Introduzione ai Racconti

Quando eravamo bambini, in uno dei cassetti della credenza in tinello mamma teneva un tubetto biancorosso di Peligom, colla universale da richiudere con una sorta di anello metallico a vite, per impedire che si seccasse. La Peligom, assieme alla Coccoina, era la nostra droga da annusare, sentori di trielina e vaniglia, segnali di qualche rottura, di solito vasi e vasetti di porcellana fatti precipitare da tavolini e consolle. I due cavalli bianchi con i profili dorati del nonno portavano i segni di multipli incollaggi, ma stavano ancora lì, sopra il centrino fatto a crochet dalla nonna, poggiati in bella vista sul radiogrammofono Schaub Lorenz acquistato con un leggendario 12 al Totocalcio.
Non si buttava via niente, tutto si riparava, dal manico del pentolino alla ballerina di flamenco in biscuit del viaggio in Spagna, anzi le cicatrici della Peligom erano come ferite di guerra, le si esibiva con fierezza. La (in)civiltà dei consumi era di là da venire, e gli oggetti di casa erano sa­cri, «costavano soldi», come diceva papà, quin­di la riparazione era cosa scontata, i cavalli continuavano a galoppare, anche se un poco acciaccati.
Gli uomini si possono riparare? Esiste un collante anche per noi? Qualcosa che ci rimetta in piedi e ci faccia ripartire dopo che il fulmine ci ha colpito, ma non incenerito? In Giappone si usa un termine preciso per indicare il recupero, l’aggiustamento, il rabberciare un oggetto o, magari, un destino: Kintsugi. Una sorta di ara­ba fenice lessicale, che regala una speranza a chi è in ginocchio ma possiede ancora residue energie per affrontare una nuova vita e riscattare le sconfitte.
Adelfo Maurizio Forni con i destini umani ci lavora da un po’, non è un riparatore come il Maigret di Simenon, che avrebbe voluto fare il medico e non il commissario, ma un osservatore privilegiato sì, perché lo scrittore anticipa gli avvenimenti guidando il lettore alla riflessione su fatti e circostanze, mette in campo esempi, errori e capricci del fato, nella buona e nella cattiva sorte.
Nella precedente raccolta di racconti, aveva ricordato come una data può cambiare il corso della vita, Quel giorno tutti ce lo ricordiamo, per un amore che sboccia, un lavoro trovato per miracolo, la morte di una persona cara, la casa che prende fuoco. Un giorno da leoni oppure da sfigati, ma da segnare per sempre come una pietra miliare della nostra vita, qualcosa che ci se­gna nel profondo e quasi mai dipende completamente da noi, ma spesso da cause imponderabili e fantastiche, a volte quasi paranormali.
Forni ritorna sull’argomento, e nei personaggi dei suoi racconti mette sempre una parte di sé, perché ognuno di noi è un impasto di natura e cultura, di abitudini apprese e gesti istintivi, di forzata bontà o inspiegabile cattiveria, di amicizia donata ed egoismo indotto dalle circostan­ze, quasi mai positive. Un altro giorno, diverso da Quel, è il protagonista di questi 12 racconti, che prendono le mosse proprio dal Kintsugi, l’arte del riparare, del recuperare. Un giorno che regala una svolta, finalmente positiva dopo che la vita ha scatenato uno tsunami, un giorno che porta con sé un immaginario tubetto di Peligom, il pit-stop di Formula uno in cui si dà una sistemata alla macchina prima di ripartire più forte.
Lo scrittore gallaratese, ma girovago, drizza le antenne e indaga nei guasti del mondo, come un reporter cerca la sostanza delle cose, l’attacco del pezzo che ci porta diritti in medias res, nel centro del fuoco, sia nel tratteggiare un carattere, sia nel descrivere scenari drammatici, come quello della guerra in Ucraina, nel primo dei racconti del libro, scritto in tempo reale, mentre infuriano i bombardamenti. La diva Oksana Avilov, soprano acclamata nel mondo, scopre la malattia e la guerra nel tragico 28 febbraio 2022, ma la prima, pur seria, passa in secondo piano di fronte alla volontà di aiutare i più deboli a costo della vita. C’è chi poi è costretto, per dirla in gergo calcistico, a tirar fuori gli attributi, come il conte Amedeo Maria Vianello, messo da parte nell’asse ereditario del padre imprenditore, e poi capace di mollare la vita scioperata e inventarsi una professione di successo, grazie al saper guardare lontano.
Adelfo Maurizio Forni regala al lettore anche due sequel da Quel giorno, con Edoardo Della Rocca e il vescovo Guglielmo, ora cardinale, già presenti nel racconto Modesto, e il sindaco onesto Mario Colombo, costretto dai fascisti alle dimissioni e deciso a rifarsi una vita in America, già incontrato in Peppino, il fratello imprenditore. Vicende di uomini e periodi storici diversi, con lo scrittore a raccontare la way of life del tempo, mettendoci le spezie del vissuto personale, senza interferire con giudizi morali ma lasciando scorrere il flusso dell’esistenza di ogni protagonista, muovendone i fili come un abile burattinaio.
Non sempre ognuno rinascerà come un cervo a primavera o un gabbiano da scogliera, ma i protagonisti dei racconti ce la mettono tutta per cambiare, dopo un naufragio affettivo, una fuga da casa e dalla banalità, un rovescio di lavoro. Ma a volte è una passione comune a far germogliare l’idea di incominciare una diversa attività, di compiere una svolta radicale, oppure sono la bellezza e il fascino a portare al successo senza che uno se lo aspetti.
Nel libro ci sono tre racconti particolarmente toccanti, che ci fanno capire quanto il fato, la concomitanza di alcuni eventi, la fortuna o chi per essa, spesso ci guidino su percorsi fino ad allora ignorati per superficialità o disinteresse. Lo zio Gino, portaordini nella Grande Guerra, fatto prigioniero in un lager austriaco, si svela al nipote attraverso un diario tenuto nascosto per anni e letto dopo la sua morte, portando in dono la sorpresa di un’amicizia. Così Filippo, professore di liceo, scrittore per passione, un po’ orso, abbandonato in gioventù dalla fidanzata storica che preferì l’industrialotto con l’Alfa GT, è scoperto post mortem da un giornalista curioso, che vede per caso un articolo su di lui e incomincia a leggerne i racconti, regalandogli fama postuma, una fiction in tv e perfino un film sulla sua vita.
Il terzo racconto riguarda strettamente l’autore, i ricordi dorati del bambino Maurizino, la Mes­sa grande con la nonna, il Mazzacavalli macellaio, la 1100 di papà, il bar Alemagna della Milano natalizia, la visita immancabile alla Rinascente per da­re un occhio ai potenziali i regali da chiedere a Gesù Bambino. Poi il figlio diventa a sua volta padre e nonno, ma il rito non muore, c’è sempre uno scrigno da aprire, quello del nostro io più profondo, in cui cercare l’energia per ripartire, per inseguire una chimera.
Quando ero un giovane giornalista e lavoravo al mensile Airone, curavo una rubrica intitolata Ce l’hanno fatta, in cui persone più disparate avevano inseguito e alla fine acchiappato un sogno e lo raccontavano. Anch’essi magari avevano abbandonato attività, compagnie o amori precedenti, cercando il riscatto nella natura, con pervicacia e rinnovata fiducia in sé stessi.
Il libro di Forni insegna che ognuno di noi ce la può fare e il giorno della rinascita arrivarci addosso all’improvviso, come un sorriso o un bacio, una farfalla o un fiocco di neve. I cocci di cadute e fallimenti però, sono nostri, e da noi vanno riparati, perché soltanto credendoci possiamo cambiare il corso della vita e sperare ancora in un futuro più sereno, perché di tempo per un vero mutamento di abitudini e costumi ne è rimasto davvero poco.

P.S. Non dimenticate mai di tenere, nel cassetto della credenza, un tubetto nuovo di Peligom. Può sempre servire.

 

Mario Chiodetti
da Varese, 1 giugno 2022