Presentazione

La bellezza e il valore culturale di questo ricco racconto di Eros Pessina intitolato I cardellini del Ceretto risiede nell’intento di conciliazione nazionale degli ani­mi ancora esacerbati per le violenze del periodo di occupazione nazifascista che va dalla data di dichiarazio­ne dell’armistizio dell’8 settembre 1943 fino alla da­ta della liberazione del 25 aprile 1945. Sono i venti mesi cruciali in cui l’Italia rimane divisa in due, poiché il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia, e vengono fermati dai tedeschi sulla Linea Gustav. Il 22 gennaio 1944 sbarcano ad Anzio e vengono fermati alla Linea Gotica. L’Italia resta divisa in due tronconi ancora per ulteriori quindici mesi: il Meridione è libero, mentre il Settentrione è prigioniero del governo fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, messo in piedi da Mussolini, praticamente divenuto ostaggio per non dire prigioniero nelle mani di Hitler. Sono mesi tremendi perché il Settentrione conosce l’orribile esperienza della guerra civile e fratricida. Si combattono fratelli contro fratelli, partigiani contro i militi della Repubblica Sociale, soprannominati con dileggio “repubblichini” per sottolineare il carattere tragicamente irrituale della RSI voluta da Hitler e sottoscritta da Mussolini, una pantomima di ciò che dovrebbe essere un’autentica repubblica, a partecipazione popolare. Si crea un vulnus profondo nel tessuto sociale dell’Italia: i partigiani combattono per liberare l’Italia dai nazisti, consci che la loro eventuale morte è un sacrificio ormai spropositato, perché i tedeschi stan­no organizzando la ritirata al di là del Brennero e si apprestano ad abbandonare la Pianura padana. I Militi della RSI vivono nella disperazione violenta di chi è consapevole di essere destinato alla sconfitta finale. Si tratta di un autentico incubo collettivo, in cui tutti sono prigionieri della dannazione dei tempi.
Ed ecco allora da cosa nasce l’invenzione romanzesca di Eros Pessina: rivivere quel periodo nel modo autentico come venne vissuto, cioè un incubo, posto al di là dei confini della ragione, in una zona nebbiosa della realtà dove va perduto il ben dell’intelletto. L’incubo colpisce a tradimento: dalla pacifica quotidianità si viene improvvisamente proiettati in una tragedia tenebrosa e sanguinaria. L’antefatto è rappresentato dalla visita di Eros a un’anziana signora ormai vicina a essere centenaria, ma lucida e ben presente nella quotidianità e più ancora nella conservazione della memoria. La mente di Eros torna agli anni dell’infanzia, al ricordo della nonna paterna Anna e alle prozie Caterina, Maria e Margherita. Si riaffaccia alla sua mente il periodo adolescenziale e i racconti che genitori e nonni facevano del passato. Quel passato, Eros non lo ha vissuto direttamente perché risale a quasi trent’anni prima della sua venuta al mondo: è una tragedia che ancora ghermisce il cuore dei superstiti, una ferita che non ha mai potuto rimarginarsi. La ferita è rappresentata dai ventisette martiri del Ceretto, di Busca e di Costigliole Saluzzo.
Eros decide di evocare con una gita fuori porta in compagnia dei figli Giovanni e Samuele la dolorosa pagina di storia patria del 5 gennaio 1944, nota come il martirio delle ventisette vittime innocenti della brutalità nazifascista.
Il padre Eros e i due figli Giovanni e Samuele si mettono in cammino per compiere il pellegrinaggio della memoria. Giunti verso l’ora di pranzo, decidono di tagliare per i campi per abbreviare il percorso e guadagnare prima la meta dell’osteria dove intendono fermarsi a pranzare. Il caso imprevisto è dato dal torrentello o addirittura dal rigagnolo Talutto che sbarra la strada. Lo si può superare con un buon salto atletico. Eros prende la rincorsa, ma disgraziatamente met­te un piede in fallo e capitombola sui sassi, rovina a ter­ra e batte la testa. Per poco il banale incidente non si trasforma in una reale tragedia. Però, la caduta dà luogo a un’avventura immaginaria, più esattamente Eros vive un incubo a occhi aperti: compie un viaggio nel tempo come il protagonista Michael J. Fox di Ritorno al futuro, e si ritrova esattamente la notte del 4 gennaio del 1944 nella stessa osteria dove rivede sua nonna giovinetta, attorniata dalle prozie, sorelle della nonna, e dalla gente del posto. Sul muro esterno dell’osteria c’è una gabbia di cardellini, che cinguettano con mestizia nella loro condizione di cattività, imprigionati in una gabbietta, allo scopo di creare un diversivo agli esseri umani che si dilettano ad ascoltare il canto delle bestiole. I cardellini sono la metafora che rappresenta la condizione di prigionia dei contadini di Busca e di Costigliole Saluzzo, tenuti in gabbia dai nazifascisti. È la vigilia della tragedia che sta per abbattersi su questi onesti lavoratori, padri di famiglia o figli devoti, perfettamente consapevoli della terribile cerniera storica in cui l’Italia si trova in questo momento, costretta a combattere una guerra civile, fratelli contro fratelli, italiani e paesani che debbono combattere contro altri italiani e paesani, montati dall’odio, dal rancore, dalla rivalità, fomentata dal popolo tedesco invasore. I Nazisti di Hitler costringono alla collaborazione sottomessa i fascisti della RSI e organizzano rastrellamenti nel vano tentativo di debellare la resistenza partigiana e con l’obiettivo trasversale di terrorizzare la popolazione civile per dissuaderla da prestare assistenza ai partigiani nascosti sulle montagne. Ovviamente i nazisti, con i rastrellamenti, non pensano di vincere la battaglia contro gli Alleati e nemmeno di ritardarne l’avanzata, ma sperano di mantenere libera la strada della fuga verso il Brennero per favorire il loro rientro in Germania. Sono convinti che più trucidano gente inerme, più probabilità hanno di spaventare la popolazione civile e di dissuaderla dal sostenere la partigianeria. La storia dimostrerà che otterranno, invece, l’effetto contrario: violentare la popolazione civile susciterà l’incendio degli animi civili italiani contro i tedeschi e favorirà lo sviluppo della partigianeria. È una condizione da incubo, che Eros Pessina descrive meravigliosamente, mantenendosi fedele a quel realismo magico che Franz Kafka ha insegnato come metro impareggiabile delle situazioni irrazionali vissute dalla mente come fossero reali, non distinguibili dalle situazioni reali vissute come fossero immaginarie, in quella terra di nessuno in cui la ragione non funziona più e si verificano degli orribili accadimenti che sfuggono a ogni logica. In tale modo Eros può raccontare i terribili momenti dell’eccidio delle ventisette vittime innocenti del Ceretto, andate a prendere a casa dai loro aguzzini mentre siedono al desco dopo una giornata di onesto lavoro nei campi, trucidate a colpi di carabina o bruciate vive, senza avere altra colpa che quella di essere i prossimi vincitori della guerra ingiusta che sta per concludersi.
L’incubo si risolve con il ritorno al futuro: Eros aprirà la gabbia dei cardellini, che voleranno verso un cielo capace di accogliere le loro aspettative di libertà. Riacquistato il senno e superato lo svenimento per la caduta sul greto del rigagnolo, Eros riabbraccia i figli Giovanni e Samuele e la storia rientra nel solco della realtà vissuta.
La lezione di Eros Pessina, gran cantastorie di Bu­sca e anima sognante e libertaria della sua città, vale co­me monito rivolto non soltanto alla gioventù, rappresentata dai figli Giovanni e Samuele, ma agli uomini e alle donne di ogni età, affinché non facciano delle loro vite un incubo reale da scontare sulla pelle, ma sappiano sempre tenere a mente il passato perché la Storia, come dicono i filosofi, è la prima maestra di vita per tutti noi.

Sandro Gros-Pietro

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