Premio I Murazzi per l’inedito 2016 (Dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

In una concatenazione sia gioiosa sia drammatica di turbamenti, sensazioni, agnizioni, allusioni e altri fantasmi si sviluppa lungo i versi, intonati alla tradizione metrica e all’armonia interna del linguaggio, una vicenda di spaesamenti e di recuperi della coscienza del mondo e delle logiche di interpretazioni, fino a giungere alla incertezza di una verità assoluta e a proporre l’incertezza del dubbio come una condizione inalienabile della mente.

 

 

Prefazione

Questa mezza centuria poetica, In una parte più e meno altrove, composta esattamente da cinquanta testi, assume principalmente le caratteristiche della ricapitolazione: la ricognizione sul vissuto non già con l’intento di elaborare le memorie da consegnare ai posteri, che si sa essere per lo più distratti se non dimentichi, bensì con quel sentimento di partecipata vicinanza con cui ogni uomo giusto osserva il cammino che ha compiuto nell’evolversi degli anni, non tanto per autoassolversi, quan­to piuttosto per capire il movimento di insieme del mondo nel quale si è inserito il suo particolare percorso. Ecco perché tale esperienza avrebbe potuto essere compiuta “in una parte più e meno altrove”: per una sorta di legge non pronunciata da nessuno riguardante l’equipollenza dei luoghi e dei tempi in cui trascorriamo il nostro passaggio terreno.
L’elemento fondamentale è sentirsi un uomo “giusto”. In ciò ritroviamo l’antica sapienza dei libri sacri. Nei Salmi vengono definite minutamente le caratteristiche dei giusti, come uomini di pace, rispettosi della volontà di Dio, capaci di scacciare dal loro animo l’ira, poiché gli empi saranno sterminati e l’uomo giusto possederà la terra. Non si deve credere, tuttavia, che Nicola Prebenna abbia la vocazione del biblista, ché i suoi interessi sono bene innervati nei nostri tempi, così tendenzialmente agnostici, in cui predomina il pensiero debole del dubbio e l’epistemologia popperiana degli errori. Ciò detto, Prebenna è un uomo del suo tempo: è un uomo di questa terra, che è la sua terra, detto per parafrasare Woody Guthrie. È figlio di suo padre, che prende a modello di saggezza e di umiltà, un uomo giusto, per l’appunto: “Ti rivedo sereno e assorto e mi nutro / d’orgoglio e d’amore a saperti diverso / […] / e che l’esempio tuo è caduto in fertile / terreno mi conforta e spinge a penetrare / fiducioso lo sguardo oltre le nuvole”.
Le nuvole ricorrono in queste poesie come la nebbia dei sogni e l’indeterminazione delle probabilità combinatorie del destino, ma resta il conforto sublime che “È bello sentirsi sommersi dalla potenza / del sole, vorticare sui suoi sentieri / di luce e a cavallo di fotoni senza freni / percorrere in lungo e in largo zone / d’ombra dell’universo e tornare, poi, / stordito a bruciare di fuoco ardente”. Il “vorticare” sarebbe piaciuto a Marinetti, ma “bruciare di fuoco ardente” è un’intonazione degna di sturm und drang, tempesta e impeto, di matrice romantica. Ma se poi si legge fino in fondo ecco che c’è la languida correzione della via del rifugio gozzaniana e dei paesaggi mentali del Novecento poetico: “Meno forte la carezza della luna / ma più sorretta da salvifica debolezza; per questo, sole, a te la preferisco”.
Nicola Prebenna è un uomo di lettere che mette insieme letteratura e storia e non va dimentico che l’unica ricchezza che sopravvive alla storia effimera degli esseri umani è la parola che essi hanno pronunciata e scolpito nella pietra, come messaggio di presenza ad oltranza per ciò che sono stati in vita e per ciò che saranno dopo la vita nei discendenti e nei ricordi che i posteri conserveranno di loro: “incisi sulla pietra viva e tenace / che scrive anche per noi, / nel recinto nobile di Compsa, / quel che è stato e quel che potrà essere; / se dalla nostra agile mente scorre / l’occhio vigile a cogliere il tutto”.
Il libro contiene anche pagine di luminosa e solarizzata nostalgia, diciamo immagini sfocate di un “Bimbo sveglio e sprovveduto” che sognava di conquistare il mondo e che riflette sul fatto che “[…] a parte / qualche spiraculo d’ardore, ho realizzato / solo trucioli e sterpaglie” (si noti la rarità lessicale di spiraculo in luogo dell’ovvietà di spiraglio, che, comunque, già quest’ultimo è vocabolo con riconosciuta cittadinanza poetica, ma certo non avvicinabile allo “spiraculo” impiegato da Francesco di Bartolo nei suoi commentari sulla Commedia). Inoltre, ci sono le amate visioni della casa natale, dei luoghi di infanzia, delle tante faccende intraprese e affrontate nella vita, che tutte insieme poi si risolvono nella scherzosa metafora dell’intrigo delle dita dei piedi, che anziché essere composte e slanciate come natura vorrebbe, “e mi ritrovo invece una nidiata, / gli uni addossati agli altri come / per lotta fratricida e poiché sempre / succede così il più piccolo al più audace / soccombe […].”
Nicola Prebenna è bravo poeta contemporaneo che tiene lo sguardo fisso sul suo tempo, ma non può fare a meno di rendere conto che egli, per tutta la sua vita, ha vissuto nella temperie dei tempi e dei luoghi dell’intera civiltà occidentale, come a chiare parole allude nella sua splendida poesia Schiamazzo, nella quale, in fine di licenza, shakespearianamente confessa di avere fatto molto rumore per nulla.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana