Nota d’Autore

Qualche parola sul libro: è stato scritto tra il 1976 e il 1978, al tempo delle brigate rosse. Ho deciso di pubblicarlo ora per una ragione legata a mie esperienze professionali: nel romanzo avevo inserito, e vi è rimasta, la specifica di progetto di un particolare velivolo privo di pilota e nei miei intenti a guida autonoma che da qualche anno è noto col nome di drone. Allorché, a metà degli anni ottanta, sono entrata a fare parte, a Torino, dell’ufficio di Avanprogetto in Aeritalia, successivamente denominata Alenia, ho parlato della mia idea al responsabile dell’ufficio e ne ho ricevuto l’autorizzazione a eseguire su computer un complicato calcolo riguardante la portanza prodotta dalla superficie rotante del velivolo. Gli ho comunicato i risultati ottenuti, ma il progetto non è stato preso in considerazione. Una copia della specifica è rimasta nel cassetto di un collega al quale l’avevo consegnata a titolo privato e personale. Agli inizi degli anni novanta ho scorto in una rivista militare top secret che un collega stava consultando la sagoma del “mio” drone e ho appreso che era in fase di realizzazione in Germania. Avrei voluto fare presente la cosa al responsabile, vi ho rinunciato perché mi avrebbe risposto che Alenia progetta velivoli da combattimento e non droni. Nel 2017 un ex-collega che ancora lavorava in azienda mi ha riferito che ciò che resta dell’Alenia torinese è stato destinato alla produzione di droni per uso militare. La notizia chissà perché mi ha indotta a riprendere in mano il romanzo.
Un altro punto su cui vorrei fermarmi riguarda i personaggi del romanzo: la grande Eugène era il capo carismatico di una sorta di comune che si era – forse – suicidato per non essere accusato di reati che aveva commesso per ingenuità, dando retta a falsi consiglieri messi in moto dalle alte sfere dopo che aveva incluso nella sua cerchia l’enigmatico e avvenente Paggio, imparentato colla gran­de borghesia.
Luciano, amico/amante della grande Eugène, noto co­me sobillatore alla polizia, aspetta il momento opportuno di vendicarne la morte scatenando una sorta di rivoluzione, ma è preceduto da altri che, attraverso l’espediente della maschera applicata al viso, vogliono farsi passare per seguaci della grande Eugène. Nella rivolta tre sono le fazioni, una delle quali, quella di Luciano, che non si batte apertamente sul terreno, ma che gioca tra le altre due, è costituita da analitici privi di capitali. Chi dà a questi soggetti i quattrini per fabbricare l’arma decisiva per l’esito finale del conflitto? Raffaele, il capitalista che ha scommesso su di loro e li finanzia. Una volta annientate le due fazioni avverse dei conservatori e dei progressisti, Raffaele riemergerà per pretendere la sua fetta di potere. Mirella, sorella di Raffaele, potrebbe essere il pegno dell’alleanza tra Luciano e Raffaele, ovvero tra il rivoluzionario e il Capitale. Così come al termine della storia inizia a sospettare Maria Ilaria, l’Io narrante e probabilmente la gabbata della situazione, la vagheggiata “Terra Promessa” correrà il rischio di restare un’utopia.
Dietro questa trama intricata avevo inteso adombrare a suo tempo il dubbio che le brigate rosse non fossero mosse da analitici che avessero letto Marx con attenzione, bensì da circoli economico-finanziari che le manovravano per gettare discredito su quegli stessi analitici, nello stes­so modo in cui, nel romanzo, i falsi seguaci della grande Eugène agivano facendosi passare per soci di Luciano&Co.

Paola Grandi

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