INTRODUZIONE

A soave parola del poeta
da un profondo ignoto
allora tu sorgevi
nuova al mio cuore
visione di venti e magici suoni
di rupi pensili sul mare,
evocata con dolce malinconia

Questa poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin, datata Oliveri, luglio 1999, appare nella raccolta di versi intitolati A Tindari. In questi si trovano in nuce tutti i motivi poetici che caratterizzeranno la sua poesia solare, aerea, tersa, leggera, dinamica, limpida e luminosa, una poesia nutrita di “visioni” che spaziano sui cieli incantati dei colli e della terra euganea: “Ebbra di orizzonti / la cavea ti attende / a segreti stupori, / tu invece sei donna / … e svagata ti fingi / al davanzale-madreperla / da incantesimi di mare / quando lieve il cielo vi poggia / e imperla l’ultimo sole”.
Già il critico Mario Richter notava che “nei singoli testi e nei singoli versi l’autrice rivela un carattere di grande intimità, di forte suggestione umana, fino ad allargarsi in un ampio respiro, in un’aura che tiene saldamente unito l’intero canzoniere”. Egli evidenzia nella sua poesia “un atto d’amore fatto di energia, di partecipazione vitale, di primordiale fiducia nel creato e nel suo senso”. Quello della Toffanin è un “andare”, un panico immergersi nella natura in cui anche i fiori entrano nello spazio umano e si confondono in un reciproco scambio di luci e colori: “E si va in radure / smarriti all’incanto / di fiori e sillabe strane. / Topinambur / esotico suono / che a danza ci muove / nel sogno del giallo”.
Non manca il tema del dolore e della sofferenza (“E chiusi in grevi pensieri, / sulle vostre orme lucenti / si va per celati sentieri / d’umano soffrire / a dare conforto di fronde / appoggio sicuro di tronchi / creando trame di nidi / per voli altri di vita / incerto il nostro comune librarsi”), ma risolto in canto non ha mai il sopravvento e non avvilisce la forza creativa dei versi, subito “trasformato in immagini lievi, in colori vivi e delicati, in chiare e rasserenanti visioni”: “E per ruvida scala / sale armonia / di campane lontane / venti riflessi di dune / guizzi-profumi di tini e / squillante un canto di rubini / dischiuso / da melagrana ormai matura”. Nel suo discorso l’assoluto prevalere della paratassi, dove le proposizioni sono accostate l’una all’altra senza legame di subordinazione, conferisce al linguaggio un tono più spontaneo, più alogico, più tattile, più immediato, un mezzo più rispondente per realizzare una liricità pura: “Sei tu / divina potenza / sigillo d’amore e sapienza / al semplice gesto e al sublime, / che ora così ti disveli / in un adagio di note d’oro / conferma / della tua presenza / inesausta / il giorno e la notte / nel nostro esserci e nelle cose”. Una poesia che riporta alla mente il Cantico delle creature che esprime un rapporto di amore e di ammirato stupore per ogni cosa creata e la celebrazione del Creatore che a quelle cose ha dato la vita: “È l’Amore la luce d’oro / leitmotiv che tutto percorre l’universo / e l’arco nostro di sole / nel dono di sentieri di ginestre / nell’offerta di parole e di gesti”. L’Amore della Toffanin è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” di Dante, è “l’amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Pd, XXX 42). Amore che altrove viene definito “un Dove / splendente di luce”, oppure “questo Dove, corona dell’esistere”, o indicato aristotelicamente come “Principio” o assimilato dantescamente alla “Luce”, amore che diventa ricordo delle feste della tradizione cristiana, come il Natale: “Mio padre sognava a Natale cieli di calicantus… la dolcezza delle feste perdute /… i tersi sorrisi dell’infanzia nostra / lo richiamavano alle casette ai ponti di legno / alla grotta del Bambino”, oppure “Epifania del Creatore da adorare”: “Stregata dal tuo enigma-carisma / o mio marino lapislazzulo / alfine ti stringo fra le mani dell’anima / attimo mio d’Eterno”.
Nel libro A Tindari la poetessa parla di “Cieli ove Dio sogna nidi di gioia”, dove il Creatore è identificato con il “gaudium” in liriche che esplodono di luce divina. Se analizziamo lo splendido canzoniere Per colli e cieli insieme mia euganea terra, il termine “sole” campeggia sovrano e si può cogliere quasi in ogni lirica: dal “sole d’opale” alle “stelle esplose nel sole”, dal “sole che è per uscire dal monte” ai “prati che fioriscono nel sole”, dal “respiro delle fronde che schermiscono i battiti del sole” al “miracolo del sole che invade i colli azzurri”, al “cuore di sole” che lievita i coralli, fino all’ossimoro “ombre di sole” nel limpido fluire della creta levigata.
Ma chi ama la poesia della Toffanin s’incanterà nelle notti spaziate dai riverberi pallidi della luna: “E ci smuore la sera d’ametista / un’altra tra le mani d’acqua / e noi barche là sopite / nel torpore della luna / a vaneggiare nel sale delle onde”, oppure lo affascinerà il paese che “a notte è pieno incanto di luna”, oppure “tenera” la sera che accende “il graffio della luna”, oppure il nascere dei “sogni d’arance d’oro… sui dirupi senza luna”.
Tutto è luminoso, “struggente amore del vivere”, fascinoso, trasparente, incantato, innamorato della terra, e della presenza divina in questa “bella d’erbe famiglia e d’animali” che è la natura nei paesaggi della poetessa padovana. Altra presenza gloriosa è la parola “mare”, che caratterizza soprattutto Iter ligure, dove domina il mattutino “tremolare della marina di dantesca e dannunziana memoria: “Armonia da sempre innata / rinata ai tenui accordi della marina”. Vibrano di luce “verdi dune sospese / nell’amore / di cielo e mare insieme / senza confini azzurri”. Riomaggiore è popolato di “solo eco di canti / da mare e coltivi lontani”, così il “rondinare bianco d’ali e piume” si estende “in slarghi di cielo / ove più denso odora il mare”. La poetessa addirittura si identifica con la distesa marina: “Sono l’onda che insegue il mare / aspra tutta schiumata d’ansia”, che “raccoglie la sua anima dal mare”. E infine l’anima “nel vespero del mare” si “veste di madreperla” e “dolce nel cielo si stende / pregna d’infinita pace”.
Giustamente il critico Nazario Pardini parla di “pittura di stampo impressionista” che trascolora in una poesia che diventa meditazione del senso del trascorrere del tempo: “Ma è già reliquia del vivere / l’effervescenza prima gioia fanciulla / d’inventare incantesimi / terre apriche d’irreali celesti / echi leggeri d’età perduta”. Si sente la nostalgia e la melanconia del tempo passato, dell’età dei sogni e degli “irreali celesti” che richiamano gli “ameni inganni della mia prima età” di leopardiana memoria: “E fu il tempo della risacca alta / livida all’irto maestrale / la barca rovesciata / deserto l’arenile”.
Ci si chiede quanto Leopardi, Pascoli, d’Annunzio, Zanzotto siano presenti nella lirica della poetessa padovana, ma ci soccorre il giudizio del critico succitato che parla di presenza di una tradizione che, pur affondando le sue radici nel passato, risulta “personalissima”, come personalissima è la dinamica della lingua che vede invenzioni creative di grande rilievo. Il culmine e l’ultima parola di tutto questo è “una grande sinfonia che rasserena l’anima e l’avvolge nel gran mistero dell’infinito: “La sinfonia di pace esalata / da ruvide pievi-nicchie silenti / respiro mistico / al viandante che riposa, / raccolte fiorite fra le dune / d’ulivi e vigne-violini / accordati insieme da mano musicanti… / Anima mia / trattieni come viatico / la sinfonia che passa”, sinfonia cosmica che partecipa del dolore umano: “E quando le stelle nell’affanno notturno d’uno stesso destino / quasi rivali si offendono con aghi d’iride fosforescenti / titane di luce tutte tese a vivere fino allo stremo / e con grido d’azzurro ultimo invocano aiuto / a caso risucchiate in oscure spirali, mute, percepire / in noi intero il cosmo brillare soffrire uguale all’umano”.
Un altro critico Pierangiolo Fabrini individua il tema di fondo della poesia della Toffanin nel “mistero del vivere”. Secondo la poetessa l’uomo è in grado di dare una risposta agli interrogativi dell’esistenza attraverso un processo di progressivo accordo con la natura, nella quale sono celati tutti i segreti e i misteri della vita. Per accostarsi ad essi bisogna possedere occhi puri e innocenti di bambini per essere in grado di entrare in sintonia con il creato con il suo “Principio ispiratore”: “Armonia-sinfonia / angelico profumo / che consola sempre dentro / s’offre all’uomo in comunione / per un divino progetto / cromatico d’amore / che più s’accosta / al suo Principio ispiratore / più di Lui s’illumina / e arde a nuove rivelazioni”.

Gianni Giolo

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Novembre

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Gianni Giolo

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