SCANSIONI DI PLASTICHE ATMOSFERE


Il mare è un antico idioma che io non riesco a decifrare.
Nel suo fondale l’alba è un timido muretto imbiancato.
Jorge Luis Borges

L’impercettibile scansione dei bianchi accende immagini, spazi, atmosfere che sono narrazione e segnali di una stagione in cui si colloca l’approfondita ricerca di Irene Grazi sul valore de Il colore bianco nell’arte dall’Ottocento ai giorni nostri, che è il tema sviluppato e pubblicato da Genesi Editrice, nella Collana Novazioni, diretta da Sandro Gros-Pietro. Mentre rappresenta un itinerario che attraversa la cultura visiva da Monet a Paolini, dagli Achrome di Piero Manzoni alla fotografia di Edward Weston, sino alle diverse e multiformi esperienze contemporanee.

Un percorso che si snoda lungo i capitoli di una ricerca – sottolinea l’autrice – che “vuole essere la testimonianza di come nell’arte del Novecento e nel nuovo Millennio il bianco, il non colore che è la somma di tutti i colori, è diventato oggetto di studio e di pensiero, quindi materiale artistico su cui diversi artisti hanno lavorato”. Materiale confluito in queste pagine tra indagine e documentazione, riflessioni e impressioni, in una sorta di dialogo che ripercorre quei processi creativi che concorrono a legare il senso onirico dell’immagine al “bianco totale” di Malevič e, in particolare, al bianco che “crea vibrazione e poesia” nella pittura di Mark Rothko. E Irene Grazi apre, di volta in volta, una finestra sulla storia dell’arte e rievoca, fra segni e sensazioni, quella speciale percezione del bianco che in Giovanni Anselmo è sintesi, luce e forma nell’opera Senza titolo, struttura che beve del 1968.

Il dialogo, quindi, si fa storia, frammento, rilettura dell’olandese Veermer, dell’intensità degli scatti fotografici di Tillmans, della materia di Thank you di Perino e Vele, fino ai corpi rivelati da George Segal e alla purezza cromatica di Vanessa Beecroft. Vi è nell’analisi della Grazi un inesausto rapporto con la cultura visiva e il fascino dell’assoluto, con la magia della luce e la ricerca della verità che è fondamentale in ogni artista, tra sottese e quotidiane emozioni e il rigore della scrittura di Giulio Paolini: “La sola immagine nella quale ammette di riconoscersi, il suo autoritratto, è la cornice vuota, l’unica inquadratura “autorizzata” a rappresentarlo”.

E le singole e personalissime rappresentazioni delineate nel libro declinano performances, sottili e ironici percorsi e rattenute gestualità, dove “Il bianco è testimone di svariate sensazioni, di svariati momenti, diventa leggero e candido” e suggerisce ancora la Grazi, non si può “non ricordare la ricerca poetica di Edward Weston che attraverso il bianco e nero delle immagini ritrova il candore puro della costruzione delle forme, il rigore nella costruzione dell’immagine, i giochi di ombre e luce…”.

E da questa visione emerge la profondità dei silenzi e del bianco che contraddistingue il lavoro fotografico di Roni Horn espresso in Dead Owl o il dettato di Eva Marisaldi o, ancora, il pensiero di Victor Stoichita, che in L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea descrive l’importanza della “parete bianca” e della “tela bianca”, mettendo in relazione l’importanza data “all’immagine sacra per i cattolici nei luoghi di culto (cattolici) con la “parete muta delle chiese protestanti”. Approdando “all’idea – scrive Irene Grazi – del bianco come colore simbolico che porta con sé un nuovo riferimento e che vale oggi più che mai a ricercare una spiritualità che nemmeno le immagini possono più recuperare”.

Una spiritualità che si confronta con la caducità dell’esistenza, con i simboli di una Vanitas, dal teschio alla candela e la clessidra, che affiorano dall’ombra con singolare e avvolgente meraviglia, permeata da un’interiorizzata misura espressiva. Misura che in La linea analitica dell’arte moderna e contemporanea di Filiberto Menna trova riscontro nella lezione di Seurat al quale “interessa l’atto individuale del fare pittura, il momento concreto della costruzione del quadro; ma interessa anche, e direi soprattutto, assicurare ai singoli atti espressivi un fondamento più oggettivo, un modello costante di riferimento, in definitiva, un sistema, un sistema della pittura”.

La pittura ha, in ogni caso, il volto di Albers e Picasso, di Robert Ryman e Cézanne, di Paul Klee e Piet Mondrian che nota: “L’aspetto della natura è di gran lunga più potente ed estetico di qualsiasi ‘imitazione’”. Un discorso che fluisce con la tensione poetica di Hopper e Chagall, diventando il luogo e lo spazio per entrare in diretto contatto con l’essenzialità degli oggetti di Giorgio Morandi, il segno ferreo di Basquiat e la dimensione creativa di Walter Valentini, Tina Modotti e Sam Taylor Wood.

Nel catalogo della mostra Il bianco e altro e comunque arte delle Edizioni Allemandi, allestita a Palazzo Cavour di Torino nel 2006, Achille Bonito Oliva mette in evidenza che “Nell’arte contemporanea degli ultimi decenni il bianco come colore trova il suo massimo elaboratore in Lucio Fontana, che lo ha adoperato come supporto dei suoi tagli e matrice irradiante dei suoi ambienti percorribili […] Dal bianco, percorribile come esperienza di Fontana, gli artisti delle generazioni successive sono passati a un impiego sottotraccia che evidenzia l’“altro”, la complessità di una realtà che assume cadenze policromatiche per rappresentare non soltanto il senso di una pura contemplazione ma anche quello di processi di conoscenza di un mondo che vive altrove”.

Un mondo che Irene Grazi ha analizzato e definito con la volontà di consegnare e consegnarci quell’universo di vitali, storiche e straordinarie esperienze che appartengono alla trasformazione nel tempo del linguaggio, dal colore ai materiali innovativi, da metafisiche strutture alla purezza del bianco assoluto che evoca affascinanti e meditati itinerari della cultura e conoscenza.

Angelo Mistrangelo
critico d’arte e Giornalista

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