PREFAZIONE

L’ultimo libro della poetessa Maria Ebe Argenti suscita immediata ammirazione per la scelta di collocarsi con coraggio al di fuori della moda poetica del mo­mento, quest’ultima essendo improntata alla cronaca del quotidiano e al rapporto stretto con il mondo reale: gli oggetti, le abitudini, i pensieri, le problematiche spicciole che costituiscono il tran-tran giornaliero. Tutt’altro orizzonte di eventi ritroviamo nelle pagine del libro di Argenti, già a partire dal titolo che, si badi bene, non è una farsa della nota romanza della Turandot, Tramontate stelle, cantata dal principe Calaf la notte prima dello svelamento del suo nome. Quello di Argenti, infatti, non è un participio passato, come lo adopera Calaf nel do di petto in cui lancia il vincerò alle stelle, ormai tramontate per il sopraggiungere dell’alba. Quello della poetessa di Varese è un imperativo rivolto agli astri: le stelle non debbono tramontare, ma al contrario devono trattenersi in cielo e “sollevare il velo di paura / che un poco inquieta l’apparente quiete”. Tali stelle, fuori di metafora, sono le illusioni di cui ci parla Foscolo, cioè i nobili valori dell’anima, tali il coraggio, l’amor patrio per il suolo na­tio, gli ideali di giustizia e di fraternità tra gli uomini, le egregie cose e gli atti di eroismo che conducono alla gloria immortale, l’amore per la donna, che è il simbolo carnale e caduco di quella stessa bellezza che risplende eternamente nel creato. Queste tali illusioni ricevono il loro battesimo foscoliano agli inizi dell’Ottocento e la loro consacrazione nei Sepolcri, che viene pubblicato nel 1806. Però, noi le ritroveremo anche nelle Ricordanze, ventitrè anni dopo, ma già saranno decadute in vaghe stelle, destinate a sviluppare nel pensier… quante fole, sulle quali piangerà degli amarissimi casi l’ordine im­menso, il poeta di Recanati, nel 1829. Sono passati poco più di vent’anni, ed è trionfato il romanticismo: tutto trasporto analogico, emotivo, antirazionale. E Baudelaire, per ora è un fanciullo di solo otto anni, ma di qui a ven­t’anni pubblicherà, nel 1857, Les fleures du mal, e affermerà di ammirare la bellezza della charogne infâme, che imputridisce all’aria aperta, divorata dai vermi e dalle mosche: a quel punto saremo in pieno decadentismo, a un solo passo dalla modernità contemporanea.
Che cosa porta una poetessa così gentile e raffinata come Maria Ebe Argenti a compiere il viaggio nel tempo e nella letteratura e a collocarsi all’inizio Ottocento, il secolo d’oro della poesia italiana? È il desiderio di rivedere le stelle, cioè il cielo dei poeti, che per tanti anni – bisogna leggere per tanti secoli – ha rappresentato l’orizzonte della poesia. La prima cantica di Dante si conclude con il verso memorabile E quindi uscimmo a riveder le stelle, che rappresenta il ritorno alla vita, alla luce, alla speranza, alla verità; rappresenta l’uscita dal viaggio all’Inferno e l’inizio della risalita al Purgatorio, sotto la volta del cielo stellato. L’invocazione della poetessa, dunque, assume precisamente il significato di ri­volgersi alla poesia per ottenere la rinascita e la redenzione dell’anima, nella convinzione che la poesia possa fornire agli uomini il cielo colmo di stelle, cioè il luogo ove il tempo scorre indefinitamente in eterno e in piena armonia e pace. Questo stato di grazia è esattamente l’auspicio del focoso e tormentato animo di Ugo Foscolo, il quale scrive Le Grazie esattamente con l’intento di celebrare la suprema estasi che l’arte e la letteratura possono procurare nell’animo degli uomini. La metafora è sempre quella del cielo stellato, già scelta da Dante nei primi due decenni del 1300, quando scrisse la Commedia. L’avventura letteraria ha fatto sì che a sette secoli di distanza da Dante il cielo punteggiato di stelle da lui magnificato non sia più un orizzonte praticato dai poeti del ventunesimo secolo: troppe luci fatue hanno oscurato le stelle, troppe insegne luminose, lampade artificiali, fanali di automobili, proiettori di immagini virtuali e al­tre sorgenti di luce elettrica hanno schermato l’eterna chiaria degli astri celesti, divenuti praticamente invisibili agli occhi dei poeti contemporanei. Gli occhi dei poeti di oggi sono puntati, dunque, sulle luci del mondo quotidiano, accese e spente a comando dagli uomini che le progettano e le gestiscono con la regia dei mass media e del potere politico. Sotto questo profilo, il libro di Maria Ebe Argenti acquista il merito di una coraggiosa scelta poetica, in polemica con le mode imperanti del tempo, e rappresenta l’affermazione che l’uomo ha bisogno di sottrarsi al dominio asfissiante delle luci artificiali imposte dai mezzi di comunicazione e dal potere politico che sovrasta e che disciplina la volontà dei singoli. Si tratta, quindi, di un importante libro di poetica d’attualità, che denuncia l’urgenza dell’uomo contemporaneo di sfuggire al controllo delle libertà, fedi, speranze e verità individuali – in altre parole le stelle dei poeti – sostituendo al loro posto un cielo senza stelle, ma sa­pientemente robotizzato, omologato e controllato dai meccanismi artificiali di produzione di benessere consumistico, ossia la velenosa manna caduta da un cielo sen­za stelle tipica della civiltà del libero mercato, che produce nuove illusioni, magari favorite da alcol e droga, come produce qualsiasi altro oggetto della quotidianità. La poetessa Maria Ebe Argenti, con questo libro, lancia il monito, che è anche un’invocazione e una preghiera – non tramontate stelle! –, affinché risorga l’impegno della poesia a rivolgere lo sguardo verso un orizzonte che trascenda la quotidianità spicciola del mondo reale, perché avvelenata da false illusioni.
L’occasione del libro, tuttavia, per ammissione del­la poetessa, è stata suscitata da un evento contingente, per l’esattezza dal concorso letterario internazionale promosso a Perugia dall’Accademia dei Filateti e dedicato alla rievocazione della figura di Ugo Foscolo. Questo elemento fortuito suona quasi come l’espediente letterario ad hoc che rammemora – non a caso – lo stratagemma scelto da Foscolo come scintilla focaia capace di innescare l’immenso fuoco rappresentato dal carme Dei sepolcri. La scintilla, come bene si sa, fu l’editto di Saint Cloud, cioè il decreto imperiale sulle sepolture, emanato da Napoleone nel 1804, che spostò i cimiteri al di fuori delle mura di cinta cittadine, in luoghi soleggiati e ariosi e non all’ombra dei cipressi. Il poeta di Zante, come si sa, cavalcò la polemica che scosse l’intero impero e scrisse il noto capolavoro. Nel nostro piccolo, di poeti del ventunesimo secolo rimasti senza stelle, noi cogliamo questo gentile invito di Maria Ebe Argenti, scritto in totale omaggio all’Autore di Le Grazie, come la più genuina e sincera resurrezione della poesia ispirata all’armonia dei classici.

Sandro Gros-Pietro

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