fondo e più al largo, c’è una visione cosmopolita, drammatica, sofferta, ma anche c’è una consapevolezza amorosa e condivisa della condizione comune di disamore che investe tutta l’umanità. C’è il sorriso che sigilla addolorato e benevolo la comune condizione di anime assetate dal desiderio di donare e di ricevere amore, ma anche assediate dalle cortine della solitudine, da un’egocità invincibile, da un individualismo asfissiante, che tuttavia è l’unico volto dell’uomo metropolitano moderno cresciuto nella civiltà del benessere, tra i vocativi ossessionanti di realizzazione di sé, che asfissiano come gas di palude ogni risorsa e ogni dono oblativo verso il prossimo. Imparare a vivere in questa palude così cocciutamente antierotica è il mestiere di vivere che trasmette impareggiabilmente nei suoi dolcissimi – ma anche cerebrali – versi la poetessa Paola Novaria. Versi scritti con il cuore e con la mente, entrambe di altissimo potenziale lirico. Ma a scanso d’equivoci va subito chiarito che la mente di Novaria non consiste in un affaire littéraire, nel senso che non è mai una questione di approccio alle forme deputate del dire, buono a risolversi con l’omaggio a questo o a quello scrittore. Si trat­ta, invece, di un’argomentazione teorica e ragionata del sentimento dell’amore, che è quanto di più sragionevole o addirittura irrazionale possa esistere. Il filo rosso di questo secondo libro consiste, dunque, nel percorso delle ragioni dell’irrazionale, o meglio, come di­ce bene la stessa scrittrice, della fantasticheria, per dirla esatta sarebbe la revêrie, citata attraverso l’esergo dedicato a Gaston Bachelerd, il filosofo-poeta che si batte contro la razionalità vuota dell’idealismo allo stesso modo con cui si batte contro il materialismo tradizionale, e preferisce evocare l’immaginario poetico, già ce­lebrato da Jean Bertrand Pontalis, psicanalista e filosofo amico di Sartre, nel suo testo sacro Il dormiglione risvegliato. Allora, chiariamo questo punto di base: in Paola Novaria il gioco della letteratura è un diversivo, cioè è un trompe-l’œil, un panorama vuoto, un dipinto in prospettiva che inganna per la sua verisimiglianza con il reale. Ciò che realmente conta è l’atto del risveglio, è il ragionamento accorto e accorato sull’incanto e sul discanto del sogno letterario: le possibilità stanno negli orli di quel buco nero che si inghiotte la realtà che noi siamo incapaci di descrivere senza falsarla e che contemporaneamente si inghiotte il sogno che noi siamo incapaci di evocare senza deformarlo. Il poeta sarebbe il demiurgo che sta in bilico su quell’orlo abissale e rivelatore del sogno sulla condizione del reale, riscritto dalla letteratura. Tutto ciò sia detto con quella buona dose di grazia propositiva e di rassegnazione al disastro epistemologico che c’è sempre nell’atteggiamento popperiano di Paola Novaria: quel dignitoso arrendersi all’inevitabilità quasi salvifica di cadere in errore, e di ritrovare in esso lo zoccolo duro della condizione umana. Rispetto a Per carmina quaero, il nuo­vo libro, Documento di identità, è molto meno riverente e ossequioso alle ragioni della letteratura ed è molto più scarnificante e indagatore sulle questioni dell’anima, del cuore, del corpo, dello spirito, e, per pronunciare la parola riassuntiva e totale, è molto più dalla parte della vita ed è molto di meno da quella della letteratura, anche se tutto il libro è scritto fornendo al lettore un’opportuna segnaletica testuale di appoggi, di rimandi, di richiami, di ossequi alle letture e alle ispirazioni bibliografiche, ma si tratta, anche qui, di meravigliosi trompe-l’œil di ottima fattura estetica, dei quali Paola Novaria, forse anche per un tic connesso alla sua professione di divoratrice e di catalogatrice di libri, non vuole mai liberarsi totalmente. La stella polare del libro, però, il documento di identità che fornisce le coordinate dell’incontro con la scrittrice, il suo appuntamento con la storia della parola poetica, non è certo di natura intellettuale e libresca, ma è, come si è già detto, il ragionamento di serena disperazione sull’impossibilità di vivere pienamente e liberamente l’eros nella condizione sociale e civile del tempo e della cultura in cui viviamo: è una denuncia universale, che travalica decisamente le condizioni personali della Poetessa. Tali condizioni sono rese ancora più intricate dal suo amore alloglotto, di cui il documento di identità intende pienamente fornirci notizia certificata e scritta, ma ciò non deve portare automaticamente il lettore a includere Paola Novaria nella ricca e anche bellissima serie degli amori femminili impediti e/o proibiti, di cui non è qui il caso di fare l’elenco sia perché è sovrabbondante sia perché ci porta inevitabilmente fuori strada. Infatti, in Novaria il discorso non tratta mai il tema “dell’amore diverso”, ma tratta sempre e soltanto il tema dell’amore, cioè il vero e autentico dono di sé, che cozza inevitabilmente con la realtà del mondo, e che diventa un fatto non tanto illecito, ma decisamente impraticabile, impossibile da vivere nella realtà quotidiana della vita, se non come una fantasticheria. Fare dono di sé alla persona amata è per tutti un fatto imbarazzante e incomprensibile, bisogna invece venire a patti con il reale, e limitarsi a firmare contratti coniugali, vincoli di assistenza, abitudini collaborative, licenze evasive, e tante altre pratiche diverse, che tuttavia sono cosa tutt’affatto diversa dall’eros che Novaria descrive nelle sue bellissime poesie. Sono poesie che hanno cento orizzonti, e che dilatano il tema centrale dell’amore, anche adottando tante soluzioni formali differenti di scrittura, come si può vedere nella sezione finale del libro, così arieggiata e ricca di spunti e di osservazioni rivelatrici del mondo interiore della scrittrice, e testimoni dello stupore incantato e affascinato con cui Paola Novaria osserva il mondo e i protagonisti della vita.

Sandro Gros-Pietro

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2 recensioni per Documento di identità

  1. Marie Thérèse Giraud

    La raccolta si apre con l’evocazione incantatoria del ritorno alla mente di un istante unico: “In piedi…” Vi è tutta la risonanza profonda della poesia di Paola. Un contatto quasi furtivo trasforma la banalità di un ingresso, in cui forse si è trovato rifugio dall’acquazzone, in un momento che prende tutto il suo posto nella marcia della Storia, nell’imprpvviso sospensione della pioggia. Tutto sembra fermarsi, attendere nel religioso silenzio che l’avviluppa, l’accadere di qualcosa di unico. Ma la sospensione è brutalmente interrotta dalla forza tumultuosa della vita, che più che scorrere, “scroscia”, violenta, quasi crudele. Certo è una poesia d’amore che ci racconta un intenso momento d’incontro, ma ci si può leggere anche quello d’incontri fulminanti con pensieri o sentimenti che ci rapiscono e ci portano un po’ oltre i nostri limiti. E questa lettura anch’essa si può fare per altre poesie delle raccolte anteriori. Questa poesia apre “Documento di Identità che è, per ora, l’ultimo anello di una già lunga catena di raccolte che non vanno staccate, lungo canto d’amore e non solo. E come non pensare alle trovatore, poetesse dell’amor cortese come fonte di civiltà. Come nei loro versi, c’è in quelli di Paola la richiesta incalzante d’amore, la chiara espressione di un desiderio forte, il lamento per la freddezza dell’oggetto d’amore, per la sua incomprensione, la sua lontananza, quest’ultima fonte di dolore, ma anche strumento di miglioramento, di elevatezza raggiunta dal controllo degli impulsi, che prova che l’amore è più sentimento che istinto. La poesia di Paola va ben oltre il culto dell’oggetto amato. Si tratta, come del resto nella civiltà cortese, di un culto dell’amore, come valore assoluto, come centro della vita e dell’arte che ne vengono valorizzati. Questo culto dell’amore, come presso le trovatore e più avanti le mistiche, fonda un’etica, un arte del vivere insieme, nel rispetto delle reciproche libertà.

  2. Antonella Antonelli

    In un momento così particolare di mancata coscienza del proprio sé, il rapporto tra corpo e mente può essere simbolicamente riversato su un documento che ci convinca che sì, siamo e siamo virtuali ma anche terreni. Paola Novaria, (poetessa torinese), lo esprime in mille modi ma lo timbra, lo scolpisce nel titolo del suo ultimo appassionante, corposo lavoro “ Documento d’identità”. Ci ritroviamo in strade, percorsi, gesti, quotidianità riempite di ricordi, sensazioni, profumi, malinconie, attese legate a spirale ai sogni e desideri di un corpo e un animo quasi distrattamente legati. Atmosfere dove ogni piccolo gesto richiama l’amore, la passione infinita seppure misurata al passo dell’altro, la lentezza millenaria dell’avvicinarsi rispettoso, l’abbandono quasi erotico al pensiero, alla mente che dà e chiede, come un ramo nodoso, vincoli e fedeltà alla vita e all’oggetto d’amore. Il tutto con un linguaggio ridotto, sfoltito, selezionato, moderno, ma dettato dalle più alte note dell’impostazione classica, del rigore formale: endecasillabi e settenari perfetti, ricercati, voluti. La poeta sembra aver arato la mente con le mani, annusato l’odore dei pensieri, respirato amore in ogni stilla di questo sudato percorso, e questo il lettore può ritrovarlo nel suo personale, condivisibile “Documento di identità”. Antonella Antonelli

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