Testimonianza

Ecco che cosa voglio dire, aperitivamente, all’autore di questi Incantamenti, Dionisio Bauducco, intelligente uomo di lettere piemontese, giovane ancora, sulla quarantina:
… in verità, caro Dionisio (posso dirlo, mi conosco bene) un libro del genere mi sfugge, non sono adatto a comprenderlo, a presentarlo. Filologia, ermeneutica, storia militare, ambientalismo, regìa e arti del teatro: su tutto questo avrei da dire, da discutere, se ci fossero tesi per me attrattive, ma in una narrazione trasognata come questa, in un pellegrinaggio di parole distillate bene che conducono extra flammantia moenia mundi, senza il pilota Filosofia, non trovo appigli, potrei chiudere qui ogni discorso.
Tuttavia, sei un amico. Nel tuo precedente volume Liturgie c’erano azzeccati aforismi, soggiacente un’e­ru­dizione di finezza non comune. Si avverte una giusta sofferenza di vivere, e uno sforzo intelligente per non farla straripare, nel tuo comunicare per mez­zo della parola: questi rilievi sono da fare.
Ma non ci sono scrittori sfortunati, per difficoltà a rivelarsi e a trovare pubblico: c’erano, era una bellissima Istituzione la sfortuna letteraria, e ha chiuso, oltrepassata da un sempre più iniquo e febbrile Divenire.
La sfortuna, quanto al libro, è ormai il libro stesso. Lo è la sua forma di comunicare, stravolta e schiacciata da quanto sappiamo: evidente, sotto gli occhi di tutti, non serve illudersi, non bisogna immaginare che con qualche formula sublime il drago dell’Illetteratura sarà decapitato. Ci sono dei furbi, dei bari astuti: si alleano col vincitore (metti che abbia la faccia di Bill Gates) in cambio di farsi accettare come scrittori-comunicatori, una specie che ha un futuro, una fettina di futuro, tra New Economy e immarcescibili coreografie universitarie. Non restano altre vie, se non di pena, di umiliazione, riscattabili però in saggezza di vita, in applicazione della regola di Epicuro (“vivi nascosto”) contenti del margine, dell’oscurità, di qualche fiore strappato all’aridità. Non credo questo sia un male, è piuttosto una forza, una salvezza.
Il libro è un’incongruità, dal momento che è finito perfino l’amore, quello occidentale, nelle sue coordinate medievali che parevano sfidare ogni tramonto – usurpa spazi, ansiosi di essere ristrutturati e adibiti ad altri usi. Non saprei neppure dire se ci sarà più infelicità, causa l’impallidire del libro come un rimedio efficace, suo guardiano che non trabocchi. Ce ne sarà probabilmente sempre di più, ma non sarà perché si assottiglieranno parallelamente i ranghi dei bravi, sicuri, generosi e disperati lettori. Sarà per l’eccesso d’invivibilità del mondo e per il prevalere di reincarnazioni d’infamia e sangue, per il dissolversi delle difese spirituali erette in questi scarsi millenni dall’uomo illuminato per la salvezza comune. I
l mio pensiero è spesso accarezzato dal ricordo, in pura metafora, delle Termopili: la coscienza di appartenere ai trecento che meriteranno i versi di Simonide.
Volersi vinti è bello, quando l’onore sia salvo, salvissimo!
Ho divagato, domando scusa, a Dionisio, a chi s’inoltrerà nei sentieri cosmologici da lui accennati, correndo avanti. La mia pagina, del resto, non era affatto indispensabile, e le prefazioni non dell’autore sono sempre svianti.
Let the light shine.

Guido Ceronetti

PREFAZIONE

Un’astronave è in viaggio verso la stella indicata con la nominazione di tau Ceti, nella costellazione della Balena. Si tratta di una stella nana gialla, molto simile al Sole, leggermente più piccola, collocata alla distanza di dodici anni luce dalla Terra. Gli scienziati hanno la convinzione che alcuni dei pianeti che ruotano intorno a tale stella abbiano condizioni molto simili alla Terra. La distanza è quasi proibitiva per un viaggio umano, che dovrà protrarsi per più generazioni, per cui chi parte dalla Terra sa che non arriverà mai a destinazione e il viaggio verrà continuato dai discendenti, nati dalle unioni avvenute sull’astronave. Nasceranno quindi generazioni uma­ne che non hanno alcuna informazione del pianeta Terra, se non che la documentazione visiva dei materiali fotografici e la memoria lasciata dagli astronauti predecessori. Si tratta, di conseguenza, di un viaggio ispirato a una doppia risultanza: conoscenza futura della destinazione di arrivo, ma anche conoscenza passata dell’originaria condizione di partenza del viaggio. Apparentemente, le “due sapienze conoscitive” sono in contrapposizione dicotomica fra loro, come accade nel Giano Bifronte: il volto che guarda al passato non può mai vedere il futuro, e viceversa. A questo punto interviene il magistero di “logica follia” inventato da Dionisio Bauducco: solo il passato è l’autentica matrice conoscitiva dell’esperienza umana, per cui avverrà l’inversione della sapienza, e non si compirà il viaggio per conoscere le “virtute e canoscenza” apprese con il raggiungimento delle nuove destinazioni. Al contrario, l’effetto del viaggio si concluderà in un mito immobile e invivibile di rappresentazione surreale delle conoscenze del passato.
Apparentemente il racconto lungo Incantamenti si presenta come un romanzo di fantascienza, data anche la ricchezza di nozioni scientifiche che contiene. Dionisio Bauducco, oltre ad essere laureato in fisica, è uno studioso appassionato di astrofisica. Tut­tavia, è anche appassionato di filosofia, letteratura, psicologia, interpretazione dei sogni, pittura, musica, cinema ed altro ancora: è un intellettuale a tutto tondo, nei confronti del quale il di lui amico Guido Ceronetti, a suo tempo, preferì assumere una posizione di prudenziale osservazione distanziata, quasi non avesse avvertito – o inteso – la “logica follia”. Invece, quest’ultima altro non è che una lucida metafora letteraria, che sta ad indicare come qualsiasi uomo possa compiere viaggi solo e soltanto all’interno del proprio humus; e se dovesse perdere la nozione di questo, l’unico viaggio possibile sarebbe un ritorno alle origini. C’è una concatenazione degli eventi descritti che innerva la vicenda in un percorso prescritto, stavo per dire dominato, dal principio di correlazione, che non va confuso con il principio di causalità – cioè una ciliegia tira l’altra – ma è, invece, un nesso di corrispondenza e di affinità interdipendenti; ovvero uno strumento essenziale che percorre, e informa, lungo associazioni magate imprevedibili, l’intera struttura narrativa.
Il romanzo è ricco di citazioni umanistiche, che l’autore sciorina come percorso nel mito e negli stili letterari. L’alter ego dell’Autore si chiama Argo, pertanto c’è un richiamo alla nave di Giasone e agli Argonauti. S’aggiunga il fatto che il vicecomandante della nave si chiama Laerte, che nel mito è il padre di Ulisse; quindi, si rafforza il richiamo metaforico al viaggio come apprendimento di sapienza e di merito anche premiale. E via dicendo: Dumuzi, che conforta Argo in un momento di sconforto, è il Dioniso sumerico, dio dell’ebbrezza e della gioia di vivere, definito da Kerenyi “archetipo della vita indistruttibile”. Inoltre, nel romanzo, Argo è lontano discendente dell’astronauta di partenza, tale Gennaro, il quale indica, attraverso le testimonianze che Argo consulta e assimila, la rappresentazione memoriale del padre dell’Autore, per cui il libro presenta una serie di scorci autobiografici ambientati a Notaresco, a Gaeta e in altri luoghi, sovente sedi in cui operò il Maresciallo dei Carabinieri Michele Bauducco, ma anche località di gite famigliari o di residenze vacanziere. Nella seconda parte, come si vedrà, Argo si identifica con Gennaro. La narrazione passa dalla terza alla prima persona.
Accanto alla tematica in chiave autobiografica, e quindi alla descrizione classica romanzata del come eravamo, nel libro c’è un ampio ricorso all’illustrazione e in parte all’interpretazione dei sogni, che è una pagina aperta sull’uso della psicanalisi in letteratura. Vi sono autentiche citazioni letterarie, collocate quasi di nascosto rispetto all’attenzione del lettore, come lo sono i funghi del bosco, tra le foglie cadute. È il caso della novella pirandelliana Ciaula scopre la luna, tipico racconto dedicato all’irrazionale e all’incantamento, che serve da conferma e da appoggio delle tematiche letterarie svolte dallo scrittore. Non mancano neppure i grandi simboli della letteratura come lo specchio di Argo, che richiama lo specchio di Lewis Carroll attraverso il quale Alice entra nella Wonderland, che noi potremmo (molto) liberamente tradurre come il pianeta agognato.
Si lascia al lettore il piacere di scoprire i gioielli e i simboli, rispettivamente descrittivi e connotativi, di cui è costellato questo prezioso capolavoro di Dionisio Bauducco, scritto all’insegna del motto conclusivo esplicitato dall’Autore nel nono capitolo: Vivere voleva dire ricordare; e ricordare, vivere.

Sandro Gros-Pietro

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