Prefazione

Nel considerare l’opera poetica di Luciano Calzavara va tenuto a mente, come prima considerazione riguardante il contesto in cui collocarla, lo straordinario arco temporale della produzione che inizia a manifestarsi nel 1958 con la raccolta Strappare i giorni e giunge fino ai giorni nostri con il libro Labirinto verbale, uscito nel 2015. Si contano all’incirca sessant’anni di scrittura di Poesia, cui si accompagna l’attività di pittore e di prosatore, in quanto autore di romanzi e di racconti di assoluta originalità, fra i quali brillano L’avventura nel guscio cartaceo e Disperso nell’esistere, senza dimenticare il multiforme libro di racconti, tra commedia e tragedia, Sghignazzate e lacrime. Abbiamo davanti un autore non solo eclettico nei suoi progetti creativi, che spaziano dalla pittura alla prosa e alla poesia, ma anche multiforme nella scelta dei toni sviluppati dentro i differenti registri espressivi. Con beneficio d’inventario, e nell’ipotesi di non distorcere troppo con una breve didascalia definitoria la complessa figura di Calzavara come uomo di pensiero creativo, si potrebbe dire che tutta la sua opera propone con gioia e dolore una testimonianza della follia del mondo. Il pensiero va immediatamente al grande Erasmo, ma anche a Samuel Beckett o a Pedro Calderon de la Barca. E andrebbe esteso a una varietà ben più ampia di autori da considerare classici, con i quali Calzavara deve avere fatto i conti, e che sono maestri nell’osservazione ironica e amara della realtà del mondo. Ma il punto centrale dell’intera produzione creativa di Calzavara sta proprio in questa azione fondamentale e contraddetta di orientamento e di disorientamento rispetto alla realtà mondana. Che rapporto ha Calzavara con il reale? Per questo motivo è stato citato poc’anzi Calderon de la Barca, il cui protagonista Sigismondo di La vita è sogno è incapace di distinguere la realtà dalla fantasia onirica, fino al punto di concludere che tutta la vita è un sogno, per cui non vale la spesa di prendersela a cuore, ma l’unica cosa che si può fare è cercare di non aumentare e, riuscendovi, addirittura di diminuire l’immensità del dolore gratuito che attanaglia la vita di ogni uomo. Questo carattere è in comune an­che a Calzavara, il quale parte, sì, con un mondo ideale da realizzare, dominato dalla ragione, quasi kantiano, ma contemporaneamente è affascinato anche dal predominio dei rapporti materiali di produzione che determinano marxianamente la vita degli uomini, motivo per il quale si mette a fare pendolo tra idealismo e materialismo, con una certa raffinata ironia, e si risolve a svaporare in pura illusione la lusinga di controllare o anche soltanto capire la realtà del mondo. Ma facciamo i conti un poco più da vicino con il mondo creativo di Luciano Calzavara. La sua pittura si colloca in un alone di luminescenza simbolista e surrealista, e non è certo mimetica del mondo reale, ma è invece creazione interpretativa e incrementativa della realtà del mondo. Se si osservano le sue tele, si vede subito che non sono rappresentazioni né di persone, né di paesaggi, né di oggetti della realtà, ma viene data forma a delle raffigurazioni mentali che in parte sono interpretazione del mondo, ma in parte altrettanto significativa sono invenzione fantastica e dilatazione del mondo esistente. Questo stesso meccanismo di interpretazione moltiplicativa dell’esistente viene usato da Luciano Calzavara anche nel mondo della scrittura sia in prosa sia in poesia. Più specificamente in poesia si nota la predilezione per un simbolismo enigmatico e franto, quasi tormentato da continue intrusioni e trapassi tra la realtà e la fantasia. Ma in poesia, va detto, che i primi due libri, e precisamente Strappare i giorni e Folle saggezza, ancora sviluppano un intreccio poetico illustrativo ed espositivo in modo lineare, con soluzioni palmari dei concetti e delle tante figure dei protagonisti anonimi che popolano il mondo poetico di quegli anni: i poveri, i pescatori, un fumatore che è ovviamente un simbolo di autolesionismo, le tante figure dei dannati della terra cioè i diseredati del Terzo Mon­do, una vergine, un santone e altri fantasmi o realtà del tempo. In quegli anni la scena del mondo poetico italiano era dominata da Ungaretti e Quasimodo, ma già si imponeva la poesia verista e popolare di Pier Paolo Pasolini. Calzavara dimostra di non avere mai seguito le mode, ma contemporaneamente mette in pagina anche un’attenzione esercitata rispetto alle voce del suo secolo, col quale talvolta dialoga, come si evince dai versi di Strappare i giorni, che vanno in eco al mondo del Dolore ungarettiano, “Nell’affanno delle fatiche / l’uomo non invoca che tramonti. // Strappare i giorni e vivere / delle notti cucite alle notti! // Passare così come un dardo / attraverso lo stormo dei misteri / e piantarsi nel cuore della morte.” Ma già il sogno sta lavorando nella poetica calzavariana, come leggiamo in Dove sei con la tua vita segreta?, “Nel turgore della notte, supino / sulla trama delle stolte fatiche, / sento l’ala di un sogno sfiorarmi / lo spirito nel riccio della solitudine. / Ed esso si desta e vola / alitando le sue inquietudini”. Gli scriverà con entusiasmo Giorgio Bárberi Squarotti “sono molto lieto della lettura d’amore ironico e festoso di Strappare i giorni e Folle saggezza, per la bellezza, in particolare, di questa seconda raccolta: fresca, giovane, ilare, intatta”. Nella poesia La fontana vi è un’eco lontana di La fontana malata di Aldo Palazzeschi, ma con soluzioni totalmente diverse. Nel Gemello del mare vi è un impeto futurista o addirittura niciano da “Oltreuomo”. In Furie gutturali è già sviluppato uno dei Leitmotiv più ricorrenti della poesia di satira di Calzavara, precisamente il dileggio avverso ai cantanti smodati, urlatori, molleggiati e ancheggiatori, sovente pure stonati che vanno conquistando primati di favore nazional-popolare, “Montante marea di giovani / e di chiome abuliche. / E l’uragano dei loro fischi / – delirio di esultanza – / che idolatra i cantanti di stagione: / divi che sbavando sul microfono / belano o gracchiano o urlano / versi di ricotta e siero / con ispirate torsioni epilettiche / e strappi dei clauneschi abiti”. E va detto che questo stesso dileggio ritroveremo poi più avanti, in Dissolvenze, che esce nel 1994, nella poesia Nottambulismo e ancora oltre in Show canoro, all’interno del libro Il tempo si dispoglia, uscito nel 2006. Nel 1974, quando sulla scena poetica nazionale è ormai troneggiante Montale, con l’originario “male di vivere” sviluppato negli Ossi di seppia e corretto poi dalle Occasioni, Calzavara esce con il Mistero ignudo che è un’esplosione simbolica, allegorica, visionaria, in cui la realtà va in liquefazione, ma si salvano degli oggetti reali, delle cose crude che rappresentano e idealizzano il mondo interiorizzato, pur nell’evanescenza del soggetto e della realtà, secondo le teorie di Eliot del “correlativo oggettivo” e seguendo la linea italiana tracciata da Pascoli, Gozzano, Sbarbaro e Montale, per cui leggiamo in Sprofonda in grido, “Era il cielo oramai un fosfene evanescente; / ma qui le strade s’incorporavano in un duttile / salire allucciolato. – Su donna corriamo / lungo il tuono delle nostre arterie. – EGLI / le pungola l’anca che lievita. L’ascesa è rosa / e spuntano creste e anelli in un gioco di schiume. – Ianua velluto di fiamma!”. La rosa aulentissima è divenuta una ianua, porta, fiammeggiante e vellutata. In uno scorcio rimbaudiano, visionario e simbolico, in La mia sposa il Poeta ci dice “Nave del mio spirito / solco con la mia sposa / gli evi in attesa, che spumeggiano / di dita bambine e di eroiche / promesse e di canti”. Nel 1980, presso Rebellato, esce il nuovo libro Verde scimmia quadrata, ed ecco, nuovamente, in La mia avventura nelle galassie, il trionfo del canto orfico: “L’infanzia era siccità che di notte / mi sbucciava del suo niente il viso / offerto alle lenzuola: emigravo allora / dentro il sogno fin dove scrosciavano i soli / dalle raggiere cariche di sonori frutti”. E in quegli anni, che segnano a datare dalla fine degli Settanta il fiorire del “Movimento delle Donne”, la poesia di Calzavara non manca di testimoniarne l’attualità sociale e di costume, anche con accenti di epicità, “non profetizzata nasce per sé / trionfante la Donna / che ti renderà la costola sofferta / dall’antica femmina estinta / e la pianterà a irrisione futura / al sommo del tuo sepolcro / rutilante di eclettica follia”. Il commento sociale è quasi sempre sviluppato in chiave satirica, ma non mancano gli accenti di indignazione e di denuncia: lo sguardo rivolto a ciò che accade nella società è una costante della poetica attenta e riflessiva di Calzavara, sempre mirata a cogliere il significato profondo del tempo in cui egli vive, ma la rappresentazione che viene portata sulla pagina è volutamente deforme e talvolta addirittura repellente, come accade nei quadri di Francis Bacon, proprio per sottolineare la perduta dimensione dell’armonia e della bellezza che caratterizza l’era industrializzata e omogenizzata in cui viviamo, co­me si legge nel brano Trifoglio, dedicato al problema del libero aborto, “Una colletta per la bella compagna / di studio alto che ha piantato libero / vessillo sui suoi genitali a sfida / della povertà: e la povertà ingravidatala / per vendetta le nega la clinica / capitalistica e lo stacco del granchio / uterino quando è maturo / – Offrire un’arma denaro (tintin… / … grazie… tintin…) in soccorso all’eroina / che vuole sottrarre alla morte / legislativa il diritto del suo ventre / ad uccidere quando uccidere va bene”. C’è l’allucinazione dell’incubo mostruoso in Cicala enorme, mentre nuovamente trionfa la satira corrosiva (e deformante!) in Intellettuale italiano, uno dei medaglioni caricaturali più spiritosi e meglio riusciti, arricchito anche da un bellissimo quadro ad olio. E fa da contro altare alla satira lanciata agli intellettuali di “quattro paghe per un lesso”, la magnifica lirica, affettuosa e ammirativa, dedicata a Giovanni Papini. Le poesie Opposte latitudini e Antico spirito di fiordaliso appartengono al filone orientato alla denuncia delle ingiustizie patite dagli abitanti del terzo Mondo e mettono a nudo le contraddizioni di chi si professa democratico e progressista, ma poi si avvantaggia con forme di sfruttamento della prostituzione o peggio ancora. Giocheranno con il tempo è una poesia di dolcezza e di incanto familiare veramente unica nel vastissimo panorama poetico dello Scrittore, il quale si rivolge ai propri figli chiamandoli per nome, Paolo e Roberta, ancora piccini e ignari di cosa sia la vita, e si chiede se, nella futura temperie degli anni, raccoglieranno il lascito di saggezza che il padre ha preparato per loro: si intende che Paolo e Roberta, negli intenti esplicativi e simbolici del Poeta, rappresentano la totalità delle generazioni dei giovani, che verranno dopo di lui e a favore dei quali il libro è idealmente dedicato. Carlo Della Corte ha salutato il libro sottolineando “la ricchezza dei motivi che vi si intrecciano, l’abilità di un verseggiare sciolto ma non sciatto, il coraggio di affrontare temi rischiosi dal punto di vista poetico”.
Un altro Leitmotiv della satira di Calzavara è la canzonatura del mondo pallonaro sia rivolta ai protagonisti del gran circo mediatico e planetario del gioco del calcio sia, se non ancora di più, alle turbe scalmanate e sovente anche delinquenziali dei tifosi, come leggiamo in Il Pallone e, successivamente, in Con larve di farfalla mentale nel libro Dissolvenze, già citato, ove è rappresentato non solo il senso di disagio, ma l’alienazione da sé stessi e dal mondo in cui le orde della tifoseria si abbandonano come in una follia collettiva. Un sentimento di estraneità e di esilio in patria, bene più signorile e sottile, ma anche più doloroso e altrettanto inevitabile, prova, invece, il Poeta in Straniero in Patria quando constata che si va perdendo la più nobile lingua per poeti che sia stata mai inventata dall’umanità, cioè l’Italiano, per i continui barbarismi, intrusioni, depauperamenti, esclusioni che essa subisce nel confronto con l’attuale egemonia dell’inglese turistico e tecnico, che si espande come un Blob asfissiante ed esiziale sulla nostra tradizione letteraria e poetica. Sempre in chiave di satira sono le poesie Imperversante rovina, dedicata alle sventure della classe politica italiana, così avida di illecite prebende e così avara di senso della collettività e rispetto della cosa pubblica; va segnalata sullo stesso tema anche La morte negli occhi; mentre la Pizza napoletana è una gioiosa rappresentazione di costume e di abitudini culinarie italiane che hanno conquistato il mondo.
Un ulteriore tema ricorrente nella poetica di Luciano Calzavara è quello dell’offesa di lesa femminilità che l’immagine della donna è costretta a subire, non solo a principiare dai tempi antichi, ma ancora oggi in piena civiltà progressista, pomposamente definita, “delle pari opportunità” tra uomo e donna. Il Poeta ci apre gli occhi sui tanti modi di offendere la femminilità che ancora vengono quotidianamente messi in pratica nel nostro Paese e che, in forme ben più violente raggiungono l’autentica barbarie in molti paesi dell’Africa e di altre zone del mondo, per lo più a fede musulmana, nei quali si continua a praticare l’orrore dell’infibulazione. Il tema della sensibilità verso la donna è uno dei fili rossi che percorre tutta l’opera poetica di Calzavara, anzi, giunge a caratterizzarne l’intero mondo creativo, poiché si ripresenta con uguale insistenza nelle opere in prosa e nei quadri. Tuttavia, in poesia, si potrebbe dire che c’è una concentrazione di tale filone nel libro Il tempo si dispoglia, come giustamente annota nella prefazione Antonia Arslan, “Contemplazione dolorosa e tenera dolcezza investono l’universo femminile e la sua faticosa lotta con il tempo, e lo restituiscono in immagini vibranti. Alcuni dei momenti più intensi di questa raccolta sono dedicati a figure di donna” e a seguire sono citate le poesie Rea di innocenza e La star di stagione. Anche le poesie Una sua nuova figura, Festa della mamma e Mammelle di donna vanno citate e incluse tra le migliori scritte da Calzavara. Delle tre appena citate, l’ultima è stata scritta in occasione dell’ottantesimo compleanno di Umberto Veronesi, il quale non ha mancato di rivolgere al Poeta una lettera di devozione, “la mia stima per lo sguardo attento, la delicata sensibilità e il disincanto con cui ha saputo cogliere ed interpretare i segni della vita e del tempo che lasciano tracce indelebili e profonde nella nostra anima”. Lo stesso tema della femminilità lesa viene poi ripreso anche in Labirinto verbale, opera già citata, nelle poesie Le fioriture di donna, Musicalità rassicurante, A travalicata scadenza.
L’espressione più alta e più completa della poesia calzavariana è rappresentata dall’ultimo libro, Labirinto verbale, ove si assiste alla piena maturità del mondo poetico sviluppato dall’Autore. Il libro è dedicato all’amata consorte Maria Teresa, compagna di tutta la vita, ma perduta prematuramente: il Poeta ne evoca la presenza in sé stesso come Orfeo con Euridice, con dolcezza e con strazio, principalmente nelle poesie Il compianto viso, Moglie mia, Sei evasa? e Anima di mia moglie. Nel ricordo vocativo è ricostruito in modo efficace, ma anche asciutto e scarno nel coraggio della sofferenza, il mondo di affetti e di comune sentire che ha unito quasi in un unica e sola dimensione la vita dei due coniugi: il Poeta resta a compulsare le carte lasciate dalla moglie insegnante e vi ritrova le tracce della mente di lei e l’orma delle loro corrispondenze reciproche.
Ritroviamo la completezza dei temi già sviluppati nei precedenti decenni di produzione e ritroviamo lo stesso marchio architettonico di scrittura elaborata con l’intento di essere pluriforme, aggettante, proiettata verso un’evasione mentale dal testo che la contiene, una poesia che è sempre un intreccio di pensieri assemblati in un discorso complessivo a cui si allude, senza perciò svolgerlo pianamente.
Questa idea della tangente, della fuga dal reale, del sogno, dell’incubo surrealista, che lungamente ha lavorato nel laboratorio del linguaggio poetico di Calzavara, si manifesta in modo epifanico nei termini di una visione della vita oltre la vita, che è la percezione del Mistero, come l’incombenza inevitabile che tocca ad ogni uomo: una calamita che attira come una calamità luminosa.

Sandro Gros-Pietro

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