PREFAZIONE

Ciò che contraddistingue in modo singolare l’affermazione poetica di Gianna Sallustio è il marcato rinvio della pubblicazione del primo libro in versi, Quest’allotria, protratta fino agli anni maturi, quando la formazione del gusto e l’orientamento della ricerca teorica si sono in lei definiti con compiutezza. Infatti, per tutti gli anni della giovinezza, la Sallustio partecipa al dibattito poetico nazionale in modo prudenziale, cioè si espone poco e si limita ad apparire su riviste o in occasioni di collettive di autori antologizzati, lungo percorsi di passo e lungo ipotesi di ricerca dal carattere anche estemporaneo. La scelta della riflessione appartata è consona al carattere autonomo della Sallustio, nonché alla sua istintiva vocazione a non legarsi in consorterie poetiche, incline, come ci appare, a tracciare invece il proprio cammino come outsider. Concordemente a quanto avviene negli autori che trovano in sé la forza e l’abnegazione di rinviare fino agli anni della maturità il confronto con il pubblico, anche in Gianna Sallustio si è realizzata una sostanziale continuità e coerenza nell’opera poetica, che cresce in ampiezza e in profondità nell’ultimo ventennio, senza mai rinnegare le scelte fatte e le strade percorse, ma anzi impostando un sostanziale lavoro di colonizzazione del territorio poetico individuato già fino dai tempi dell’originario approdo. Nasce da questa premessa la scelta dell’autrice di collegare le poesie inedite di Labirinti con quelle pubblicate nei due libri precedenti, il già citato Quest’allotria, del 1986, e il successivo Come alga, che esce nel 1992. Nella premessa dell’autrice, leggiamo che l’intento di richiamare i testi del passato nasce dal desiderio di offrire un compendio della ricerca sulla parola scritta come testimonianza lirica e storico-civica. Poche parole, dunque, ma pienamente bastevoli a individuare le due coordinate di lettura dell’intero universo poetico della Sallustio, che è una poetessa sostanzialmente lirica, ma con una forte impronta di testimonianza partecipativa ai valori di civiltà e di impegno sociale. Liricità e storia rappresentano un binomio non facile da coniugare insieme, e pertanto configurano una scelta di campo che non appare molto frequentata nella modernità, ma che certamente è illuminata da maestri di ineguagliabile valentia, primo fra tutti potremmo pensare a Costantino Kavafis, verso il quale la Sallustio sviluppa un’empatia poetica molto più radicata di quanto non appaia a prima vista. Infatti, ritroviamo in lei la stessa vibrante sensualità che pone l’eros come motore centrale delle emozioni umane, l’identica percezione estatica e quasi panica nei confronti della natura; un’esercitata memoria letteraria per le forme del mito classico e per i personaggi della mitologia greca e romana; una vigile coscienza nei confronti della storia d’attualità, però con una maggiore vocazione a darcene diretta testimonianza, con testi che si artigliano immediatamente ai fatti della cronaca – si pensi ad esempio a poesie come 11 settembre 2001 – invece di elaborare delle ricostruzioni simboliche e ideologiche. I libri di poesia di Gianna Sallustio non passano inosservati alla critica, infatti Giorgio Bárberi Squarotti ha potuto scrivere “[…] in Quest’allotria la poetessa raggiunge un livello altissimo e si pone come coscienza esemplare di una generazione a mezzo tra la delusione e lo slancio, la ricerca e la disperazione. Nella seconda silloge intitolata Come alga la poesia della Sallustio raggiunge una limpida e quieta perfezione nella quale s’incontrano lo slancio della vita e la saggezza delle esperienze dei sentimenti. Le poesie lyonesi, in particolare, sono bellissime”. Ancora più decisiva e profonda appare la considerazione critica elaborata da Francesco D’Episcopo: “Un viaggio imprevisto resta il destino di questa poesia, affidato alle stagioni di una donna, che con la parola si misura e si supera. Nell’eterno diario d’amore e rabbia, di instancabile stanchezza della Sallustio è possibile intravedere i segni struggenti dei nostri tempi, che la ciclicità femminile registra nelle interruzioni, nelle riprese di temi e toni solo apparentemente uguali”. D’Episcopo indica in poche parole lo slancio arcobalenico della poetessa che progetta un ponte fantastico fra il suo “diario d’amore e rabbia” e i “segni struggenti dei nostri tempi”: proprio questa bipolarità, felicemente raccolta dallo studioso salernitano, è il motore dialettico di tutto il discorso della poetessa, un discorso organizzato in forma di viaggio, di avventura ulissiaca quasi improntata all’azzardo di un colpo di mano sacrilego, cioè di un’esperienza oltre i confini dell’esperienza, ma anche rappresentato con la tecnica raffinata della parola poetica, che è suadente, iterativa, ricorrente e poliarmonica, come il canone inverso tipico del canto liturgico, fatto di riprese e abbandoni sullo stesso motivo.
Il tema dell’amore è centrale nella poetica della Sallustio, che è sostanzialmente neoellenica nella rappresentazione di una sensualità solare e vibrante, resa ancora più vivace dall’alternanza di grandi gioie e di profonde pene, come si costuma organizzare nei canti d’amore, sia aulici sia popolari, da tempo immemorabile. Ma accanto al tema erotico coesistono molti altri motivi ispiratori che rappresentano l’alimento del canto principale, come nel caminetto il tappeto di brace rovente rappresenta il sicuro innesto alla fiamma per ogni ceppo che viene aggiunto. Fondamentale, come si è già avuto modo di dire, è l’idea del viaggio, che è rappresentato in forma di un percorso odissiaco tra le sponde del mare Mediterraneo, con predilezione per la sponda europea, cioè per le terre iberiche, della Magna Grecia, della Sicilia, delle isole greche, ma non mancano le incursioni sulle sponde mediorientali della Turchia e su quelle africane, principalmente quelle dell’Egitto. L’idea del viaggio come esplorazione e scoperta si dilata anche verso sbocchi che non fanno riferimento all’antichità classica, come fossero Parigi o la già citata Lione o addirittura le località d’oltreoceano: proprio in questi casi, allora, nascono le maggiori occasioni di testimonianza di storia contemporanea, che ci permettono di leggere il nostro tempo in funzione e in coniugazione dello spazio che esploriamo. Il viaggio è rappresentato sempre nella doppia valenza di scoperta del nuovo e di evocazione nostalgica dell’antica radice di appartenenza: anche in ciò la Sallustio ama sottolineare l’ascendenza con la classicità e marcare l’apparentamento con l’eroe omerico per eccellenza, il Laerziade, così avventuroso e nel contempo così inguaribilmente nostalgico e sofferente per la patria lontana. La patria, si sa, sono anche gli affetti, ed ecco allora che la condizione di vedovanza può divenire la pena di una nostalgia irredimibile, causata dall’assenza dello sposo per sempre perduto al mondo dei vivi. Ma il viaggio che la poetessa compie non si limita ad essere un’escursione fisica nelle terre del mondo, perché è anche percorso di incontri e di conoscenze nel mondo della cultura, dello spettacolo e in particolare modo della poesia. Ecco allora che le pagine si arricchiscono di evocazioni di conoscenze reali e di relazioni amicali con poeti che non ci sono più ma che hanno rafforzato nel ricordo la loro presenza, come accade nei riguardi di Dario Bellezza e Nazim Hikmet ovvero di grandi corrispondenti ideali e reali, come Enis Batur ovvero di grandi anime della poesia e della letteratura che hanno segnato in modo magistrale il loro tempo, come Eugenio Montale o Primo Levi; ma non mancano i “viaggi nella memoria”, di rievocazione, dedicati alle voci celebri con cui ha parlato (o ha cantato) il secolo in cui vive la poetessa, cioè le voci di Mastroianni o di Aznavour, tanto per fare due esempi. Alla fine si compone l’organicità del mosaico, cioè la raffigurazione del collettivo unitario delle singole tessere incastonate e collegate le une con le altre. Ma la poetessa sembra metterci sull’avviso che tale rappresentazione è comunque labirintica, cioè nasconde in sé il sortilegio di gioco enigmatico e rischioso, nel quale si può perdere con molta facilità la sicurezza dell’orientamento, come è adombrato in modo magistrale nella poesia eponima della raccolta, Labirinti, ancora una volta sviluppata in chiave erotica, all’insegna del magico binomio “dell’amore e rabbia” su cui già discettò D’Episcopo, breviario e palinsesto organico dell’intera poetica della Sallustio.
La poesia di Gianna Sallustio raggiunge il colmo espressivo quando si rende rappresentazione dell’animosità armonica e furiosa del mondo per tramite del racconto quasi confessionale e confidenziale dei percorsi d’empatia e di trasporto della poetessa verso le persone fisiche – e non solo tali, ma anche verso gli ideali astratti della cultura – che suscitano un fremito da rabdomante, e che contribuiscono a scontornare e a evidenziare la trappola enigmatica del labirinto in cui tutti gli esseri viventi sono temporaneamente catturati e rinchiusi, per tutto il tempo della loro vita. La forza di questa poesia risiede nel controllo incantato tra l’ansia del dubbio che tormenta e la dolcezza dell’abbandono sensuale che ogni tormento molcisce, lasciando intatta l’aura di nostalgia irrisolvibile in cui la scena si svolge, e che allude al senso di ritrovamento e di perdita e che, quindi, si propone come metafora di morte e di resurrezione.

Sandro Gros-Pietro

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