INTRODUZIONE

Come l’ultimo respiro condensa in una pellicola lo sguardo sul proprio tragitto terreno, così la poesia di Rescigno nel suo “respiro comunicativo” reg­ge l’a­ni­mo del poeta stesso. Palafitte – le parole – ben conficcate nel fan­go dell’animo del poeta, che reggono il percorso terreno elemento di purificazione che conduce all’anelata salvezza eterna. Il fango, terra e acqua, connubio dell’uomo con l’esistenza, inizio e fine, alfa e omega. L’esistenza che Rescigno ha vissuto è stata sottesa a un filo, la consapevolezza dell’anima, quale motore dell’incedere terreno. “… L’anima è l’archetipo della vita… Poiché la vita viene all’uomo attraverso l’anima, sebbene egli pensi che gli venga attraverso l’intelletto. Egli domina la vita per mezzo dell’intelletto, ma la vita vive in lui attraverso l’anima. E il segreto della donna è che la vita viene a lei attraverso la figura spirituale dell’animus; sebbene essa supponga che sia Eros a portarle la vita. Essa domina la vita, essa vive per così dire abitualmente con l’Eros, ma la vera vita, in cui è anche vittima, viene alla donna attraverso l’intelletto, che in lei è impersonato dall’animus…
Da queste parole nasce l’equilibrio fra uomo e donna e trova spiegazione anche il rapporto madre-figlio, il completamento di un uomo mediante l’aiuto incondizionato e ponderato della madre, guida inconsapevole per il figlio.
È inconsapevole perché dettata sì dall’intelletto ma anche e soprattutto dal legame dell’animo con il proprio frutto dell’amore: il figlio. L’anima è ciò che siamo e siamo esseri di terra legati ad essa con un cordone che genera la vita.
Questo tratto di esistenza si recide con un taglio netto per dare moto all’essere nuovo, concedendogli l’alba della vita che però può essere essa stessa il tramonto del percorso terreno: resta solo da determinarne il tempo.
Madre e figlio cresceranno vicini, si avvieranno, elevandosi, sulla montagna della vi­ta. E anche quando il cielo chiamerà, la madre sarà sicura del figlio e di quello che è diventato, perché la vita dettata dall’amore è sempre una scia di luce, una guida serena per l’avvenire. Il figlio ne perpetuerà il ricordo e l’attesa sarà irto acciottolato per il premio della ricongiunzione celeste degli affetti. Rescigno, con innata diligenza e – oserei dire – con il “soffio del dono della poesia”, ha seguito i gironi della cava della vita, ha scavato nel suo animo per vivere nel mondo dei vivi. Con l’aiuto delle parole ha rinvenuto un tesoro – “l’affetto filiale” – che il tempo ha fatto crescere e spingere verso l’universo come un fuoco che dà luce, un tuono che scuote l’Onnipossente alfine di muoverlo a misericordia e concedere al mortale il premio, la certezza dell’oltretomba, dell’aldilà, della vita eterna, schiudendo al peccatore le porte della rinascita.
Il cancello che si apre con il vagito – il primo – e segna la vita dell’uomo: gli dà respiro in una nuova veste, quella della gioia e della sofferenza, del sorriso e del pianto, dell’amarezza e della letizia.
Tutto questo mondo si ritrova nella poesia di Rescigno. Il fiato del cantore è il respiro che nasce con la vita e si alimenta.
Nato a Roccapiemonte in provincia di Salerno, nell’agro Nocerino-Sarnese, terra ubertosa, di abnegazione al lavoro, di amore per la vita e dedizione alla famiglia, ha incamerato nella mente la sua fanciullezza e l’adolescenza.
Questi periodi così decisivi gli hanno concesso la forza di “essere” l’uomo che poi è diventato, artefice non solo della propria vita ma anche di quella degli altri, visto che le sue opere sono state recensite e discusse da autori illustri della letteratura italiana del Novecento. Nel suo peregrinare, dopo alcune stazioni, è approdato nella terra cilentana, caratterizzata da un’orografia che digrada verso il mare con una graduale mescolanza del sudore della terra con la salsedine marina. Questo è stato l’humus ottimale per il corpo e l’a­nimo del poe­ta. La connivenza tra questi capisaldi della vita han­no dato al poeta, per antonomasia, ulteriore impulso al suo innato dono: la parola. Parola, termine adatto, specifico, a volte metafora che il poeta colloca in versi, rime, strofe, per concedere moto al pensiero e cedere ad esso il passo dell’emozione che chi legge dovrà percepire con meraviglia.
Il “respiro” che trova in Rescigno il fiato del cantore è proprio quello che nasce con la vita… Il potere che dà la vita; lo spiritus mundi… anche il transitorio, l’incorporeo l’elusivo. L’inspirare ed espirare simboleggiano i ritmi alterni della vita e della morte, la manifestazione e il riassorbimento dell’universo…
L’espressività della poesia rescigniana trova ristoro in questo equilibrio che, come tutti gli equilibri, è forte se sostenuto da costanza e perseveranza e flebile se tali forze vengono a mancare, provocando l’ambiguità, la disarmonia. Il Nostro, nel corso del suo fare poetico, si è dato delle regole che, alla luce del risultato ottenuto, sono state colonne portanti che hanno definito la sua statura di letterato. Il lavoro che si presenta in queste righe vuole riaffermare la tesi della continuità del rapporto tra la vita e la poesia, tra il fluire delle emozioni tra madre e figlio che si perpetuano nel tempo e che il figlio trasmette ai posteri attraverso il canto d’amore che giunge alla commozione traendone da essa la volontà di essere egli stesso la continuità nel presente e nella storia. Chiara è l’affermazione tra le altre di Franca Alaimo nella parte del saggio, dedicato all’opera del nostro poeta “… Rescigno vuole soltanto ritrovare “il petto materno”, e ricongiungersi all’adorata figura, lasciandosi andare ad un moto tutto infantile del cuore…” Nel progredire poetico di Rescigno la madre ha trovato dunque sempre un posto di rilievo: da Credere la prima raccolta del 1969, fino ad arrivare a Un passo lontano del 1988, volume di liriche tutte dedicate alla figura materna, dove la parola-metafora ricade sulla personalità del poeta che con dinamismo ritma i versi imperniati sul rapporto tra essere vivente e ambiente.
Questo è il risultato dello sviluppo strutturale della personalità di Rescigno che ritrova e rivive il rapporto con la madre attraverso le pulsioni poetiche. A conferma di questa tesi sono le parole di Carl Gustav Jung in Psicologia e poesia: … Sappia o no il poeta che la sua opera si genera, cresce e matura nel suo intimo, ovvero creda di esprimere volontariamente una propria invenzione, il fatto non cambia: la sua opera cresce da lui, comportandosi come un figlio verso la madre. La psicologia della creatività è propriamente femminile, poiché l’opera creativa erompe da profondità inconsce, cioè proprio dal regno delle madri…

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