Prefazione

Al primo colpo d’occhio, quel verso breve e sincopato, ingaggiato in un linguaggio poetico piano e corsivo, così aderente alla necessità della comu­nicazione immediata, così scevro dall’artificio letterario, conduce il lettore a collocare il libro Han­no l’alba nel cuore sul versante del modernismo poetico, risalente a Ruben Dario e Antonio Machado. Sarebbe una collocazione tanto più autorizzata, perché c’è la poesia specifica L’ombra di Machado, che occorre citare nella sua interezza, “L’ombra di Machado, / imprigionata dai versi / della sua poesia / vaga nei sogni / impazzita di vita”. E di sogni Antonio D’Elia ne invoca veramente tanti! Più esattamente, egli sembra cogliere la sentenza di Calderon de la Barca, La vita è sogno, in base alla quale il protagonista Sigismondo del dramma filosofico-teologico non può capacitarsi se l’autenticità del reale si collochi all’interno della torre in cui è prigioniero o al contrario all’interno della corte in cui è stato accolto e riverito come principe ereditario. Similmente, pare chiedersi il poeta quale sia la condizione ideale per gustare al meglio la vita, consistendo in ciò l’unica utilità che la poesia potrebbe essere in grado di fornire agli uomini: un modo e un mondo migliore per vivere. Poesia come ricerca di fondamento e di piacere della vita e come indicazione da segugio per inseguire la bellezza. Allora, diremmo, se il Poeta D’Elia ce lo consente, di essere sull’orma di Machado. Scrive D’Elia, “Semino i canti / della poesia / nei cuori / di chi sogna”. Chi semina si propone di attendere una futura fioritura e di raccogliere i frutti che essa recherà. E il campo più fertile in cui seminare la poesia è “il cuore di chi sogna”, nella parola del nostro Poeta. Ne deriva che la funzione della poesia non può essere quella del demiurgo, che si propone come depositario del principio creativo del mondo. Neppure la poesia potrà sovraintendere o illustrare la presunta armonia dell’universo. Inoltre, il poeta non potrà essere il Prometeo che si fa carico di riscattare gli uomini dall’oscura barbarie e di recare loro il fuoco del progresso come dono di luce e di calore. L’effetto benefico della poesia, invece, è spiegato in pochi versi da D’Elia, “Quando verzica il tedio / mi dico, qualcosa accadrà. // Forse è l’ultima sera? // Tu dici: la fredda stagione / è con noi, mentre le parole // si spengono col giorno. / La sera apre la porta ai sogni”. La contemplazione della realtà è abbagliante di luce, di riflessi, di miraggi e di inganni. La visione nictalope del mondo, che spegne i colori illusori e anche mistificanti del reale, accende l’evasione del sogno, ed ecco che nel sogno può collocarsi l’acme della libertà e della bellezza. Il sogno ha uno straordinario effetto ristoratore, al punto che il Poeta scrive “Ebbro di vita mi lancio / nel ritmo quotidiano”. Lo slancio vitale di Antonio D’Elia verso il mondo sviluppa una pluralità di interessi e di argomenti, come uno sfavillio di occasioni e di spunti letterari. Il Sud d’Italia è certamente uno dei fulcri poetici più importanti, verso il quale il Poeta non si limita a intessere le consuete occasioni di devozione e di affezione sovente elaborate dagli scrittori e dedicate ai loro luoghi natii, ma più esattamente D’Elia ricostruisce nel Salento – forse anche attraverso il sogno e la visione orfica – un luogo ideale della natura e della storia umana, in una sorta di condivisione geoepica, come incontro della creazione cosmica e dell’artificio umano, uno sponsale tra la Natura e l’Uomo in questo territorio di assolata e meravigliosa bellezza, dove il mare si incontra con la montagna, il vento si incontra con la vegetazione e gli uomini si sono consumati e sostituiti nella temperie dei secoli, a partire dai timidi albori di civiltà per poi passare alle grandiose espressioni del vivere civile umano: arti, filosofie, scienze, edifici e monumenti di grande splendore. La ruota che fa girare il mondo è il silenzioso e inesorabile consumo del tempo, che diviene, nella poesia di Antonio D’Elia, l’enigma più affascinante, eppure familiare, ma nel contempo imperscrutabile nell’ermeticità dei suoi meccanismi opposti di entropia dissolvente e di creazione edificante. L’erosione creatrice del tempo affascina e incanta il lettore delle poesie di Antonio D’Elia esattamente quanto la melodica armonia di una cascata d’acqua, il cui canto varia impercettibilmente nella frazione breve, ma è vistosamente diversificato nei lunghi intervalli di osservazione, né il getto mai si arresta, quasi come se al di là dell’angolo di cielo, da cui cadono le acque per compiere il salto, ci fosse un lago infinito tale da non smettere mai di buttare altra acqua e altra ancora. C’è, nella poesia di Antonio D’Elia, un lago sperduto del tempo, dentro cui il poeta, nell’ambito di quei tre o quattro millenni che sono di sua competenza, si muove con levità e sicurezza incantevole, per cui colloquia con Talete e Pitagora e Socrate, così come si rivolge ai suoi coetanei di oggi, compagni di viaggio in questo fugace passaggio illusorio che è il quotidiano della contemporaneità. Si è parlato di ermeticità dei meccanismi con i quali il “tempo” agisce nella poesia di Antonio D’Elia. E appare appropriato, al riguardo, proiettare il concetto anche nella fattispecie letteraria del discorso e parlare di ermetismo, perché rimane evidente un gusto ermetico nella costruzione dell’intreccio franto, sospeso e alluso del Poeta che sovente, per sintesi iper ravvicinate e per analogie ipo evidenziate ama “spesseggiare” il significato poetico con un’opalescenza luminosa che offusca la trasparenza univoca dell’espressione, come accade in Diafana luce, “In diafana luce / il cielo / sereno / s’adagia / col suo manto / azzurro”. Un ulteriore tema che affiora con limpidezza nel sogno della beltà marcata da D’Elia è sicuramente l’amore, e mi piace qui citare i versi, riverberati d’amore e di universale armonia, contenuti nella poesia Mi sento confuso, “Mi sento confuso, / ma la tua carezza mi rasserena. / Accolgo la gioia di questa vita / che si estende / nell’armonia / dell’Universo”. Il tema dell’amore è collegato anche a una rosea atmosfera di nostalgia e di dilettosa rievocazione dei momenti più dolci della vita. Ovviamente l’evocazione di un lungo passato alle spalle rende più pesante la bisaccia sulla schiena e di conseguenza più leggera la sporta sul costato, in modo che, quasi automaticamente, si manifestano altri due atteggiamenti fondamentali della poesia di D’Elia. Da un lato, il tono del discorso è sempre orientato alla serenità e alla temperanza, cioè è rimarcato l’atteggiamento dell’uomo savio, che non ha certo vissuto invano, ma per capire quanto grande sia la diversità e la possibilità delle occasioni mondane della vita, al punto da escludere le posizioni di intolleranza radicale, le impazienze furiose del momento, le imposizioni violente, che non ottengono alcun effetto positivo, se non che essere fonte di ingiustizia e di dolore per chi le subisce, nonché di perdizione spirituale per chi le commette. Ma d’altro canto, il ricordo benevolo del proprio passato e la rievocazione gioiosa dei suoi anni giovani, suscita nel Poeta un’immensa condivisione di fiducia e di ardore per la vita rivolta ai giovani d’oggi e, in generale, a chi ancora deve compiere il grande e breve viaggio dell’esistenza umana, dall’età della ragione fino all’ultimo giorno. D’Elia non si limita ad amare la gioventù come chiunque potrebbe fare, in quanto è la stagione della primavera, della crescita delle forze fisiche e dei progetti rivolti al futuro. Egli fa ben di più, perché ama realmente i giovani d’oggi, che incontra per la strada e che proietta nei versi delle sue composizioni, come protagonisti ed eroi anonimi di una futura vicenda umana, che deve ancora essere scritta e inventata, ma verso la quale e nella quale il poeta ripone i suoi semi di sogno e di speranza, come scrive nella poesia eponima, “A primavera / i ra­gazzi cercano, con gridi di gioia, / i loro giochi / dimenticati / tra l’erba del prato. / Che pazzia!… / Ignari del tramonto / e nella levità dei loro anni / sfidano il tempo. / Hanno l’alba nel cuore”.
La poesia di Antonio D’Elia ha simbolicamente l’alba nel cuore perché coniuga due parole che sono le azioni verbali di sostanza della civiltà umana, educare e progettare, cioè “condurre fuori” dalle situazioni di ignoranza e di mancanza di gioia e di fiducia e contemporaneamente “gettare in avanti” il seme del futuro per i raccolti che amiamo in cuore di cogliere noi e i nostri eredi. È una poesia che si china con riverenza sul dolore umano per la vita oppressa dalla violenza dei maligni e dalla cecità del caso, ma che anche riluce di prospettive di armonia e di attesa positiva degli eventi a venire, prefigurati in un linguaggio espositivo nel contempo piano e comunicativo, ma anche sognatore.

Sandro Gros-Pietro

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