PREFAZIONE

In questa nuova raccolta di versi di Giovanni Chiellino il tema dominante, che si irradia in una miriade di direzioni diverse, è quello della “voce”, strumento primordiale di linguaggio e ora, nella scrittura poetica, esercizio fonico nella sua accezione più alta, in quanto disposizione e struttura, suono e melodia. Non si tratta quindi di una semplice metafora o di un’attestazione genericamente lessicale, ma di una vera e propria anamnesi dell’arte della parola, a partire da ciò che sta prima, ossia di quella scienza della voce nella sua risonanza infinita di significati. Alcuni indizi, che suggeriscono la complessità del tema e le sue iridescenze, oltre che nel titolo, affiorano nella “dedica” di questo libro: “Ai miei genitori che in me vivono e parlano, / alla mia terra / che mi offrì la linfa dell’ombra e della luce, / alla prima parola da cui discende / la sillaba del mio dire”.
La prima domanda che sorge spontanea alla lettura di questo omaggio ai genitori, alla terra, alla parola, è se abbiano voce anche i morti, la terra, l’arte e la natura. La voce della terra e altre voci risponde proprio a questo: la voce può anche essere quella degli assenti, che travalica il vuoto per diventare ricordo vivo e quindi presenza; e può essere il tono, il timbro, il registro della recitazione, che l’attore plasma sui personaggi; può essere il fiato della natura, che recupera la sua socialità perduta nel “gracidante limo” di cui parlò Montale, nella “nuova palta” di un progresso disumano; oppure può essere la lingua senza voce della scrittura poetica, che cerca modulazioni ritmiche tali da riscattare il silenzio. La voce, quindi, è anche l’“alzati Lazzaro” della memoria, ovvero “il pensiero profondo / o l’arte dei colori e delle forme, / il suono magico della lira eolica / o il canto con la voce del poeta / sulla memoria durevole del tempo”, ma sono voci anche i sussurri, gli urli e le grida (vere e proprie parole‑tema di questo libro), i fiati di vento, il gorgoglio d’acque, i rombi di tuoni, il ribollio di onde.
Voce, però – come sa bene, non solo il poeta, ma anche il medico Giovanni Chiellino – è anche fisiologia o biologia o genetica, in quanto impronta del primo segno vocalico: il vagito già impregnato di musica prenatale, affettiva, modulata sul contatto intimo di corpi, sulla percezione uditiva della voce materna. Ed è specchio di emozioni improvvise, quali gioia, sorpresa, spavento, tutti dinamismi elementari ancora privi dell’elaborazione razionale del linguaggio, perché sono essenza, origine, ritmato pulsare del sangue, senza intenzione di parola. E il Verbo, la coscienza che erompe, libera dal controllo del pensiero.
Il libro di Giovanni Chiellino è come impastato da questa materia, complessa e articolata, che ci riporta all’apparente mutismo della scrittura. La voce della terra e altre voci si costruisce allora come sfida al torpore dei segni grafici, per esplorare le “radici del silenzio” e le loro possibilità di risonanze. Perciò diventa un vortice sintattico e ritmico, che avvolge il timbro di sillabe e allitterazioni, nel loro potenziale armonico. Perciò rinuncia alle divisioni strofiche, per non interrompere quel flusso di discorso eretto contro la dicotomia fra oralità e scrittura.
Da un punto di vista strutturale, Chiellino scandisce il suo discorso in una sorta di parallelismo tonale, composto da una prima parte fatta di voci, a cui ne corrisponde un’altra, di pari ampiezza, dedicata agli esecutori. I titoli sono già un appello al lettore, il quale dovrà disporsi anche a ricevere suoni, assistendo alle rappresentazioni della natura (La voce del vento: “Avvolgi, mia maestosa chioma, / le radici del silenzio / e strappale dal cuore dell’uomò, / bruciale alla fiamma / del discorso che avvicina e unisce, / apri i recinti della mente), della storia (La voce degli eroi: “Chi potrà mai sentire / l’urlo non uscito per le nostre gole, / ma possente quanto il tuono che gonfia / la tempesta”), della poesia (La voce del poeta: “Vorrei cantare i luoghi della terra, / la bianca solitudine dei monti / e le ghirlande di nuvole accigliate”), del teatro (La voce dell’attore: “Il grido che mi esce dalla gola / invade i remoti sentieri della mente, / ne darò un brandello ad ogni uomo”), della morte (Le parole della morte: “Viola come il labbro del ricordo / che non si apre / schiacciato dal piede del presente”) e della terra (La voce della terra: “Il mio urlo si leva fra le stelle / e si apre nelle mute distanze”). A questo punto del volume, racchiuso tra le voci del mondo e i suoi cantori, sta un testo che fa da cerniera e da obiettivo di ricerca, La bellezza, dove è lo sguardo che si offre alla luce della creazione, per vedere meglio come “corda di lira, ogni erba, / depone sulle labbra del vento / armonioso suono”. L’ultima parte, infine, traduce le potenziali emanazioni vocali in forme concrete, suddividendo generiche ugole in tre categorie, che meglio di altre esprimono la memoria collettiva del grido e del suono. La voce, così, finalmente pronunciata, diventa quella delle guerre e degli eroi (“[…] orbite vuote / urlano nella concavità del Nulla, / vitrei fiori ornano inabitate tombe”), quella del genio di pittori e scultori, vera e propria “biblioteca dove tutta è scritta / la sapienza che inonda l’universo”), quella dei poeti (“Giovani amanti del sonante verso / che nel pensiero s’arricchisce e nutre) e, infine, quella dei musicisti, dove si accordano tutti i registri della voce e “ogni gola è un mantice sonante”.
Da questa sommaria esemplificazione appare evidente che il libro di Giovanni Chiellino non raccoglie solo dei testi, ma racconta la storia della modulazione indefinibile di una parola, scandita, cesellata, plasmata in un’argilla di significati, scientifici o intuitivi. La voce, allora, diventa protagonista, in quanto suono del fare poetico, miracolo di un’eredità prenatale, sogno di una nuova epica, immagine evangelica, originaria e sacrale (“In principio era il Verbo, / e il Verbo era presso Dio, / e il Verbo era Dio”) e, come tale, sottratta a ogni tentativo di interpretazione, viene semplicemente codificata in canto, in altissimo suono dell’anima.

Giovanna Ioli

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