Introduzione
Per la prima volta in questo volume di poesie riedite ho sostituito “Nota dell’autrice” con “Introduzione” e ho fatto il critico di me stessa, con obiettività e distacco, come se i versi non fossero i miei. E proprio perché si tratta di una riedizione e non di una ristampa, ho potuto apporre qualche lieve modifica e scartare alcune poesie.
Cinque libri in uno potrebbe essere il sottotitolo del volume, che include Ascolto interiore, Ho cucito parole, Tre donne, Di tanto in tanto e I tre nomi della vita, pubblicati tra il 1998 e il 2014.
Da tempo ritenevo necessaria la riedizione in quanto le prime tre raccolte non erano più acquistabili e attualmente qualche singola copia delle ultime due è in vendita solo online.
Prima di passare alla disamina dei singoli libri, desidero rivolgere il mio pensiero grato alla poetessa Ketty Daneo (1908-1998) che mi spronò a scrivere poesie. Era il 1994. Per non deluderla, scrissi le mie prime tre, chiamiamole, poesie, tuttora inedite. In due oltre la vita ricevette una segnalazione. In seguito iniziai a partecipare ai concorsi nazionali con poesie in lingua e in dialetto (poche). I risultati furono sin da subito molto positivi e incoraggianti. Soltanto nella primavera del 1998 decisi che era giunto il momento di pubblicare, dopo quattro anni di gavetta durante i quali avevo girato in lungo e in largo l’Italia per andare alle premiazioni. Tra le varie case editrici scelsi la Bastogi di Foggia, di cui avevo sentito parlare molto bene.
Ascolto interiore uscì a settembre e fu presentato a Trieste il 14 dicembre, nel prestigioso Salone Consiliare della RAS Assicurazioni, dal prefatore Francesco D’Episcopo, docente di letteratura italiana all’Università Federico II di Napoli. Avevo conosciuto il professore a una premiazione (e rivisto in altre). Dalla sua lunga prefazione, intitolata La verità della vita, riporto: “[…] La prima silloge poetica di Franca Olivo Fusco nasce dalla profonda persuasione della inalienabilità del vivere e dello scrivere versi insieme: non è insomma in nessun caso possibile scindere ciò che si vive da ciò che si scrive […]. Franca Olivo Fusco non grida né sussurra ma racconta, con la piana andatura di una parola confidente ed amica, chiamata a protrarre l’eco delle proprie emozioni in quel continente del cuore in cui tutti potranno riconoscersi con maggiore serenità e verità”.
La presentazione di Ascolto interiore è stata in assoluto per me la più bella. Ne conservo intatto il ricordo, anche grazie a un video e ad alcune fotografie che oggi testimoniano lo splendore di quel Salone (l’edificio sarà ristrutturato e la sede della RAS diventerà un albergo di lusso).
Alla presentazione intervennero quasi cento persone, amici e conoscenti che da tempo erano soliti assistere ai miei recital. Per migliorare la mia dizione, per due anni consecutivi avevo frequentato il corso di lettura interpretativa tenuto da un attore della sede RAI di Trieste.
Dopo l’introduzione del prefatore, lessi le poesie che avevo scelto. Più che emozionata ero felice. Emozionata lo sono ancora oggi quando per la prima volta prendo in mano un mio libro, anche se sono passati venticinque anni dall’esordio e di libri ne ho scritti diciotto.
A questa presentazione ne seguirono altre cinque. Il libro fu accolto con successo e ricevette molte recensioni. Fra le prime mi giunse quella del poeta Paolo Ruffilli: “Cara Franca Olivo Fusco, ho letto il suo Ascolto interiore. Il libro mi è piaciuto per la vena autentica e per la misura controllata. Ci sono alcune poesie che mi hanno colpito in particolare, come […]. Da una sua poesia ho appreso che è morta Ketty Daneo, carissima amica e non ne avevo saputo nulla. Quando è accaduto? Me ne dica qualcosa. Grazie”. Naturalmente gli risposi. La Daneo aveva pubblicato con le Edizioni del Leone, di cui Ruffilli era direttore editoriale, nel 1989 il dramma Magia in una sagra di nozze d’estate. Avevo conosciuto Ruffilli a Udine, il 31 ottobre 1998, a un convegno cui ero stata invitata, sul tema Poesia alle soglie del terzo millennio, che si teneva a Palazzo Belgrado. Ruffilli vi partecipò con un intervento su L’estetica di fine millennio e il linguaggio del computer. Ci incontreremo successivamente a Trieste il 19 gennaio 2001, quando insieme presenteremo alla libreria Minerva il suo magnifico poemetto La gioia e il lutto, edito da Marsilio.
Ritorno sull’argomento recensioni. Quella apparsa su Il Piccolo di Trieste fu firmata dalla giornalista Grazia Palmisano: “[…] Quattro sezioni dipanano un discorso poetico dalla nitida configurazione, che sa tradurre un raggiunto equilibrio interiore, per farsi serenità di porgere a cui è estranea ogni finzione, ma anche ogni amara, angosciosa rassegnazione […]”.
A sorpresa mi giunse la recensione dello scrittore e giornalista Luciano Nardelli, apparsa su Il Messaggero Veneto, edizione di Gorizia, l’11 aprile 1999: “Con questo Ascolto interiore, prima opera edita, l’autrice pone il lettore nella condizione di interrogarsi sul vero valore della vita, che non è quello venale. Un invito, espresso in versi incisivi, a considerare la poesia non un gioco di rime ma come un colloquio capace di costruire un futuro di speranza, perché è anche attraverso la poesia, comunicazione degli uni per gli altri, che l’uomo può riscoprire se stesso […]”.
Molta pubblicità mi derivò anche dalle recensioni pubblicate su diverse riviste letterarie.
Venni anche intervistata da un giornalista di un’emittente televisiva triestina (fu la prima e l’ultima volta), che così esordì: “Quando lei era giovane…”. Una gaffe, niente di grave (non saremmo finiti su Blob) ma proprio questa gaffe mi fece pensare che l’interesse per il mio libro derivava dal fatto che l’autrice era un’esordiente di cinquantadue anni.
Il libro ebbe molta visibilità grazie alla cortesia del responsabile della libreria Cappelli, che per un anno e mezzo lo tenne esposto nella vetrina esterna sul centralissimo Corso Italia. Confesso che parecchie volte andavo a vederlo e ricordavo il verso di Alda Merini “e vedevo i miei libri alla Rizzoli”.
Tra le mie conoscenze c’era chi pensava che mi sarei fermata dopo la prima pubblicazione. Invece continuai a scrivere poesie (e soprattutto a leggere quelle di altri autori).
Chiusa questa lunga parentesi, passo a commentare il libro (critiche comprese). Il primo appunto che muovo a me stessa è l’eccessiva lunghezza delle poesie, a partire dalla seconda sezione. Evidentemente, dopo decenni di silenzi, mi sentivo come un fiume in piena. La poesia Nei giardini del cielo ha ben ventisette versi e A mia figlia venticinque. Nella terza sezione sulle tematiche sociali, due poesie, Morte solitaria e Vecchi senza domani hanno ciascuna ventisette versi. Nell’ultima sezione, la poesia La meta, metafora della vita intesa come un viaggio, ha trentun versi, brevi. L’albero amico ne ha ventinove.
Il secondo appunto riguarda le poesie troppo intimiste, confessionali. Evidentemente sentivo il bisogno di rivelare il mio profondo io. Lo si intuisce già dal titolo del libro e da quello delle prime due sezioni. A mia discolpa però posso dire che l’io, benché molto presente, non è protagonista ma solo un pretesto per parlare di fede e di amore verso il prossimo in senso lato. L’io è invece totalmente assente nella sezione Gli altri, intorno a me, in cui i protagonisti sono persone in difficoltà: gli anziani soli, i malati, gli ospiti delle case di riposo, i disabili, gli emarginati.
Per quanto riguarda l’infanzia, tratto con la dovuta delicatezza due tematiche che purtroppo anche al giorno d’oggi sono di attualità: l’abbandono di un neonato (sui gradini di una chiesa, fatto veramente accaduto) e la pedofilia.
Un breve commento sullo stile, che non è omogeneo, anche perché le poesie sono state scritte nell’arco di quattro anni e inserite non seguendo l’ordine cronologico di composizione ma il criterio di affinità del contenuto. In tutte le poesie il verso è libero, la rima è assente.
Sebbene io sia conscia che Ascolto interiore è il libro di un’esordiente, con tutti i difetti che ne derivano, gli sono affezionata in quanto è stato molto importante per me perdere la timidezza e acquisire il coraggio di rendere pubbliche le emozioni del presente e di condividere con i lettori momenti del mio vissuto.
Chiudo il mio commento con una nota positiva, che riguarda l’ultima poesia, Precarietà, l’unica in cui si può riconoscere quello che anni dopo sarà “il mio stile”: “Sento che niente / di questo mondo / è mio. Dopo di me / passerà ad altri. / Diritto di godimento, / non possesso. Amo le cose / di un amore / che conserva il raziocinio, / come se già / mi accingessi a perderle”.
A proposito di questi versi, nella già citata recensione di Grazia Palmisano si legge: “[…] c’è tutta la pacata consapevolezza di un’accettazione che nasce da una fervida, radicata fede. In un simile sentire s’insinua tuttavia a volte il tarlo della ragione”.
Passo alla raccolta successiva. Un secondo premio assegnato ad Ascolto interiore dalla giuria del concorso nazionale Città di Bitetto (Bari) mi convinse che dovevo continuare a scrivere poesie e a pubblicare. A ventidue mesi di distanza da Ascolto interiore, nel luglio 2000 la Bastogi Editrice pubblicò Ho cucito parole, silloge divisa in tre sezioni: Pensieri, Emozioni, Pensieri d’amore. Il titolo, inusuale, mi fu suggerito da due versi della poetessa Emily Dickinson: “Il pensiero appartiene a chi lo esprime / e poi a chi lo indossa”.
La prefazione fu a cura del giornalista e scrittore triestino Luciano Nardelli, al quale mi ero rivolta di persona. Ne riporto tre brevi passaggi: “[…] L’autrice si ripresenta con semplicità ma anche con il tocco smaliziato di chi con le parole sa tessere anche un sentimento […]. Franca Olivo Fusco fruga nell’intimo, ricercando i significati più profondi che permeano l’esistenza […]. Lo fa con uno stile incisivo, accattivante, capace di avvincere dal primo all’ultimo verso […]”.
Il libro fu presentato dal prefatore e da me il 28 settembre 2000, nella Sala Convegni del Centro Culturale Millo, presso il Comune di Muggia, una cittadina a pochi chilometri da Trieste. L’accoglienza da parte del folto pubblico presente fu molto calorosa, anche perché ero di casa a Muggia. Più volte ero stata invitata da un’Associazione culturale a tenere recital di poesie ancor prima che iniziassi a pubblicare.
Ho cucito parole, come i libri successivi, sarà presentato anche in altre sedi e riceverà numerose recensioni. Molto gradito mi giunse il commento del critico torinese, nonché poeta, Giorgio Bárberi Squarotti (1929-2017), al quale per la prima volta avevo inviato un mio libro: “Gentile signora, la sua poesia è profondamente lirica fra riflessione, descrizione, esperienza sapiente di vita. I pensieri d’amore in particolare mi hanno colpito per intensità e serena lucidità del cuore”. Bárberi Squarotti continuerà, finché sarà in vita, a recensire i miei successivi libri, sia di poesia sia di saggistica.
A proposito dei pensieri d’amore, Stefano Valentini, Direttore de La Nuova Tribuna Letteraria di Padova, scriverà: “L’autrice è splendidamente originale anche nell’idea che cattura e fissa sulla carta, creando piccole gemme di intuizione e intelligenza lirica; ed è notevole quando parla d’amore, nitida e vivida come a pochi è dato […]”.
A sorpresa mi giunse la recensione apparsa su Il Mattino di Napoli l’11 febbraio 2001 (avevo mandato una copia del libro alla Redazione): “[…] Parole come fili a tessere momenti di vita quotidiana. Parole per dire pensieri ed emozioni che scandiscono un’esistenza attenta al trascolorare della natura e delle sue stagioni, ma anche al dolore del mondo che non può non sfiorare chi abbia la sensibilità di coglierlo […]”.
Passo a commentare il libro. Nonostante il breve lasso di tempo trascorso dalla pubblicazione di Ascolto interiore, il lettore potrà notare come Ho cucito parole sia diverso per stile e per tematiche più allargate. C’è minore introspezione e una maggiore attenzione per ciò che mi circonda.
All’inizio della prima sezione, Pensieri, figurano alcune poesie sulla vita, che non offre certezze. Viviamo alla giornata nel nostro piccolo mondo (lo definisco in una poesia “palcoscenico di periferia”) senza sapere per quanto tempo e nell’incertezza di ciò che il destino ha in serbo per noi.
Sempre in questa sezione, dalla poesia Rose di maggio si può trarre la considerazione che a noi mortali è concesso vivere una sola vita, mentre la natura si rigenera. Le rose torneranno a fiorire a maggio, come pure il glicine; primule e viole spunteranno di nuovo tra l’erba.
Nella medesima sezione affronto tematiche che riguardano gran parte dell’umanità, quelle che chiamo le “umane tragedie”: la guerra, la fame nel mondo, i disastri ambientali dovuti all’incuria dell’uomo, le catastrofi naturali.
Nella seconda sezione, Emozioni, è molto presente la natura: il mare, il vento, i fiori, gli uccelli, i pesci, gli alberi ma è una natura che spesso mostra sofferenza, di leopardiana e anche (benché in misura minore) di leviana memoria. Gli alberi muoiono di sete a Cala Bassa (Ibiza) ma anche quelli dietro a casa mia, al confine con il bosco di Villa Giulia, agonizzano: “[…] Alberi sradicati / e, come tanti cadaveri, / ammassati. Sui rami, / foglie verdi / nate da pochi dì […]”. Al loro posto saranno edificate case.
Ho voluto inserire in questa sezione anche una poesia in cui, attraverso un’immagine onirica, tratto il tema della pedofilia.
Per la prima volta propongo due poesie che traggono origine da un flash, un’immagine rubata per pochi secondi dal finestrino di un treno e da quello di un autobus. Flash stampati nella mente e trasformati in versi. La prima poesia vede protagonisti dei girasoli d’autunno, morti in piedi, visti nella campagna aretina; la seconda, le case di periferia, in via Flavia a Trieste. Quante volte ero passata di là in autobus… eppure non avevo mai fatto caso a ciò che i balconi offrivano alla vista. Ne uscì una poesia in cui elencavo sei immagini da me colte. Senza volerlo, per la prima volta avevo usato la figura retorica dell’accumulo.
L’ultima sezione, Pensieri d’amore, comprende le poesie che riguardano il mio Renato.
In questo libro ho mantenuto l’impegno di rimanere fedele al principio della verità in poesia. Non invento nulla ma guardo, osservo dal vivo, tanto è vero che alcune poesie sono seguite dalla data e dall’indicazione della località.
Ho continuato a usare il verso libero, svincolato da rima e metrica. Nessun calcolo sui metri di stoffa necessari per cucire una poesia. In proposito, il numero dei versi è diminuito di molto. Sono passata dai trentuno della poesia La meta nel libro precedente ai ventuno delle cinque poesie più lunghe di questa raccolta. Soprattutto è diminuito il numero delle sillabe nei versi. Emblematico è il caso della poesia Ritrovarsi (un mio ritorno a Trieste in treno) in cui i versi brevissimi che si susseguono simulano la lentezza del treno che sta per finire la sua corsa.
Le poesie più brevi, Papà e Vittime di pace, hanno rispettivamente sei e otto versi.
Per la prima volta ho scritto due poesie in terzine: Anche gli alberi soffrono ed Estumulazione.
In conclusione, il filo conduttore della raccolta è l’amore, in senso lato. Pertanto non poteva mancare quello per la poesia, cui ho dedicato questi versi: “Non si vive / di solo pane. / Non si vive / solo di poesia / ma vorrei / che ogni giorno / si consumasse / la poesia / come il pane”.
Ho cucito parole è stato il primo dei miei libri a vincere il primo premio ai concorsi nazionali Rosario Piccolo a Patti (Messina) e Giuseppe Ungaretti a Napoli.
Agli inizi del mese di settembre 2002 la Bastogi Editrice pubblicò la mia terza raccolta Tre donne. Per la prefazione mi ero rivolta a Paolo Ruffilli. Riporto tre passaggi dal suo giudizio critico: “Franca Olivo Fusco sente la poesia come tramite comunicativo, come ponte e flusso di parole, come racconto di sé e delle proprie radici […]. Una pronuncia non squillante e, meno che mai, presuntuosa, ma discreta e misurata, autoironica […]. Le sue Tre donne è un diario in brani, appunti, stralci e annotazioni, ritmato da fisse scansioni metriche, pause e silenzi. È un libro della passione matura e dell’amore adulto, un libro che trova la sua consistenza nella più naturale libertà e fantasia”.
Tre donne fu presentato da me per la prima volta il 30 settembre 2002 nella Sala Conferenze del Club Eurostar, presso la stazione ferroviaria di Trieste.
Delle successive presentazioni ricordo in particolare quella da me tenuta a Pordenone il 20 febbraio 2004, nell’ambito della rassegna Caffè letterari. Ero stata invitata dalla dottoressa Filetti, Presidente del Circolo della Cultura e delle Arti.
Passo a commentare Tre donne, iniziando proprio dal titolo. Non si tratta di tre distinte figure femminili bensì di tre personalità diverse racchiuse in una sola persona: quella sono io. Pertanto le tre sezioni hanno per titolo gli aggettivi: Sensibile, Provocatoria, Innamorata.
Mi sarebbe piaciuto mettere in copertina il quadro Tre donne di Pablo Picasso del 1908 ma l’editore mi disse che non era possibile in quanto ancora tutelato dal diritto d’autore. Scelsi quindi il quadro Alla finestra (1910) del pittore veneto Federico Zandomeneghi, che rappresenta una donna intenta a leggere un libro. Sotto questo aspetto ben mi rappresenta nel mio ruolo, principale, di lettrice.
Prendo in esame la prima sezione, che si apre con la poesia Il valzer delle foglie, dal significato metaforico. In un salotto (la natura), un solo cavaliere (il vento) fa danzare tante belle dame, “vestite di verde a sfumature gialle”, (le foglie), sino al loro sfinimento, per passare poi ad altre dame.
Un altro elemento della natura è presente nella poesia Mare ma le parole del mio monologo sembrano rivolte a un uomo: “Ti sfioro, / sento un brivido. / Sei freddo! / Mi seduci / ma non riesco ad amarti […]”.
Sempre nella sezione Sensibile trovano spazio altre immancabili tematiche: gli affetti familiari (i miei genitori, che incontro solo in sogno), i miei figli (si sa che le madri sono sempre apprensive), la vita-morte. C’è un filo invisibile che ci tiene legati alla vita, ma che all’improvviso può spezzarsi. Talvolta accade che qualcuno lo spezzi da sé (per la prima volta la tematica del suicidio).
Passo alla seconda sezione, Provocatoria, alla quale oggi anteporrei l’avverbio ironicamente. Prima che questo libro venisse pubblicato, i miei lettori (e il pubblico delle mie conferenze) non mi conoscevano sotto questo aspetto, semplicemente perché non mi apparteneva. Successivamente il mio carattere si sarebbe in parte modificato, dopo essere venuta in contatto con l’ambiente letterario cittadino: librai, giornalisti, “colleghe di penna”, direttori di centri letterari. Sfogherò la mia amarezza per le ingiustizie e cattiverie subite nel libro Più fiele che miele, Bastogi Editrice del 2009.
Ci tengo a precisare che in questo libro le provocazioni riguardanti la mia persona sono soltanto tre. Nella poesia Senza titolo, scrivo: “Spesso mi sento / in minoranza / perché non sono / triestina / d’adozione. / Così cerco un luogo / che mi dia / la cittadinanza / onoraria”.
La seconda poesia provocatoria è intitolata In due sul marciapiede, la terza Requiem per una libreria.
Le altre provocazioni fanno riferimento alla poesia confessionale (che ha pochi lettori), al destino di un libro di poesie (che spesso finisce, con tanto di dedica, sulle bancarelle dei mercatini), all’amore come viene vissuto ai giorni nostri.
Ben più pesanti le provocazioni inerenti le “umane tragedie”, soprattutto gli orrori della guerra: i morti, le case distrutte, i campi minati, le donne stuprate “che partoriranno i figli dell’odio”. Noi fortunati, che non abbiamo la guerra in casa.
Provocatoria è anche la poesia Eutanasia, di cui riassumo il significato in soli sei versi, senza esprimere il mio personale pensiero, in quanto so per esperienza che potrei cambiare opinione sull’argomento.
L’ultima sezione, Innamorata, racchiude le poesie d’amore per Renato, il mio tutto. A unirci è anche la comune passione per la poesia, testimoniata nei versi: “Il mio compagno / ama la poesia / e ama me. / È il nostro / un ménage a tre” (in Due passioni).
Un breve commento sui versi. È decisamente diminuito il loro numero in ogni poesia. Anche i singoli versi hanno un minor numero di sillabe rispetto al passato. Un esempio nella poesia Figli dell’odio: “Da donne / stuprate / sono nati / figli / di uno stesso / padre […]”.
Il verso è libero e continua l’assenza della rima. Ho scritto due poesie in quartine, una in terzine e, con mia grande sorpresa, sono riuscita a scrivere un acrostico, con le iniziali del nome Renato. I versi sono scaturiti da una forte emozione visiva. Mi trovavo sul ponte del fiordo di Furore, in attesa di un pullman che mi portasse ad Amalfi.
Respirano il salmastro
Ebbri di sole i gelsomini
Nel giardino sospeso
A picco sul mare.
Traspare il verdazzurro
Oltre il grigliato.
Tre donne è stato il libro più premiato (sette primi premi).
Il mio quarto libro Di tanto in tanto venne pubblicato nel settembre 2005 dalle Edizioni del Leone, Spinea (Venezia). Mi ero rivolta a Paolo Ruffilli, direttore editoriale della casa editrice, in quanto non ero riuscita a mettermi in contatto con il dottor Manuali della Bastogi.
La breve nota critica al libro fu scritta da Ruffilli. Ne riporto la parte conclusiva: “I personali itinerari e labirinti mentali sono pieni, insieme, dei ragguagli minimi di una realtà quotidiana di contatti e di rapporti e dei riferimenti privilegiati agli autori amati e ai loro testi. È in questo intreccio di dati della vita e della letteratura che si configura l’aspetto più originale della poesia della piena maturità di Franca Olivo Fusco”.
Gli autori amati sono quelli di cui riporto alcuni versi, in quanto attinenti ai miei, prima della poesia o dopo.
Il titolo, inusuale, è un verso dell’omonima poesia: “[…] Di tanto in tanto / scrivo, / quando ho / qualcosa da dire”. Questi versi sono seguiti da quelli della poetessa Patrizia Cavalli che, come se il nostro fosse un dialogo tra amiche, ribatte: “C’è sempre una parola / una paroletta da dire / magari per dire / che non c’è niente da dire”.
Per quanto concerne la copertina del libro, non riuscendo a trovare un quadro appropriato al titolo, decisi di riportare la poesia Di tanto in tanto scritta a mano da me.
La prima presentazione ebbe luogo la mattina del 12 novembre nell’Aula magna del Liceo classico Dante Alighieri a Trieste, alla presenza della preside, di alcuni professori, degli studenti e di persone che erano state invitate. Poiché giustamente nelle scuole la vendita dei libri è proibita, pensai che per far conoscere le mie poesie la cosa migliore era leggerle tutte, alcune magari accompagnate da un commento-lampo. Così il libro da scritto diventò il libro parlato, con grande soddisfazione degli studenti. Chi mi conosce sa quanta importanza io attribuisca all’oralità della poesia.
Chiusa questa parentesi, passo al contenuto del libro, anzi del libriccino, così lo definisco: piccole le dimensioni, poche le poesie. Però gli sono molto affezionata perché lo considero il libro della svolta, che apre la strada a quello che successivamente sarà il mio stile definitivo.
Di tanto in tanto non è diviso in sezioni ma è un continuum di emozioni e di considerazioni sulle quali il lettore potrà riflettere.
Passo alle tematiche del libro, alcune già trattate nelle raccolte precedenti, altre per la prima volta. Ma ciò che risulta più evidente è il cambiamento avvenuto in me: una maggiore maturità come persona e come autrice, il mostrarmi spigliata, coraggiosa nell’affrontare argomenti particolari, nell’esprimere un mio pensiero, come nel caso in cui ai versi della poetessa Marianne Moore “La poesia. Neanche a me piace / ci sono cose più importanti / di tutte queste inezie”, azzardo ribattere con questi versi: “Non tutti / amano / la poesia / forse perché / non amano / emozioni / di seconda mano”. La poesia si chiude in tono polemico: “Eppure vedo / tante persone / ai mercatini / scegliere / abiti usati”.
Ho avuto anche il coraggio di scrivere una poesia alquanto “carnale”, scherzando sulla mia figura prosperosa, intitolata La grande abbuffata (titolo preso a prestito dal film di Marco Ferreri del 1973). E ho scritto persino la poesia Erotica. A ispirarmi è stato il poeta cinese Tao Yuan-ming, che ha scritto in una sua poesia: “Oh, fossi il legno prezioso di un albero / trasformato in liuto! / Poserei sulle tue ginocchia”. Questi i miei versi: “Oh, fossi l’ancia / del tuo clarinetto! / Appoggiata al tuo labbro, / bagnata dalla tua saliva, / vibrerei tutta / al passaggio del tuo fiato”. Aggiungo che mio marito è stato clarinettista al Teatro Verdi di Trieste.
La poesia Eros e amore è nata invece come reazione a un’affermazione senza senso, che mi era stata riferita: “La Fusco è brava, peccato che sia in sovrappeso”, termine che comunque è presente nelle mie poesie. A volte ci ho scherzato sopra, in una poesia invece, trattando il tema della fame nel mondo, l’ho definito “il mio solo rimorso”.
Per la prima volta tratto il tema della tortura, nella poesia Il fine non giustifica i mezzi, in disaccordo con il Machiavelli. Oggi quando la rileggo mi vengono i brividi perché a distanza di anni l’associo all’orribile fine di Giulio Regeni. Proprio in questa poesia, per la prima volta, mi era uscita spontanea la rima: “Torturare / per umiliare. / Torturare / per far parlare / senza ammazzare / sino ad ammazzare”.
Concludo con un commento sulla brevità delle poesie presenti nel libro, la cui lunghezza media è di dieci versi. La poesia più lunga ne ha sedici ed è intitolata La guerra, molto originale in cui, pur avendo il testo un senso compiuto, ogni verso è il titolo di un film. Le più brevi sono due poesie flash, genere già presente in Ho cucito parole, ognuna di soli quattro versi, intitolate Dal treno e Notte a Furore. Nella quasi totalità i versi hanno pochissime sillabe.
Di tanto in tanto ha vinto il primo premio ai concorsi nazionali Pablo Neruda a Pinerolo (Torino) e Messana a Messina nel 2006 e il Fauno d’oro a Contursi Terme (Salerno) nel 2007.
La mia quinta e ultima raccolta I tre nomi della vita uscì nel luglio 2014, a distanza di quasi nove anni dalla precedente. Il lettore si chiederà il perché di questo lungo silenzio. Il motivo è uno solo: avevo preso la decisione di dedicarmi alla saggistica inerente comunque alla poesia. I numerosissimi libri da me letti, lo studio approfondito, le ricerche minuziose, troveranno concretezza nei quattro saggi editi tra il 2007 e il 2013.
A pubblicare I tre nomi della vita fu la Biblioteca dei Leoni, Castelfranco Veneto (Treviso). Era successo che Paolo Ruffilli, direttore editoriale della casa editrice, agli inizi di marzo mi aveva inviato una lettera in cui mi invitava a far parte di una collana di poesia che aveva già in catalogo i poeti Kavafis e Mandel’stam. Poiché avevo appena ultimato questa mia raccolta, mandai il file a Ruffilli. Il 29 marzo ricevetti la sua mail: “Bellissimo libro cara Franca. Me lo sono letto subito, tutto d’un fiato. Una piena maturità umana e di espressione. Sono felicissimo di averti in collana”. Fu lo stesso Ruffilli a scrivere la lunga prefazione al libro.
La prima presentazione fu tenuta da me presso l’Associazione culturale Panta Rhei, a Trieste, il 15 ottobre. Il quotidiano locale, Il Piccolo, lo stesso giorno, nel dare la notizia della presentazione, pubblicò un estratto della prefazione: “La chiave di lettura nella raccolta della Olivo Fusco – scrive Ruffilli – è il filo onirico: i luoghi, le presenze umane sono rese diafane e lattiginose da uno schermo che, mentre le vela, nella loro improvvisa luminosità anche le rivela. La direttrice intellettuale qui è la voce della morte e non è tanto un’ossessione quanto invece una misura di consapevolezza. La presenza dei morti è una costante ma la meditazione sulla morte ha una sua attuazione altrettanto particolare: è sostanza stessa della visione, dell’invenzione fantastica che rappresenta il mistero, anche nella consapevolezza dei suoi aspetti più crudi e disincantati”.
Passo a chiarire il perché del titolo: deriva da un verso del poeta spagnolo Miguel Hernández (1910-1