Nello stile fluente e preciso della narrazione, densa e illustrante la realtà, come una lacca cinese depositata con cura a più strati adornerebbe la mobilia della casa, Raffaele Cavazzoni ci dà conto in queste luminosissime pagine di un aspetto eterno della grande comédie humaine di Honoré de Balzac: la terza stagione della vita è il tempo delle castagne autunnali, gli ultimi frutti della prosperosa vita che sopraggiungono prima della morta stagione. Superato il tempo delle mele, che è rappresentato dai succosi pomi della giovinezza, quello delle castagne, farinose e pesanti da digerire, ma adatte a una piega esistenziale di rassegnazione e riepilogo, si prospetta come la vocazione a ricapitolare il bilancio conclusivo. Ne viene fuori una sentenza che avrebbe fatto sorridere Erasmo, con arresa ironia: l’impossibilità di darsi conto dello sperpero folle di energie, lo scialo di forze, di idee, di sentimenti, di emozioni, sacrificate all’insegna dell’egocità ovvero di vani sogni, come fosse un puledro agognato che non avremo mai nella nostra stalla, le manie inspiegabili dell’igiene, l’attesa spasmodica di un’eredità destinata a essere conferita nello stupore di una destinazione inattesa, i camuffamenti del vizio nella virtù teatrale dei babbi natali, la pazzia di un amore floreale e incomprensibile verso un albero plurisecolare, che diviene inaspettatamente simbolo di saggezza, rigenerazione e benessere, e altre situazioni ancora. Il grande dono narrativo di Raffaele Cavazzoni precisamente consiste nel sapere illustrare con ordinaria genialità l’enigma dell’insanità mentale che corrode il ragionamento umano, come bene mette a nudo un aforisma – arte in cui Cavazzoni è maestro – di Anatole France: Non è certo la ragione che governa la ragione degli uomini.

Sandro Gros-Pietro

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