Prefazione

L’atmosfera di ambientazione del romanzo di Miriam Pierri, Il Monastero dal­le 13 celle, sembrerebbe evocare gli ele­men­ti narrativi tipici del romanzo gotico di ottocentesca memoria: il monaste­ro, le atmosfere cupe, i rumori di ferraglia, il dilavare della pioggia, le violenze fra le mura dei monasteri, le ambientazioni nei sotterranei, i borghi medievali sospesi in un tempo indefinito, senza tracce di luce elettrica o di altre forme di modernità. Tali elementi fantastici di narrazione fecero la fortuna di molti scrittori classici, basti ricordare che lo stesso Manzoni nel suo capolavoro narrativo ricorre più volte con successo nello sviluppo della vicenda de I promessi sposi a proporre dei contesti chiaramente di carattere gotico: il castello di Don Rodrigo e più ancora quello dell’Innominato, mentre al sommo dell’inclinazione gotica si colloca tutta la vicenda di passione erotica, di pentimento e di castigo della Monaca di Monza.
L’elemento surreale, tuttavia, sopravan­za in Miriam Pierri quelli classici della ma­gia e del mistero, che erano già di moda nel romanzo gotico e che servirono a sviluppare il gusto per la paura, il terrore e l’orrore, di cui divenne maestro ineguagliabile Edgar Allan Poe. La visione surreale trionfa, invece, nel romanzo di Miriam Pierri: la processione subacquea dei penitenti, con tanto di fiaccole che l’acqua non riesce a spegnere; gli angeli antichi e consunti dai mille e mille voli innalzati nei secoli verso il Cielo, e che ora ristanno come rovine architettoniche in decadimento, le cui ali si sfarinano in faville luminescenti; lo Scimmione parlante che è l’unico compagno sodale del Filosofo rinchiuso nella sua cella monacale di elezione e dannazione; l’Astronauta che scende dal Cielo per approdare sulla Terra come figura redentrice e agnello sacrificale, in una eco cristica della sua missione nell’universo. In verità, ciò che rappresenta la maggiore innovazione nella scrittura di Miriam Pier­ri è la sponda psicanalitica del suo raccon­to, che si propone come viaggio all’interno del sogno, dell’Io, del Super-Io e del­l’Es, con uno scambio continuo di ruoli e di funzioni, in un rovello della memoria che sca­va nell’interiorità più intima dell’animo umano, come è perfettamente illustrato nel suo straordinario capitolo denominato La bambola.

Elemento di straordinaria impronta stilistica è fornito dalla scelta del linguaggio, volutamente onirico, ma anche lapidario ed essenziale, con formule che amalgamano in una sola dimensione espressiva la metafora poetica e la denotazione narrativa. Ogni frase diviene una monade letteraria, quasi fosse un elemento autonomo, una sentenza aforistica, tanto precisa quanto spiazzante, sempre giocata tra gli estremi della ragione e della follia, in un angolo a giro della sapienza umana.

Sandro Gros-Pietro

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