PREFAZIONE

Per la terza raccolta del suo itinerario poetico Giovanni Chiellino ha riunito e fuso un’ampia serie di composizioni, distribuite in quattro sezioni; secondo un ben calcolato progetto strutturale. E proprio la “grandezza” dell’opera il dato a prima vista più rilevante: si snodano quasi settanta componimenti, alcuni brevi, ma altri di notevoli dimensioni, talora ricchi di più strofe, quasi in forma di poemetti. Nelle fluenti volute dei versi si affrontano tematiche elevate, secondo una forte ricerca costruttiva e comunicativa di bellezza e conoscenza. Nel cerchio delle cose appare insomma mosso da un’insistita aspirazione ad abbracciare sempre più oggetti, a moltiplicare il discorso poetico, sulla spinta – per citare un sintagma dantesco e dannunziano – di una profonda, intensa “volontà di dire”, che forse è l’autentica chiave d’interpretazione dell’opera. Nella successione dei versi si accumulano miriadi di figure e immagini, che rientrano in una topica classicamente letteraria: il tema del viaggio, con l’idea dell’esilio che si staglia già ad apertura del libro, ma anche di un percorso di esperienza nel mondo, che si Tramuta in meditazione interiore; la condizione adolescenziale quale privilegiata visione alternativa sull’esistenza, la bellezza femminile, che illumina e insieme abbaglia il soggetto, rivelando e insieme nascondendo il mistero; l’amore quale dato non meramente sentimentale, ma allegoria del rapporto con l’altro da sé e quindi incoercibile impulso alla poesia.
Chiellino applica uno dei principi fondamentali della retorica, che fin dall’antichità insegnava come in uno stile autenticamente alto a un’amplificazione orizzontale debba corrispondere un’amplificazione verticale: alla dilatazione del linguaggio, giocato sulle figure dell’enumerazione, del parallelismo, della ripetizione, si accompagna la tensione riflessiva di una cultura simbolica. Caratteristica della poesia di Chiellino è infatti la sequenza analogica, come si rileva soprattutto nella terza sezione, splendidamente costituita da una catena ininterrotta di analogie: si incontrano metafore usuali del genere lirico (già indicate nei titoli: Mare, Albero, Onda, Nuvola, Rosa…), che il soggetto si appropria e riusa in dialogo con la tradizione per una riproposta personale e problematica. Di qui l’affascinante sentore di echi e allusioni di questo lessico, accompagnato ripetutamente dall’aggettivo possessivo, sovente in posizione anaforica e con l’ellissi del verbo.
Non si tratta della mera ripresa di una maniera novecentesca, bensì di un sistema simbolico organizzato sapientemente secondo le quattro sezioni dell’opera: Esuli, I. Nel cerchio delle cose, II. Nel cerchio delle cose, Canto d’amore. Già dai titoli si deduce come la divisione in quattro parti si risolva in una tripartizione, con una grande sezione centralesuddivisa in due sottosezioni, che riprendono il titolo generale dell’opera, e le altre due sezioni a fare da corona. Indizi significativi delle differenze sono i pronomi: in Esuli prevale il discorso in prima persona plurale, a indicare una convergenza sulla condizione umana; Nel cerchio delle cose prevede l’introiezione degli oggetti secondo un processo di assimilazione e quindi il dominio della prima persona singolare; in Canto d’amore si passa di nuovo al rapporto con l’esterno, alla presenza dell’altra persona con cui s’instaura il dialogo, e quindi alla prevalenza della seconda persona singolare.
Nella poesia che ripete il titolo di quest’ultima sezione si ravvisa uno dei punti basilari dell’operazione letteraria di Chiellino. Un titolo – Canto d’amore – che potrebbe apparire quanto di più consueto e stereotipato e invece genialmente introduce una forma di elogio e litania, dove la figura femminile adombra progressivamente altre essenze fino all’esaltante identificazione con la poesia: “Tu gemma della mia casa / fiore e canto della mia vita, / tabernacolo del tempio / occhio e fuoco del mio Dio”. La “volontà di dire”, proprio per il diuturno sforzo di appropriazione poetica delle cose, può così realizzarsi positivamente, come testimonia la primaverile Offerta finale ai diversi potenziali lettori, presenti e futuri.
La poesia di Chiellino dimostra allora la sublime capacità di “viaggiare” e “trasformarsi”, di inserirsi in un flusso e insieme trasfigurarsi in metamorfosi. Non a caso la figura chiave del discorso poetico è il cerchio: la sequenza delle analogie accoglie la pluralità delle “cose”, che si succedono secondo un arco inesauribile; il corso delle parole segue un movimento progressivo che tende alla perfezione circolare. Emblematico un passo di Luna: “Mia silenziosa spiaggia / nel fiume di parole, / mano che tendi l’arco / lucido del pensiero / per dare vigore al dardo / che libera l’idea”. Proprio l’aspirazione alla circolarità poetica, che riflette e perfeziona la ricerca dell’essenza profonda di sé e del mondo, spiega infine la scelta di Chiellino di schemi metrici costanti e avvolgenti, che mirano a un ritmo regolare. Il poeta non esita a disporre endecasillabi ordinatamente accentati, a recuperare altri versi della tradizione sagacemente fusi nell’armonica orchestrazione delle strofe, a includere allitterazioni e rime, a rifinire il componimento con clausole linearmente cadenzate. Il valore dell’opera si compie anche nella riproposta di queste “geometrie”, che sorgono dal silenzio e dànno voce alle “cose”, animando e avvalorando il “cerchio” della forma poetica.

Francesco Spera

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