Premio I Murazzi per l’inedito 2012 (dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

 

In una concezione geoepica della poesia che accomuna la storia del Pianeta alla storia dell’umanità, la scrittrice configura un duplice arcobaleno pontefice che unisce l’Occidente all’Oriente e contemporaneamente stabilisce un ponte tra l’antichità e la modernità, attraverso la fratellanza dei popoli diffusa dalla luce ludica e gioiosa della fiaccola olimpica, ma anche rappresentata dal simbolo della Montagna che è il tetto del mondo, cioè il Tibet, in un canto intonato alla libertà e all’autodeterminazione dei popoli. In una ricostruzione che è intonata alla speranza, ma che sa essere memore e riverente nei confronti del dolore e delle violenze delle vittime e dei vinti, la scrittrice restituisce alla poesia la sua primaria funzione di custode dei sogni e dei valori profondi dell’umanità.

 

INTRODUZIONE

La Fiaccola e la Montagna è un componimento geoepico che trae ispirazione dalle Olimpiadi di Pechino dell’otto agosto 2008 e dal loro triste primato di eventi negativi. Tutti li ricordiamo: il gravissimo terremoto nel cuore della Cina, Paese ospite; la tregua delle armi non rispettata dalla Russia, che invase l’Ossezia, rivendicata a sua volta dalla Georgia, proprio il giorno dell’inaugurazione dei Giochi; la miriade di contestazioni nel mondo in difesa dei diritti umani e a favore della causa tibetana. Lo spegnimento della fiaccola olimpica nella mano del suo tedoforo, a Parigi, e l’arbitro picchiato dall’atleta Valodie Matos che dissentiva dal verdetto emesso su di lui, sono atti gravissimi, un triste segnale del mutamento dei tempi. Intanto in Tibet il genocidio non si ferma. Siccome i timori per la sopravvivenza della cultura di quel paese si moltiplicano, il mondo appena può si mobilita.
Le Olimpiadi 2008 sono state l’occasione per una denuncia planetaria. Tante le iniziative prese allora: la sfilata con bandiere dai cerchi incatenati; la rivolta pacifica dei monaci tibetani a Lhasa; a New Delhi la controstaffetta con una propria fiaccola, in difesa della libertà religiosa e culturale. Nelle città d’Oriente e d’Occidente toccate dalla fiaccola olimpica ebbero luogo numerose manifestazioni pro-Tibet. Ad esse si aggiunsero quelle individuali, costate anche la prigione, come all’inglese Matt Pearce che aveva esposto sul ponte Tsingma di Hong Kong striscioni rossi con le scritte Il popolo della Cina vuole la libertà dall’oppressione e Vogliamo diritti umani e democrazia.
‘I secoli della Storia umana sono attimi, e l’uomo nella sua essenza è sempre lo stesso.’
Sono parole dello scrittore ceco Vladimìr Mikeš. È opinione condivisibile. Ieri come oggi l’atleta colto nello sforzo immane di superare i propri limiti: ne è un esempio sublime.
I Giochi moderni sono forti di una bandiera e di un regolamento che prevede di gareggiare per la gloria dello sport e l’onore della propria squadra. Ma questi valori universali talvolta vengono violati. Non così circa tremila anni fa4, quando essi erano considerati sacri e intangibili, ‘simbolo di unione/ tra le genti lontane’, quando era già gloria partecipare. Infatti i Giochi, nati in Grecia, si estesero alle sue colonie, nel bacino del Mediterraneo e a Roma. Lo stesso Nerone cercò gli onori olimpici, segno di quanto essi fossero tenuti in considerazione nell’antichità.
Alle Olimpiadi di Pechino hanno partecipato 208 nazioni, ossia il mondo. Migliaia di giovani hanno gareggiato, dato spettacolo delle loro capacità eccelse, contribuendo a far sentire le voci di chi grida ‘basta’ alla violenza. Hanno sposato la causa dei Tibetani, che rivendicano i propri diritti con i mulinelli di preghiera, non con le armi.
Nell’era della globalizzazione i popoli dovrebbero imparare a rispettarsi reciprocamente. Il pianeta è sempre più affollato; è giocoforza condividere un destino comune: il disastro di uno è il disastro di tutti.
Per salvare noi dobbiamo salvare gli altri, praticando la cultura della vita, non della morte. Lo sviluppo della tecnologia, che ci dà la possibilità di essere informati sugli eventi del mondo in tempo reale, ci consegna nudi alla Storia. Essa vibra di tutte le stonature perché non conosce il silenzio.
Infine un accenno alla scelta del titolo. L’altopiano del Tibet con le sue vette è considerato La Grande Madre della Terra, simbolo dei simboli, metafora del faticoso cammino dell’uomo, tutto in salita per difficoltà e intimo bisogno di ascesi. L’atleta con la fiaccola in pugno, nel superamento degli ostacoli, nel suo tendere alla conquista di un primato dà la scalata alla sua montagna perché è lassù che brilla la medaglia d’oro. Il mio progetto iniziale era di celebrare la grandiosità delle Olimpiadi cinesi: ma la causa tibetana mi ha sopraffatta. Sono salita sull’altopiano, affranta, commossa, tra incenso e preghiere. Lassù più che a Pechino mi ha portata il cuore.

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