INTRODUZIONE

La feroce aiuola di Giuseppina Luongo Bartolini è un consistente corpus di liriche, che raccoglie la straordinaria produzione di questa poetessa, dalle prime raccolte giovanili: Dilemma (1981), L’esca del lucro (1986), Paglia d’oro (1989), a La polvere dei calzari (2005), L’attraversamento del giorno (2008) e La pietra focaia (2009).
Questi percorsi di architetture diverse con preziose schegge che, a tratti, fanno riemergere echi di una dimensione religiosa e umanistica, sono proiettati verso un oltre inattingibile. La cifra inquietante della modernità è nel vortice delle parole, che ci seducono sotto l’incalzante musica del verso. Momenti di straniamento e di disoccultamento del rimosso sono a fronte di un’alta tensione, che tende verso un assoluto invisibile: «Spiegami la fioritura / e il declino / il mistero del nascere / e del morire il cedere / d’ogni cosa vivente e creata / al crollo della fine / tu stesso nell’altrove / dei mondi a me per sempre / perduto il caro viso, / dolcezza dello sguardo / la dedizione del cuore». Stille di schietta poesia si consertono per accostamenti associativi d’idee alla scena onirica; la poesia di Giuseppina Luongo Bartolini deborda dal proprio perimetro, per irrompere nel sommerso mistero della vita, che impone una fede nell’oltre: «Questo essere sola nel mio profondo / con l’anima mia a luci spente conclude / l’itinerario percorso divisa d’ordinanza / rinnegata nel cipiglio del cerchio che / s’incentra e divora a denti stretti il respiro / del mondo libertaria la stretta messa / in gioco nelle caviglie dolenti alla / repulsione dei legacci forzati dei polpacci / negati una rincorsa riprende nell’ora / compromessa una caduta sul campo».
Il verso, prosciugato nella sua essenzialità, esclude ogni lusinga esornativa, per cogliere la rivelazione dell’essere: il destino imperscrutabile della storia ferma il tempo e la vita in un eterno ri/fluire. Ogni parola va oltre se stessa, diventa ritmo e metro, evocazione e descrizione, fondendosi in perfetta armonia. L’io si decentra per cercare un altrove di un surrealtà inconoscibile: un’identità smagata, di fronte alla luce della rivelazione; questo stato permanente di inquietudine è sempre alla ricerca di un varco introvabile, accompagnato da visioni icastiche, che delimitano il fulgore della parola e delle immagini: «Il noi di un comune percorso fu / privilegio di scelta e di fortuna il / segno imperativo dell’esperienza / e del colloquio colma benevolenza / d’amore e di connubio ma il blocco / improvvido nel crollo della tua / strada finis terrae di un mondo fatto / […] è la specchiata / parvenza del nostro essere stati due / impenetrabili, sogni affiancati tuttavia / compenetrati nell’unico senso dato / dall’essere vivi e scissi nell’identità / all’humus della terra alle radici, / vaganti ed al sasso mi apparento nel / timido vano scongiuro annichilita / del danno al limite incerto inconsulto / della veggenza dislocato al porto dei / navigli pertugio grotta perforato scafo».
Le immagini emergono dirompenti da un discorso franto, ma unitario: un repertorio di oggetti e simboli di un universo che rinasce, alla luce di una parola “rivelatrice”, che sopravvive ad una realtà disseminata di detriti insignificanti. L’andamento del testo poetico procede per accumulazione, ora attraverso immagini sapientemente delineate, ora per scatti improvvisi, lungo l’accidentato versante di epifanie continue: «Madre della mia antica solitudine / che allevasti nel fondo dei miei occhi / innocenti il lievito del sogno raccolto / nei gomitoli di refe della tua grande / coperta di parata il mondo delle parole e delle figurazioni stampate sul lino». Ritmo e visione, in una “memoria incatenata” ad un tempo fugace, diventano un segno-relitto di un’esperienza estrema.
Il disincanto e “le intermittenze del cuore” fagocitano un’esistenza fatta di attese, in una lunga notte di tenebre e di speranze, fino alla consumazione dell’ineffabile: una realtà indecifrabile coagula intorno a sé frammenti dalla forte tensione emotiva, con sequenze visionarie e dolenti. La memoria è ulcerata dal segno trepidante della parola, che si placa attraverso l’accumulo e la sedimentazione, con la prolificità del fantasma. La malinconia, anche quando il verso si dilata, espandendosi in modo perturbante, in proiezione dello stato di grazia, trova nell’estasi la vera purificazione. Un turbine di rappresentazioni tende in maniera ascensionale alla conquista dell’oltre e, talvolta, si confonde con un notevole impulso all’astrazione, che frantuma l’ordine logico del pensiero: «Io sono il mio quotidiano / un manoscritto graffito / che nessuno ebbe il potere / di correggere mai / nella sua mistica forma / la prudenza di maneggiare / foglio a foglio / l’astuzia di deflagrare / nel quadrifoglio silente / nel rosseggiante / gorgoglio del maggese / sepolto nei variabili segni / della stagione migliore / la criptica misura del cuore». Tutto il dicibile è al di là del discorso, l’infinito supera tutto ciò che è caduco, cercando una via di fuga. Si apre all’alterità, per riflettersi specularmente nella parola, come segno perturbante dell’esserci: «Non so se v’è contato ch’eo lo faccia / per arti, che voi pur v’ascondete / nella grata notturna dai segni interpretate / le divise forme del corpo frattali della / mente proiezioni infinite nei semi / affrancati dal morso della materia sottili / indagini stringi vinci la pelle algia nel / dolorante bramito adombramento / sfumatura / luogo nel tempo orologio che smaschera / il geometrico peso della definizione».
[…]
La violazione del principio di non-contraddizione riesce a disvelare gli snodi essenziali della poesia di Giuseppina Luongo Bartolini, concependo l’inconscio freudiano, secondo i principi della logica simmetrica di I. Matte Blanco: «Mi hai riservato nel canto trabadorico / due notti promesse sarà la prima / l’architrave del sogno veritiero ma / lieve come mani volanti e desiose / sulla bianca tastiera / La seconda incentrerà lo sguardo / del fulgore che snida dalle conche / remote l’estrema sinfonia […] e tu impervio maestro d’arte e di rime». La bi-logica, con audace deviazioni, comprende dissolvenze incrociate, rispetto alla logica formale-aristotelica; i processi dell’es non valgono per le leggi del pensiero ordinario, ma solamente per le imperanti leggi dell’inconscio: «Del mondo non altro che me stessa / in uno specchio frantumato ho veduto / intera in ogni squarcio disatteso ogni / volta nuova e diversa eppure uguale / al logaritmo che impegna la misura / del numero al suo pallottoliere / maschera di costumi avariati sepolti / dal flusso della marea montante nei / rigurgiti bui nelle fogne di un porto». Nel sistema inconscio di questa produzione poetica, “lo spostamento” e “la condensazione” costituiscono i meccanismi fondamentali della scena onirica e i traslati più ricorrenti di questo denso discorso lirico. «La logica simmetrica” deve necessariamente osservare «le strutture bi-logiche, scrive I. Matte Blanco (1980), esse sono inaccettabili per qualsiasi pensiero che adopera solo la logica bivalente, perché violano le sue leggi e pertanto esse possono prosperare solo in uno stato (inconscio) dissimulato, anche se questo stato non toglie nulla al loro potere». La visione dell’inconscio, come struttura bi-logica, è costituita da rappresentazioni pulsionali, che aspirano a scaricare il proprio investimento mediante i desideri e includono elementi reciprocamente incompatibili: «L’ipotesi del tempo aleatorio nell’avvio / e nella partenza dal nulla al nulla / gocciola nella piena di un mondo / orizzonte fantasticato dominio di tenebra / e di luce atomi d’opacità nella lancia / sgargiante del sole nel fondo della / oscura notte nomadi nello schianto». L’autorappresentazione, inserita nel disegno salvifico del mondo, è un compendio ideale tra storia, fantasia e fede; le tensioni si placano in questo amalgama di esperienza e conoscenza, nel “chiuso mistero / del canto che attorciglia le volute di / fumo al volto misterioso del passante”, in una visione, che è al di là del bene e del male. L’empito della fede coagula la dinamica dell’esistenza nella consonanza speculare dell’alterità e della storia. La luce eterea del dramma umano è nell’autenticità espressiva della parola, tra utopia e speranza, tra passato e presente: «Il pensiero del poeta realizza l’indice del sogno nella “parola”, che è al di sopra del contingente»: «Questa struttura mortale il mio corpo / edificato per una breve esistenza / tenebra ed orizzonte sguarnito / crollarono le terre emerse della speranza / ch’io guardo con meraviglia e sgomento / promesse e date da un’eternità nel progetto / totale animale fedele prossimo di me stessa / culla e bara della mia anima dove come / perché attenta ad un’inquieta sorte e definita». “Il pensiero poetante” di Giuseppina Luongo Bartolini ruota attorno alle strutture bi-logiche, pur partendo da una logica bivalente, coglie il mondo misterioso dell’essere, sul versante dei contenuti inconsci, che sono inerenti alla “legge di contraddizione” e alla “logica” del sistema inconscio: «Sorvolo sul basalto con passo / leggero desertificato il margine / del confine annichilite le ombre / l’infinito delle orme mi conquista / didascalia disarmata nel vago / ottundimento del seme / disarcionata la condizione mistero / della linfa significanza del tronco / anche per me interrerei radici».
“Le intermittenze del cuore” delimitano, infine, l’orizzonte della “linea di confine obbligata”, con audaci recuperi della memoria: «Sul lungomare di Nizza avevamo / marinato la scuola noi studenti / di lungo corso risicando nella pagina / della vita concessa il salto della gioia / e della fiduciosa conversione al patto / d’amore in una bolla lo stupore / di quell’essere insieme […] itinerario che credemmo per l’eterno / assegnato agli uomini di buona volontà».

Carlo Di Lieto

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