Prefazione

Poema cosmologico

Sembra, questa, la definizione più perspicua e pregnante per un poema, che si snoda “infinitamente”, nel segno di una libertà e felicità, acquisite attraverso un impegno, intimo e intenso, nella Vita, che nella Letteratura, nella Poesia, ha trovato il suo centrale nucleo esistenziale ed espressivo.
Nello scorrere del tempo, nel fluire degli anni, è ora quest’ultima a imporre i suoi inderogabili diritti al “fare”, che è nella sua più esatta etimologia, ma, soprattutto, al sognare, sfidando con coraggio e costanza quella Ragione, che sembra governare i destini del mondo.
Sì, perché è qui il nucleo della questione e il solido armamentario classico, al quale Imperia Tognacci, con la consueta consapevolezza, ricorre, nel complice rapporto con Psiche, le consente di imporre con crescente energia, che qui diviene passione pura, la sua voglia di recuperare e rilanciare, tutta intera, la propria identità, la propria personalità, non quelle imposte dalle false parvenze di un mondo in dissoluzione, ma quelle suggerite da una sempre nuova stagione del cuore, che vibra finalmente puro da scorie e sovrastrutture, che ne hanno nel tempo gravato la bellezza e leggerezza.
Canto liberatorio, dunque, questo, che Imperia innalza ai valori, che le sono più cari e ai quali, da bianca Vestale, ha consacrato la sua fervida storia di donna: l’Amore e la Poesia.
Questi due fondamentali “imperî”, anche in questa silloge, ma con maggiore veemenza, si muovono all’unisono, percorrendo binari paralleli, che dal personale trascendono all’universale. Chi ben conosce la produzione della Tognacci sa che una delle sue principali e segrete caratteristiche consiste nella intersezione, che ella opera, con calcolata casualità, tra vari livelli esistenziali ed estetici, che dalla sublimità della poesia si misurano con la minimalità del quotidiano ma anche, e soprattutto, con l’apocalitticità di una cronaca, che ci coinvolge tutti, con una tecnologia sempre meno umana.
In tempi di azzardati Sperimentalismi, che mettono la parola a dura prova, a volte violentandola senza ritegno, la poetessa segue la strada, che più le appartiene: quella della memoria, che si fa storia e che non teme di recuperare e rivivere dal di dentro quella classicità, che è la fonte primaria, checché se ne dica, della nostra umanità. Bisogna, allora, guardare avanti ma non si può fare a meno, come ricorda Apuleio nella dedica, di voltarsi indietro con l’audacia di chi vuol capire per poter veramente amare.
E per capire bisogna attraversare la vita propria e quella degli altri, perché la poesia davvero acquisti un respiro universale. Ed è tutto qui il senso di un titolo che invita al dialogo, al dibattito, perché il poeta torni ad essere poeta disarmato del mondo, capace però, e qui il messaggio si fa forte, di guidare una umanità, invocante amore e pace.

Francesco D’Episcopo

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