PREFAZIONE

Se è lecito tralasciare le radici antiche della poesia presenti in Roberto Costantini e quindi evitare di scavare nei reperti archeologici del mito e della letteratura greco romana, e successivamente traguardare anche il passaggio nell’epoca medievale di Dante, già di natura premoderna – tutta “roba” molto presente nei magazzini della memoria del nostro Poeta – sarebbe opportuno partire da quella pietra miliare su cui poggia l’intera modernità della poesia contemporanea, e cioè The Imagination is not a State: it is Human Existance itself. In italiano suona che l’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa. Parola di William Blake: colui che il critico del The Guardian, Jonathan Jones, definisce “di gran lunga il più grande artista che la Gran Bretagna abbia mai prodotto”. Sen­tenza che oggi appare un’affermazione apodittica e dannatamente scontata, peccato per Blake che gli inglesi si siano accorti del genio del loro compatriota londinese con due secoli di ritardo. Tuttavia, sulla stessa lunghezza d’onda, oltre mezzo secolo dopo rispetto a Blake, sulle sponde della Senna è approdato proveniente da Charleville il poeta Veggente Arthur Rimbaud che in quanto a immaginazione non pare secondo a nessuno: J’ai vu fermenter les marais énormes, nasses / où pourrit dans les joncs tout un Léviathan! / Des écroulement d’eau au milieu des bonaces, / et les lointains vers les gouffres cataractant (Ho visto fermentare gli stagni enormi, nasse / dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano! / frane d’acqua scuotevano le immobili bonacce, / cataratte lontane crollavano nei baratri). Al posto del Bateau ivre che scende per la Senna, sulle sponde del fiume Hudson a New York attracca il naviglio di Walt Whitman, una buona trentina di anni dopo e intona il canto O capitano, Mio capitano! che affascina i poeti americani con l’innovazione del verso libero, un po’ breve, un po’ lungo, totalmente affrancato dalla metrica. A Milano, all’inizio del Novecento esplode il futurismo di Marinetti, che infiamma la modernità in tutta Europa, da Parigi a Mosca, con le parole in libertà, la scrittura automatica, l’invenzione della modernità. Circa quarant’anni dopo Il Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti e il suo Zang Tumb Tumb, di nuovo dall’altra parte dell’oceano si forma il nucleo dei Giovani ribelli, ci sono Allen Ginsberg, William Burrough e Jack Kerouac con Lucien Carr che ucciderà il suo mentore, il professore omosessuale David Kammerer, innamorato del suo allievo, quest’ultimo lo trafigge con una coltellata allo stomaco: nasce la Beat Generation. Allen Ginsberg legge per la prima volta nel 1955 alla Six Gallery di New York – si conserva una cassetta con la sua voce – Howl, che in italiano diventa Urlo, cioè la dimensione della nuova poesia beat, un’allucinazione uditiva – l’espressione è di William Blake, di due secoli prima – mentre il quadro di Edvard Munch, che porta lo stesso titolo – Skrik, urlo – è del 1910, piena epoca futurista.
Lo dice il titolo del libro di Roberto Costantini: Il canto del tempo. Che cos’altro significa, tale titolo, se non la costanza propositiva nel tempo dell’immagina­zione? Il canto del tempo è l’immaginazione umana. Cioè significa l’esistenza umana stessa, come la definisce William Blake. Immagino, dunque sono: è la definizione cartesiana dell’esistenza declinata nel linguaggio dell’arte. L’esistenza è data dalla parola, dal segno, dall’immagine (anche da statue e oggetti vari), in generale le arti, la musica, la filosofia, il pensiero. In una sola espressione: l’immaginazione è il potere della parola poetica. Va detto che anche Dany il Rosso, cioè il noto scrittore ex-apolide Daniel Cohn-Bendit, poi divenuto di nazionalità tedesca e che ora ama definirsi cittadino europeo, è stato protagonista del famoso periodo passato alla storia del mondo occidentale come il Maggio Francese 1968 lanciando lo slogan l’imagination au pouvoir, che è la formula poetica della pienezza dell’essere. Certamente non l’ha inventata Blake, visto che Omero l’ha applicata per scrivere l’Iliade e l’Odissea, mentre Socrate se ne è servito per definire il mondo uranico delle idee, però si è detto di rimanere in un apparentamento di circostanze temporali relative agli ultimi due secoli, due secoli e mezzo, più o meno. Quindi, non risaliamo a prima. In poesia il tappeto volante dell’immaginazione è rappresentato dalla metafora – dire una cosa per intendere altra cosa – corretta e specificata con le varianti epocali di tutto il Novecento rappresentate dal “correlativo oggettivo” di eliotiana memoria, così caro a Eugenio Montale e al suo male di vivere, espresso nel Meriggiare pallido e assorto da una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia e da un’infinita sequela di altri correlativi oggettivi disseminati negli Ossi di seppia, titolo che è già un suntuoso correlativo oggettivo della morte. Fiumi di inchiostro sono stati scritti sopra il tema che distingue tra la poetica dell’immaginazione e la poetica in re, quest’ultima sviluppata descrivendo la cosa in sé, alla maniera di Dante Alighieri, – tanto per intenderci – e tanto per stare negli apparentamenti temporali della contemporaneità, diciamo secondo il gusto della Linea Lombarda – citiamo Vittorio Sereni, Roberto e Clemente Rebora, Nelo Risi, Luciano Erba, Giovanni Raboni – ma anche della Linea Poetica Langarola e citiamone uno solo per tutti, cioè Cesare Pavese. Se ne conclude che il poeta italiano che sceglie di calarsi nell’immaginazione, trova all’interno della Poesia Italiana – che è tra le Poesie più ricche della cultura occidentale – una straordinaria armonia sia di consensi sia di contrasti, come non si riscontra in nessuna altra letteratura occidentale, considerando il periodo che va dall’alto medioevo ad arrivare fino ad oggi.
L’immaginazione di Roberto Costantini è sostanzialmente la metrologia del mondo esistente, cioè la disciplina con cui si prende atto della vastità dell’esistenza. Se usassimo l’espressione schietta del cantante Jovanotti diremmo in modo scoppiettante e ossessivo: “l’ombelico del mondo”. Il mondo è tutto ciò che esiste nella realtà e che ricade sotto la sperimentazione dei nostri sensi, ma anche aumentato a dismisura da tutto ciò che esiste unicamente nella nostra fantasia. A questo indirizzo, si trova la poetica di Roberto Costantini, contenuta in Il canto del tempo, ma già in fieri nel suo precedente libro, Musagete, premiato con la Dignità di Stampa al concorso I Murazzi di Torino. Il lago di Braies, paradiso naturale tra le Dolomiti, diventa l’occhio degli inferi e del sottosuolo puntato verso il cielo: la storia del passato osserva l’orizzonte degli eventi futuri. Tantalo soffre la sua pena di irriverenza manifestata verso gli dèi, tanto gioiosi quanto cinici, che si prendono gioco degli umani, quest’ultimi così ridicoli e impotenti. Il dettato poetico diviene un discorso ellittico, trasognato, adornato di simboli e di diffrazioni del reale, un velo di Maya è steso sulle cose, perché c’è Quel seme d’impostura profumato / inabile a infestare di radici / il vaso stretto e povero di succhi, / pure sa come spaccarti la roccia diffidente. L’occhio del lago – cioè gli inferi che osservano il mondo – può anche assumere una dimensione casalinga e simbolica, in quanto Mi fissa fumante e lirico / il monocolo oscuro del caffè, e si può diffondere nell’ambiente un sentimento di dolce nostalgia, dove una volta danzavano le voci degli amici, e ci si affranca da ogni presentimento della fine, quando la luce ti tocca / quando accogli le rugiade nuove / negli acquerelli della sera / nei fiumi segreti / dove non devi mangiare insetti / dove l’aria si sveste / dell’odore longevo della morte. La liberazione del corpo e dello spirito prende avvio dall’immersione nella natura, Amo perdermi / quando scocca settembre / nelle ampie nebbie lacustri / carezzate da chiome d’aria, / nei verdi potenti. Non manca la testimonianza del dolore, il morso della sofferenza e della disperazione, La fame morde lo stomaco / e lo fa miagolare dolente / insieme a quei sorrisi / spietati di mosche. / Lo respiro nella bellezza / definitiva e cruda di denti, / il male d’Africa. Non mancano atmosfere gotiche, già tanto amate da Edgar Allan Poe, Nembi gravidi / filtrano macerie di tramonto / odorose di cam­po. / Sulle vigne colme / i corvi frusciano, importanti, e si compone allora una esperienza visionaria che è un omaggio al poeta Veggente di cui già si è detto, Ognu­no di questi abeti / un uomo che mi ha preceduto / che ancora pascola la terra. / Un giorno anch’io così / le braccia protese allo stesso cielo / dovrò implorare ancora, e si stigmatizza la percezione di un martirio, per tutte le vol­te / che ho detto sì, e che ho poi udito / il gallo tre volte. Il diversivo psicologico è dato dal ventre materno della casa in cui rifugiarsi, come dentro l’utero artificiale grazie cui sottrarsi dall’assedio mortale della vita e riconquistare, sia pure in modo problematico, la condizione fetale, L’affanno tuo ha odore / lo riconosco io ogni volta / quando mi apro la porta, / però sola mi salvi / mi aspetti ogni volta / mai tenera, mai rugosa, / io non ho il coraggio / di chiamarti davvero casa. Quella stessa casa che può trasformarsi an­che in osten­tazione di mercenaria tracotanza, Quanti miscugli di mano / di dita indaffarate nelle ville / nei cave canem sguaiati / nei mosaici fittizi alle zeta / nei tribunali burattinai. Non manca un’osservazione sospesa tra l’autocompassione e l’ironia per la fugacità della vita e lo scorrere inarrestabile del tempo, Vi respiro senza polveri / ancora capace di accogliere / la spin­ta poderosa dei reni, / delle braccia sognanti e musicali, voi anni miei, e subito dopo leggiamo, quasi in chiave di arrendevole sarcasmo, verso brindisi immaginari / calici di plastica opaca / tutto quello che ancora / mi ostino a chiamare per nome.
Nel mondo poetico di Roberto Costantini assume una presenza significativa la musica in genere, ma in particolare modo quella concertistica, la musica classica, le grandi opere, le sinfonie di Beethoven, viene anche citata l’Eroica. Lo stesso Dante viene più volte richiamato alla memoria, insieme ad alcuni grandi classici, perché immensa è l’esperienza di lettura di Costantini, per esempio viene citata Matelda e il fiume Eunoè, collocato nel Paradiso dantesco, e che possiede la virtù di richiamare alla memoria il bene compiuto in vita dai beati, i quali, ascesi nell’Eden, si accostano alle sponde del rivo per rammemorare. Anche il fiume infernale Stige viene richiamato, confezionando per l’uopo uno speciale ossimoro, prezioso come una gemma rara, cioè l’armonia stigia. Sovente, nel Canto del tempo, si incontra la pioggia, al punto che lo stesso Poeta si definisce pluviofilo, aman­te della pioggia. In aggiunta, va detto che Costantini ama le ricercatezze lessicali, quali, per esempio, l’amistà in luogo dell’amicizia e il petricore, che appunto è l’odore della pioggia emanato dalla terra dei campi e delle foreste.
Quella di Roberto Costantini è una poesia scritta in omaggio alla ricerca piena della libertà e della liberazione: libertà da ogni forma di oppressione della personalità e di castigo delle abitudini, non solo quindi libertà di pensiero e di parola, ma anche di costumi e di comportamenti, di accettazione delle libertà sessuali, della natura bisessuale umana, con una pari dignità di accettazione dell’eterofilia e dell’omofilia. Molto importante è anche il processo di liberazione di natura psicologica e psicoanalitica che è presente nella Poesia di Costantini: si tratta di un percorso di demistificazione dei mostri della ragione, degli incubi e delle nevrosi, delle gabbie erette dal Super-Io. È anche una chiave psicoanalitica della potenza della parola poetica e letteraria in genere, che giunge a presentare Roberto Costantini come un capace e sorprendente autore dell’attualità culturale più incisiva.

Sandro Gros-Pietro

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