PREFAZIONE

L’introduzione della lirica Il camaleonte rosso è un repêchage di programma (La vedova) ne Il fuoco amico, nell’immaginario del poeta e delle sue elucubrazioni.
Il compito non è dei più semplici, sbrogliare questo fiume di letteratura che rimette in auge le emozioni, però ci si nuota bene, non si sente il bisogno di ciambelle o di scialuppe di salvataggio.
È ricambio di stabilità di una forza penetrante, in un ritorno di fiamma della «vedova…», il Piccirillo Lorenzo, cioè l’autore sente il bisogno di credere, che il suo cerchio vitale si debba compiere secondo predestinate sensazioni, appurandole tra le strutture del verso, compiacimenti e attestazioni di sicurezze arcane, ma scelte secondo i propri canoni virtuosi e soprattutto mentali.
Non è per tutti, ripetere un cerchio di assestamenti e conferme elicoidali, non è facile come si crede frantumare e ricompattare le proprie convinzioni, perseverare nella nobiltà d’animo, senza screziature o cadute di stile, non obbedire alla legge dell’acqua che passa sotto i ponti, mantenendo intatte le proprie intenzioni e tenere a bada la presunzione concettuale del proprio «io».
In questo momento voglio rompere un diamante del mio carattere, facendovi riflettere su questi ver­si… dalla lirica La sconfitta in fuga

                                                  […]
Quel giorno «mio padre» su tua spinta
raggiunse me e la mia colpa
Adesso ti riporto da zia
ti do uno scapaccione leggero dietro al collo
quando ci vede di lontano
Tu fai finta di piangere diamo la parvenza
a quella donna che ti sto insegnando
l’educazione…
È un ricordo atroce che mi blocca la voce
            [se ripenso a quelle rughe e al sudore]
Risento sul collo “tutto l’amore” di mio padre
                                  [Chiuso in quel ceffone]

Non ho commenti da fare… su questo metro, ci sono liriche che rimangono da esempio nelle raccolte poetiche, ho voluto estrapolare questa per la profondità umana, ma in tutto il lavoro del Piccirillo autore di questo libro / la fiamma / rimane sospesa nel fuoco con l’equilibrio che ci riporta nello specchio riflesso, non è stato scalfito, anzi è stato rinforzato il quorum d’intento, se mai si deve dare un giudizio, onesto e disinteressato.
In apertura di questo lavoro poetico, che per inerzia deve comunque specchiarsi nel «tema» del primo libro (La vedova e il fuoco amico), lo fa con disinvoltura a volte sospetta, quasi un copia e incolla, un vortice fatto con la penna e l’ausilio della memoria dell’autore, che devo dire è lucida e spietata.

Per l’appunto dobbiamo credere in un “… ritorno di fiamma” di certo non ci sono episodi di riflessioni schiuse e gettate, ma scatti autentici di preziosismi della memoria, che riaccendono tizzoni di carboni ancora ardenti, fiamma che invade altro spazio intellettuale del Piccirillo, da dove rinviene con maestria assoluta e non incappa nei segmenti alfabetici della separazione episodica, incentiva il seguito come fosse un transistor a fino all’esaurimento naturale di una vena alimentata da energia perpetua.
Un lifting culturale innovativo peraltro non nascosto, come dei perfezionamenti apportati al giusto posto, un restyling di una bella donna che ritorna in auge con prepotenza, e trionfa sul Tempo trascorso.
Il Piccirillo sostiene i grappoli di parentesi ammaliandoli, li trascina al suo input sulle soglie della redenzione imprevista, se ne ciba in dosi omeopatiche, vegliando sugli acini fastidiosi torchiati da etimologie a lui care, rimboccando le ampolle finché ribolle la torcitura originale delle espressioni letterarie.
Dicevamo del vortice, una «matrioska alfabetica», cominciando dalla base microscopica del soggetto dotto, in questo caso specifico “poetico”, che avanza di risacca sulla spinta di un ritorno di fiamma della vedova per quanto concerne l’ispirazione.
Ci sono liriche sdrucciolevoli e liriche limpide che fanno pensare, riflettere su comportamenti intuitivi e inerziali di cui l’umanità letteraria si ciba, ma che vengono spesso dimenticati, come i valori persuasivi intrinsechi della ottima letteratura.
Quando si ha fede nel proprio istinto passionale, nel comportamento utile e costruttivo del proprio contesto di vita si può anche difendere qualsiasi proposito, anche perché non si sceglie né dove si nasce, né dove si vive, ce ne accorgiamo quando la nostra di vita è ormai degente, all’ultimo stadio, «mai prima…».
L’autore in questo prosieguo di lavoro poetico dà lezioni di perseveranza, indicando la strada della stabilità concettuale, ci dice che non serve il «contenitore prezioso» perché ci possa venire più appetito nel vedere il cibo vita abbellita dai riflessi, come serve a niente un individuo, un contesto, un avvenimento o un luogo in cui tu non credi, da qui le critiche infantili alla «vedova…» i ravvedimenti, che poi sfociano volente o nolente nel «vecchio» fuoco amico… scrivendolo sul nuovo «ritorno di fiamma», il modo pluralistico di concepire l’onestà di pensarlo, ma soprattutto di scriverlo e darlo in «pasto» ai propri lettori.
Già nella precedente silloge, l’autore ha incominciato un discorso dando un saggio ottimale (non poteva essere altrimenti…), presupponendo che non sappiamo per certo, se ha definitivamente concluso con questo volume di nuove liriche il suo viaggio tra i suoi meandri infantili.

In entrambi i «casi», sono due figure che si sovrappongono nello specchio dei ricordi e dei rimpianti, diventando un unico emblema. Noi cercheremo di se­guire il filo logico della poesia del Piccirillo, cercando di interpretare anche il significato umano del contesto.
Per dirla tutta forse dei versi marsupiali, volendo toglierli dalle grinfie della propria memoria, terminando questa raccolta dandogli impronta di Diario poetico, con sapore diverso, a un suo nuovo «dolore», magari se possibile diversamente intimo e spirituale.
Ma prima ha voluto salvare la caratura di una creatura vivente, irreale, che ha imprigionato fino a oggi tutto il contesto poetico nella sua essenzialità, come quando viene ipoteticamente interpellato in una lirica dalla stessa “vedova” chiarisce il tutto, una chiarificazione che sa di robusto indiziario addio, forse non più di presunto arrivederci:

[…]
Ogni volta che ho parlato con la vedova
mi ha fatto sempre l’occhiolino
                                         [dicendomi]
Se saresti rimasto dentro i miei vestiti
non sarebbe successo
Sarebbe stato un «Tutto» diverso
Se gli credo…? sempre più spesso
                               «Mai più di adesso»

Non dimenticando, ce lo suggerisce spesso in questi versi l’autore, che il «credere» in qualcosa, in qualcuno, si esce dall’anticamera dell’improvvisazione semantica e si entra nella propria fede poetica, dell’«assoluto».

Enzo di Rienzo

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