Prefazione

Quasi quarant’anni di ininterrotta scrittura poetica rappresentano il cammino percorso da Davide Riccio, autentico Métèque della poesia italiana, in questo ponte fra i due secoli che collimano sul terzo millennio: dal 1985 al 2023. Si tratta di un arco di anni ricco di incredibili e incantevoli invenzioni, documentazioni, architetture mentali, raffigurazioni, ritrovamenti, tra i sogni surreali e le proiezioni cosmiche al di là del tempo e oltre gli spazi infiniti della mente. Tutto ciò fa di lui un personaggio mirabile e misterioso, così affascinante e così schivo: egli è certamente un passatore cortese, un travalicatore, che si spinge sempre più in là, e si congeda con un sorriso ironico, come chi alludesse all’eventualità di un possibile ritorno che non è prescritto e neppure impedito.

Davide Riccio è veramente un gentiluomo di lettere che cammina leggero e spaesato lungo i percorsi incantatori delle sue stagioni all’inferno, insieme al poeta con le suole di vento che proviene da Charleville, Arthur Rimbaud, e contemporaneamente è anche l’ironico e un poco cinico e di quel tanto malpensante poeta del Meleto, Guido Gozzano, con le sue buone cose di pessimo gusto, portate appresso come fossero il carapace di difesa, ma contemporaneamente anche la croce del supplizio.

Il Brecceto è la residenza di infanzia, il luogo natio, che diviene anche l’origine del cosmo, l’inizio della Storia con la maiuscola, il Filo di Arianna, per poi disperdersi in un’entropia disgregatrice di dissoluzioni a perdere, nel fasto di un’eleganza decadentista – tuttavia, mai decaduta – che rappresenta il fascino inimitabile di Davide Riccio: poeta, narratore, compositore, musicista e cantante.

Il dono più bello reso ad Ariano Irpino, ma anche alla poesia italiana di questo scorcio di anni, sono i versi della promenade tra le cavallette, coi femori giocattolo caricati a molla, mentre il Poeta allude con diletto citazionale, che è anche un simulato omaggio, all’atteggiamento solo e pensoso i più deserti campi, dedicato al sonetto celeberrimo di Francesco Petrarca, e che si realizza nell’espressione Senza più sublime assoluta nostalgia né mito / del reprobo, rimastami oramai soltanto l’ironia, / mi annoia l’assoluto riposo vacanziero.

C’è nella noia del Poeta Davide Riccio l’usura per il consunto individualismo – l’individualità super accentuata – su cui si è abrasa, piallata e raspata fino all’osso la poesia del ventesimo secolo, fino a ridursi a un polverio minimalista di quotidianità malmostosa. In controcanto, l’uggia sognatrice e svagata di Davide Riccio è un appuntamento con le precise annotazioni di storia vissuta, per tempi e per luoghi che la memoria della letteratura conserva con astuta acribia.

Sandro Gros-Pietro

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