Prefazione

Una premessa necessaria, prima di parlare di questa nuova prova di scrittura critica di Fabia Baldi. Di lei, come poetessa che seguo da tempo, mi aveva colpito anni addietro un testo poetico che già metteva in scena, in maniera intensa e disarmata ma non scevra di forti suggestioni culturali (tra Catullo, il c. 64, e Montale della Casa dei doganieri), indizi e stati d’animo segnati da una sensibilità matura e già molto significativa.
Il testo, all’epoca inedito, parlava del sogno di seguire nel suo dantesco “folle andare” l’amato facendosi “schiuma” o “conchiglia”, per dire l’ansia di sentirsi a stretto contatto delle acque che accompagnavano e avvolgevano il suo nuoto.
Vale la pena citarlo perché mi pare di riscontrarvi in nuce elementi davvero utili e significativi per chiarire e comprendere come l’“avventura” della scrittura di Fabia sia fortemente legata a questo topos, che, ancor più che letterario, è morale, e come sia andata avanti attraverso tappe differenti, fino all’oggi delle prove più recenti, poetiche ma anche critiche.

Eccolo:

“Ad occhi socchiusi indovino / la tua bracciata sicura / verso la torre normanna. / Come seguirti / nel tuo folle andare, / farmi schiuma / o canto di sirena / o refolo di vento / a baciare l’ala del tuo braccio… // Resto, / conchiglia disanimata dalla tua assenza. // Ancorata al tuo volermi” Ad occhi socchiusi

È l’abbandono, più che all’attesa, alla contemplazione, in un misto di sollecitudine e trepidazione, quello che Fabia vi mette in scena, dando forma all’assenza (o al fantasma della perdita), fissata in un fotogramma, che, a seconda della prospettiva, rappresenta un allontanamento o un appressamento: con la coscienza di chi, pur consapevole di appartenere alla razza di chi è costretto a restare a terra, sente, a differenza dell’Arianna catulliana abbandonata deserto in litore, c. 64, “su una spiaggia deserta”, tutta la determinazione e la voglia di continuare, costi quel che costi, a sfidare con lui i marosi della vita, tenacemente “ancorata” nel desiderio alla voglia di capire e carpire quasi il segreto della sua forza, al di là di un’oscura sensazione di inadeguatezza.
Una sensazione, questa, che, se anche a tratti a volte sembra affiorare, viene subito allontanata.
Penso a un testo più recente dove ammette: “Io non so chi sei. // Se sei fuoco / sarò ferro che fonde / alla tua passione. // Se sei acqua / sarò foglia che travolgi / nella tua corsa impetuosa. // Sarò creta / per le tue mani di scultore. // Tela per i tuoi colori // E foglio bianco / per le tue poesie”.
“Foglio bianco”, soprattutto: come dire che più di ogni timore è forte la coscienza del bisogno di dare ascolto alle “urgenze del cuore” tradotte in flusso avvolgente di scrittura (di sé, dell’Altro).

Della “scrittura di sé”, Fabia ci ha dato fino a oggi prove ben significative e anche emozionanti: penso se non ad altro alla sua raccolta poetica più recente, La tenda dell’attesa, uscita nel 2023 in Romania con traduzione a fronte, giocata tutta nel segno di un’“attesa” e di un “miraggio”, in versi di tersa perfezione, degni di un idillio antico-greco, da Antologia Palatina, o di uno dei grandi archetipi della poesia novecentesca, ossia l’Ungaretti dei Ricordi del sole in riva al Nilo.
L’Altro, il soggetto di cui si parla, è Corrado Calabrò, un poeta che, per esorcizzare lo sgomento del “non senso della nostra esistenza / nell’universo senza scopo immerso” (per citare un suo breve testo, Nonsenso) lucrezianamente si è disposto da sempre a invigilare noctes serenas, a interrogare con la poesia la vita, il mondo, in tutti i suoi aspetti. “Scevro dall’appartenere a correnti letterarie, nella sua lunghissima carriera poetica, è sempre stato fedele alla sua ispirazione, lucida e originale, innovativa nel contenuto e nelle forme”, dice di lui con “intelligenza d’amore” proprio Fabia e non si saprebbe cosa e come dire di più.

È in queste coordinate che si può leggere la “critica” di Fabia: nei toni e nella forma di un’autentica “sapientia cordis”, che agisce e guida l’attraversamento della poesia di Corrado Calabrò, da diverse angolature e prospettive, da quella dell’“altrove” (L’Altrove nella poetica di Corrado Calabrò, 2019), a quella del “viaggio” (Corrado Calabrò, un moderno wanderer tra mare e stelle, 2023), a questa infine della “felicità” e della “seduzione” (La ricerca della felicità nella poetica di Corrado Calabrò. Il mondo come seduzione).

Sempre tenendo presente che il filo rosso che ne tiene uniti tutti gli aspetti della personalità è la “tensione” verso una dimensione di completezza, dove “si smarrisce / la distinzione tra provenienza e destinazione”, per lasciare il campo a campi semantici ben particolari inscritti in parole apparentemente le più trite e scontate ma quanto mai vere ed essenziali.
Parole come felicità, amore, sogno, mondo, in un inseguimento senza fine, a partire da una sensazione di “imperfezione”, per trovare risoluzione attraverso un’inesausta domanda di senso, di fronte al grande enigma del mondo, gremito da simboli che aspettano di essere decifrati, sfidando l’inerzia dei pensieri, forzando il silenzio opaco delle cose, grazie alla poesia.
E soprattutto i due termini denotativi del titolo, ossia “ricerca” e “seduzione”, disposti a chiasmo, in opposizione ma anche reciproca interazione: come dire tra salvezza e perdizione. Con il primo, “ricerca”, come tensione propositiva e agonistica nei confronti di un territorio strutturalmente indefinibile, “felicità”, in cui, come in una sorta di elisii “laeta arva” virgiliani fuori del tempo e dello spazio, si mescolano e sovrappongono, fin dai suoi precordi etimologici, sensazioni diverse, tra desiderio e appagamento, tra inquietudine e benessere; e il secondo, “seduzione”, inteso come attrazione e tentazione irresistibile, giocato tra rischio e scommessa, a cui il poeta non sa e neppure vuole resistere. Non è un caso che uno degli elementi più presenti nei suoi versi, come è messo in evidenza da Fabia, sia il “mare”, tra reale e metaforico, vissuto con fascino e timore, con la sua ambigua natura, come per esempio appare in certi testi, dove a trionfare è l’abbandono alla sua forza femminile. Ed è per questo che è avvertito anche non senza un alto tasso di sofferenza, come la struttura stessa del titolo con i suoi significanti incrociati lascia intendere.
Questo, Fabia lo mette bene in evidenza con una ricchezza di esemplificazioni testuali a sostegno di un’argomentazione rigorosa e convincente, che sa “affondare nel cuore lo sguardo”. A riprova che, se il “cuore” conta davvero, sa “dittare” in maniera efficace.

Vincenzo Guarracino

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Ottobre

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