Prefazione

a settembre
il sole esce confuso…
l’autunno cammina
 

È la nuova raccolta poetica di Antonio D’Elia, che coglie nel suo verso, maturo e disincantato, l’essenza del vivere, con le contraddizioni e i chiaroscuri dell’esistenza, sempre in un’aura sua particolare, da cui non deroga.
La realtà vive nella poesia di D’Elia, la sente fino in fondo, la patisce, ne è incantato, ma essa traspare, non appare, è uno spicchio di luna, non luna piena, quasi temendo “le rughe del mio viso” ed “equivochiamo il sogno / con la vita e la sua / realizzazione vibra / d’indifferenza”. Perché “Guardo l’aurora e mi domando / se il futuro è come oggi. / È difficile declinare la realtà.”
Egli avvolge con bellezza e sensibilità poetica il tempo che passa, e la memoria “svegli gli attimi più belli” ma la realtà si confonde increspando nelle ombre, e “l’uomo vede che il presente / è diventato ieri.”
Eraclito percepisce la storia nel movimento, tutto corre, e nella poetica di D’Elia lo specchio riflette volti nuovi, mai conosciuti e per un momento “muore l’ombra / e il poeta canta / la gioia della vita.”
Ma il riflesso è anche quello dal pathos “calpestato dalla vita” e le ombre ritornano.
È stato il tempo dell’ignominia e del disprezzo, del sopruso e della vergogna, della guerra, la più grande idiozia inventata dall’uomo.
Mentre la fanciullezza del poeta è stata ingoiata con i sogni impediti da Crono e ora “abita negli specchi / con le sue certezze.”
I punti di riferimento sono l’alba e il tramonto, e i giorni scivolano indifferenti quando la memoria “scaccia le paure” e il poeta si trova “chiuso nel labirinto / della vita” e in qualche modo si sente protetto, con le sue certezze e “le risposte segrete / della vita.”
È un continuo divenire tra il giorno muto che cancella i sogni nell’oblio e la memoria li ravviva insieme alle speranze “non realizzate nella vita” ignorando i simboli vuoti, ma ambedue insieme alle cose “declinano l’ieri ricco di storia, / ma pietose per l’oggi.”
I giorni passano con il fiume di Eraclito e gli accadimenti si riflettono nello specchio della vita. Ma le favole dell’infanzia “riaccendono i sogni / e la speranza vince sui dubbi del vivere” perché “in silenzio rinascono / dell’albero nuove foglie / con fragile armonia / … / e cancellano / la morte in primavera.”
I ragazzi della lippa e della palla sono sempre sorridenti, vorticosi come un ballo, indifferenti all’abbaglio della vita, guardano alle loro speranze e si fanno grandi.
“Garzoncello scherzoso / … / Stagion lieta è cotesta. / Altro dirti non vo; ma la tua festa / Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.” (Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio, settembre 1829)
Particolarmente intenso il verso “abbaglio / vorticoso di vita,” ricco di significato e diretto al cuore. “È l’alba della vita / i tuoi anni odorano / come gigli godi / il tuo giorno di festa.”
D’Elia sente profondamente dentro di sé la natura con le sue luci, le ombre, i colori, e ne fa immagine e storia quando nel suo Salento le ombre, con la fatica del lavoro e il dolore, hanno scritto la storia di “uomini senza gloria,” ma eroi coraggiosi e nel sangue la forza morale.
La luce varia come la vita e il vento “s’insinua fra le foglie… / cambiando il loro colore,” e la natura lucente e grigia nasconde il mistero del vivere. Mentre l’altro mistero, quello umano dell’amore, “scivola nei nostri / corpi” alla luce della luna.
Sono i brividi che il poeta dipinge nell’“armonia della notte,” condividendo i segreti d’amore “nascosti nelle parole,” e la poesia diviene musica struggente, e “l’uomo veglia / la solitudine delle notti / per colmarle di stelle.”
Ma talvolta la natura, per dirla con Leopardi, “Con lieve moto / in un momento annulla / in parte, e può con moti / poco men lievi ancor subitamente / annichilire in tutto.” (G. Leopardi, La ginestra, primavera 1836) e le magnifiche sorti e progressive restano impotenti di fronte alla sua possanza. E “la vita / per la stanchezza / dorme / sulla terra.”
Si risveglia e, imperterrita, prosegue mentre “Le parole toccano il cuore / cancellando le ombre” e “Il cielo / dissanguato muore / al tramonto”. “Laggiù / a quest’ora / la luna accende / il lume” ritornando in cielo “limpida” “compagna dell’uomo”.
D’Elia, uomo del sud, non manca mai di sfiorare accarezzando nel suo canto poetico la sua gente salentina, che profuma di semplicità e di sogni, “all’ombra degli ulivi,” contorti, segnati dalla fatica del lavoro e dal dolore delle donne e del loro canto di speranza. Ma il tempo scorre e, seppure “confuso”, smuove le certezze dei padri.
E la poesia, che ha la capacità di ridurre un mondo di sensazioni ad un solo universale moto del sentire, è il vivere “L’anima si bea / di parole plasmate / dalla vita” contro le ombre della solitudine, che nascondono la conoscenza, il vero, e la speranza rinasce.
Alla fine di settembre ci raggiunge e la vita “declina, cancellando, in autunno, / i sogni;” ma la vita continua e non invecchia nell’animo, anche se nel poeta traspare e non appare.
All’ombra della malinconia e della tristezza si può sostituire l’ideale del “sogno” divenuto vero, reale, vivo tra gli uomini, vissuto fino in fondo contro le ingiustizie patite, l’indifferenza, lo squallore, l’ignoranza, la divisione, la discriminazione, la superiorità, la violenza…
“O la immaginazione tornerà in vigore… e la vita tornerà ad essere cosa viva e non morta, e la grandezza e la bellezza delle cose torneranno a parere una sostanza… o questo mondo diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto.” (G. Leopardi, Frammento sul suicidio, gennaio/agosto 1820).
È meglio vivere anche morendo per dei valori, che morire vivendo, aridi, indifferenti e infelici.
È questa la funzione della poesia, e D’Elia, nei suoi versi, ce l’ha rivelata.

Franco Nicoletti

Alpignano, 18 settembre 2018

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