PREFAZIONE

Nel corpo del mutare si impone come raccolta che tutela il lettore sia dalla malinconia che dall’entusiasmo programmatico. Si parte con una tipologia floreale ed elegiaca a iniziare dal verso “Purpurea conchiglia aperta al mare”, col fiore dell’hibiscus per proseguire con “… Coppe aperte al cielo. Rosse bocche aspettano / il bacio della pioggia…”, ove si tratta di papaveri liberati a una dinamica metamorfica ove si continua a fiorire cantando con la voce delicata degli elementi sublimati fino allo svelamento della “Lecanora Esculenta”, ovvero la biblica “manna del deserto”.
E allora ci si accorge che in fondo alla natura evocata da Giovanni Chiellino si cela un fondale desertico confinante col nulla, dove angeli magnanimi si alleano alla “brezza / per riempire la mensa / con la rugiada di Dio”. E allora la tipologia elegiaca e “scientificamente” latinizzante si rivela diretta in senso opposto alla fuga del tempo biologico-naturale.
Di fatti la teoria floreale e rugiadosa non è che lo “ouverture” che ci accompagna ad un “nostos” onirico dove il mondo viene inondato dallo sguardo divino “… luce di stelle aveva perforato / la pietra della notte / per lasciare fessure all’occhio di Dio”. E si ritorna al mito, per narrare le manifestazioni luminose nel grembo di una natura intatta, verginale, a distanza di sicurezza dalle violenze del “progresso” tecnologico e dall’alito marcio della storia.
Ma la morte insidia la meraviglia delle apparizioni, e allora la vita appare generosa dimora d’animali (rondini, cavalli, anguille), figure dell’innocenza che vivacizzano il cielo, il mare e il piano. Eppure l’uomo, né angelo, né animale, è inquieto e in questi versi rischia l’oltrepassamento della condizione naturale attraverso la natura stessa “Cerca l’uomo la fonte, / la profonda ferita della pietra / per specchiarsi nudo alla sorgente: / pura immagine di Dio oltre la soglia.”
Ci si rende conto come in questi versi si proceda sbarrando la voce soggettiva per evocare immagini in movimento verso l’entelechia dell’universale, ci troviamo tra immagini-preghiera per il germogliare perenne. Il pericolo della morte viene velato dalla luce emanata dall’Angelo della Bellezza e così l’orrore dell’esistenza si sperde nell’infinito splendore e viene sommerso dal colore dei fiori che bruciano nelle foreste dei sogni, sbocciando nell’aurora che ritorna ogni giorno a svegliare la terra. E se la vecchiaia minaccia di giungere implacabilmente puntuale, gli anni insegnano a vedere l’universo come una cattedrale (“Dove sono le bianche colombe / sulla vetrata dell’universo?”).
Rileggendo queste poesie, ci si sorprende come la navigazione di Chiellino riesca a scansare le scogliere della morte e giunga inarrestabile a intensificare il golfo sacro dell’esistenza.

Tomaso Kemeny

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