Prefazione

La lezione perfettiva della poesia di Walter Chiappelli – come bene sanno i cultori più appassionati di poesia in Italia – è un luminoso riverbero della visione paradisiaca di Dante che si compendia nel verso finale della Commedia, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Questo è il seme e questo è il frutto della poesia del Poeta di Porretta, perché l’amore nasce dal­l’amore e produce amore. Chiappelli coniuga tutte le forme di amore possibile a patto che esse si realizzino con un’azione oblativa di sé stessi verso il prossimo. Ciò esclude decisamente l’amor proprio, che agli occhi del Poeta è sterile e quindi è come il seme buttato tra i sassi del deserto, e non potrà mai fecondare, né trasformarsi nel miracolo della creazione. L’amore, infatti, ha un suo preciso scopo da realizzare, che consiste nel processo di fecondazione e di creazione della vita. Si dovrà bene intendere, per fecondazione, la nascita di nuove creature. Ma non solo, perché c’è anche la nascita di nuova spiritualità, di nuove idee, nuove armonie e più di tutto dell’ottimismo e della speranza, per giungere infine a ciò che è il contenuto più significativo della poesia di Chiappelli, precisamente la nascita della gioia perfetta, consistente nel sentirsi parte vivente del miracolo della creazione. Ci vuole una sorta di percorso di iniziazione per arrivare a conseguire tale risultato. La maturazione del vero amore, dunque, consiste in un’educazione continua dell’anima che si affina e si perfeziona nel tempo e che diviene più feconda, a mano a mano che si sente più integrata nella creazione, fino al punto che ogni singola creatura si autoannichilisce co­me individuo singolo e si autoesalta nella totalità o più esattamente sperimenta l’estasi di immedesimarsi nella complessità del miracolo della creazione, come si legge nei versi “La Creatura non è nulla, neppure / la creatura che pensiamo non pensi; / e tutto l’esistente è necessario / all’armonia della vita nel mondo”. Il processo di educazione dell’anima inizia con il culto della poesia, in quanto espressione più completa e articolata dell’uso della parola, “La bellezza o verità / della poetica parola / letta in silenzio e goduta nell’ora più accorta / – come in silenzio gode l’amante / nell’amato l’aurorale sensualità / lumeggiante negli sguardi d’amore – / a poco a poco fa sorgere e poi divampare / nel cuore negli occhi nostri contemplanti / sue dolci ardue tensioni passionate / suoi sensi raggianti, sua anima-mente / creativa, suo imponente duraturo splendore”. La poesia, dunque, è il linguaggio dell’amore, perché è l’esaltazione dell’invenzione più geniale che l’uomo abbia realizzato, cioè la parola, che permette di descrivere e di interpretare e trasmettere la complessità della creazione. Ed ecco che, per sentirsi parte integrata nel tutto bisognerà percorrere gli “arcobaleni sacri”, che sono i legami pon­tefici che uniscono la creatura alla creazione nella sua completezza. La donna è l’arcobaleno umano più importante in quanto sede della bellezza, dell’eros, fecondatrice dell’intera umanità, già amabile e adorabile fin dalla sua innocente fanciullezza, “Quante bambine –: / grembi che daranno occhi al mondo / illuminandolo con gli sguardi dei figli; / quest’immensa energia dello spirito / della carne in cammino verso l’età / fe­conda, l’età che per natura sente / fremere nei sensi il richiamo d’amore”. Ma l’educazione all’amore si fa anche imparando a scoprire il valore di altre categorie fondamentali per l’esperienza umana, come il tempo (“è silenzioso potere, dominatore / assoluto invisibile distruttore”), la musica (“è verità, la Musica”), la ragione (sia come il sole nel cielo / la nostra ragione nel capo”), la pace (“la pace bella è amore della vita / e della vita di ogni essere vivente”), la probità (“la probità di tante persone / rafforza il mio pensiero, l’illumina, / così con più perspicacia / osservo e comprendo le Creature”), il congedo dei morti (“mentre fissiamo quegli occhi / dal cui dolore spunta / l’ineffabile felicità / assoluta, eterna, confortandoci… / gli abbassiamo le palpebre), l’eros (“come dall’amplesso d’amore nasce / gioia, comunione sovrana / è il corpo e lo spirito / che in orgasmo vibrante vogliosamente / conosce la divina ebbrezza”). Ma gli arcobaleni sacri consistono anche in azioni di contrasto al male o più esattamente in azioni di liberazione dell’uomo dalle sue gabbie più perniciose, per sé e per il prossimo suo, prima fra tutte l’affrancamento dall’ignoranza, poi la lotta al maschilismo e in generale alla brutale prepotenza ancora e sempre inflitta da indegni uomini a donne indifese. Poi c’è da combattere l’egoismo, che abbiamo già visto trasformarsi in una sterilità assoluta dell’animo umano e che richiude le persone dentro se stesse come dentro una gabbia invisibile, destinata a condannarli a non godere più del­la bellezza del mondo, ma a vivere nell’ossessione di per­seguire vanamente i propri vantaggi personali, e pre­sto li rende succubi di una nevrosi di autoreferenzialità asfissiante. Infine, c’è la gabbia che agli occhi del Poeta di Porretta appare la più deleteria di tutte, ed è il pessimismo. Proprio il pessimismo, da Chiappelli, è ritenuto l’autentica peste che ha colpito le menti degli intellettuali, causando una serie di disastri catastrofici, a cominciare dalla presunta morte di Dio per finire con la celebrazione parossistica dell’individualismo più scatenato e con il più assoluto solipsismo, egoismo, egocentrismo o egocità, che dire si voglia, da cui deriva una devianza totale dalla strada maestra che conduce all’autentica gioia. La strada maestra, pertanto, è data da quella serie di “arcobaleni sacri” che solo in minima parte sono stati qui accennati, ma che sono pienamente illustrati nell’intreccio poetico di questo poema inconsueto o, più esattamente, decisamente moderno e contro corrente.
La poesia di Walter Chiappelli ha il carattere della modernità che le è impresso già dalla forma del linguaggio adottato, così simbolico e sognante, ma nel contempo anche filosofico, metafisico e con ricadute fino anche psicologiche e pedagogiche. Si tratta di una poetica decisamente controcorrente perché, senza ripudiare l’elemento autobiografico e l’espediente espositivo dell’io-poeta, decisamente si schiera contro la cultura imperante dell’iper-individualismo, che pare sia di­ve­nuto il Leitmotiv della poesia contemporanea. Tuttavia, la posizione forte e netta assunta da Walter Chiappelli ha ottenuto molti appoggi da parte della critica e ha suscitato qualcosa più di una semplice approvazione, ma quasi un’autentica devozione attribuitagli da uno dei maggiori poeti italiani viventi, come testimoniano le lettere ammirative, riunite nell’appendice finale, indirizzate da Giorgio Bárberi Squarotti al poeta di Porretta.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana