PREFAZIONE

È la macchina di Antikythera, simbolo dell’intelligenza ellenistica, non vessata dal buio dell’ignoranza, dalla paura e dall’interesse, ritrovata più di cent’anni fa nelle acque della piccola isola greca dello Ionio (Ἁντικύϑηρα), a significare il motivo che scandisce nel profondo dell’animo il verso di D’Elia, che ne assume il titolo.
Come con il più antico calcolatore meccanico conosciuto, uscito dalle acque, che scrutava e calcolava il sorgere del sole, le fasi della luna, i pianeti…, l’uomo mette a nudo e scruta anche se stesso e il tempo che scorre.
E il poeta racconta, sebbene “disperso tra le parole”, il vivere, fatto di simboli e ricordi, d’amore che all’improvviso s’accende come una lucciola nel buio e una stella nell’immensa natura, di ferite, di sconfitte, di umiliazioni, di speranze, che inevitabilmente ritornano, anche se “un’altra estate se ne va”, seppure inventata, che appare nello specchio del nostro sentire. Come per vivere gettando dietro le spalle conflitti, contraddizioni, dubbi, noia “che conduce ad una città ingannevole”, e “A sera, i villeggianti fanno ritorno a casa” continuando a sottostare “impassibili” al gioco della vita.
Ma il cuore del poeta non retrocede, non ci sta al falso gioco, e guarda incantato d’amore e di silenzio

“Il tuo corpo nudo
sdraiato nell’erba fresca il sole
che t’accarezza il seno”

e dentro di te il tuo sogno arcano.
E contrappone, quasi scaglia, l’amore che esulta nella vita, contro barbarie, ingiustizia e violenza della guerra, partorite dalla società divisa, specchio della preistoria che non è ancora finita in molti cuori e menti, sebbene anch’essi, inconsciamente, al di là delle ideologie di morte e di odio, ostaggi delle loro paure, sentano il richiamo sotterraneo della solidarietà e dell’unità, scavalcando muri, fossati, trincee e idiozie.

“Quanti muri innalza l’uomo
col pensiero? Rinchiude i fantasmi
delle sue paure, che attendono
di essere liberate dalla società
creando ponti levatoi. Ma l’uomo
ricorda che ha tanto lievito nel cuore
da fare fermentare i suoi sogni”.

D’Elia nel suo verso, pregno di significati, di sensazioni, agile ed elegante, riesce a raccogliere un sentire più ampio, di tutti, e della stessa natura, ben consapevole che il ragionare stesso dell’uomo è frutto, sano forte o malato che sia, della natura e dei rapporti dei tempi nella storia, chiusi o aperti tra gli uomini, dai legami sociali degli individui, che non sono mai soggetti individuali, monadi fredde e miseramente circoscritte.
Non è la realtà che rincorre le idee, ma sono queste che da essa zampillano.
È una lezione che l’autore ripete, come in altre sue opere, perché i giovani divengano coscienti di sé, anche se

“i loro sogni sono in bilico
col mondo, come acrobati, sono
lontani dai rovelli dell’enigma”.

Ma…

“la ragazza s’affaccia
alla finestra,
gode la quiete
della sera.
Un presagio
di speranza
scaccia le paure
della vita”.

Coscienti di sé, dunque, e degli altri e non dei vari specchi bugiardi, aprendo la porta della vita alla comprensione della realtà, per poter scegliere, discriminando il profumo dell’intelligenza e della consapevolezza dal lezzo dell’irrazionalità cieca e fanatica e del buio dell’interesse gretto e ignorante.
Nell’opera di D’Elia ritorna costantemente un altro aspetto, che sta sullo sfondo, ma spesso diviene punto di riferimento: il Salento, la sua terra con l’odore di sole e di ulivo,

“raccontami il passato:
una meraviglia d’amore,
una vita di ammalianti destini,
riflessi chiari nello specchio”,

mentre nella

“Notte odorosa
di sogni lunari
le terrazze
si specchiano
alla luna”.

Il verso del poeta quando penetra nel cuore della sua terra sa carpirne e dipingere l’essenza profumata, calda e colorata come:

“Ancora Orfeo canta
con la sua lira per Euridice”

e

“Sul balcone
trepidanti di luce,
i gerani vegliano
il sonno della casa.
È la notte del Sud,
stordita di luna”.

L’essenza del sentire da vero uomo del Sud, che respira

“l’albero di limone”

che

“nasconde

l’incanto dei giochi”.

E ancora, amore e affanno:

“Contorto ulivo,
inerme sentinella
della mia terra,
emblema d’affanno
della gente Salentina.
La luna t’accende d’amore”.

Verso la conclusione dei suoi versi l’autore riesce a dipingere con profondo e luminoso senso poetico l’eterno amore-odio tra l’armonia della Natura e i contrasti sofferti del vivere:

“Se fossi una cicala
canterei l’armonia
della natura, dove
si smarrisce il cuore
dei poeti.
Se fossi tempo
cancellerei i ricordi
pesanti di cadenze
e di enigmi della vita”.

I versi del poeta giungono fino ai moti segreti e reconditi dell’animo in punta di piedi, discreti, come una musica dolce che ti pervade e avvolge.
Ma talvolta, aspri e crudi nella loro sincerità, insegnano ad osservare, ad ascoltare, a comprendere il reale dell’uomo, spesso ingiusto e umiliante, sapendo anche soffrire, ma con la dignità della ragione che si fa domande e si arrampica sulla via scoscesa di Antikythera, e la poesia del cuore che talvolta le risponde.

“Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive”
(Giacomo Leopardi, La Ginestra, 1836)

Franco Nicoletti
maggio 2016

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