Prefazione

Maria Angela Zecca poeta della solidarietà, dell’amore e della pace

Qualche tempo fa, mi è stato fatto dono di un CD, intitolato Respiro d’amore: per un Natale di azzurro e di pace. Dentro alcune poesie di Maria Angela Zecca la quale, sul retro-copertina dello stesso, con una bella e leggibilissima grafia, aveva scritto: «Per Ada e Maurizio // Questo è un CD per computer. Si tratta di un’elaborazione multimediale di alcune mie poesie». Sulla copertina, un’azzurrissima immagine di una costa marina [presumibilmente quella del Salento] tormentata da un mare in tempesta, dominata dalla silhouette di una donna con le braccia in forma di croce, che sembra sfidare i tumultuosi eventi. Un distico dantesco sta lì a segnare gli intenti della poetessa: «Se tu segui tua stella, / non puoi fallire a glorioso porto» [dal XV Canto dell’Inferno della Divina Commedia).
Al computer vidi i testi, o me li fecero vedere, quindi li lessi sullo stesso monitor. Ma, mi accade che la lettura sul monitor del computer la sento come asettica, un po’ troppo oggettivata.
Per leggere e “sentire” un testo, ho bisogno della carta stampata, meglio se poi è in forma di libro.

Provvidenzialmente, qualche tempo dopo, ho avuto anche una composizione delle poesie di Maria Angela stampata a colori, come fosse un vero libro. Del resto, alcuni testi erano stati pubblicati anche da Sucar Drom, uno dei siti informatici del popolo Rom. Tutti sanno, ormai, che molte poesie di Maria Angela Zecca hanno come orizzonte operante lo straordinario popolo degli zingari [mi permetto di usare qui questa parola senza alcun intento offensivo nei confronti del popolo Rom; d’altronde io stesso ho nel sangue humus zingaresco, dato che, a detta di mia madre, impossibilitata a farlo, fui allattato da “Maria, zingara di Casarano”].
Sulla prima pagina della silloge, la poetessa ha messo in evidenza il monumento poetico antinazifascista di Bertolt Brecht, che vale sempre la pena rileggere: «Prima di tutti vennero a / prendere gli zingari e fui / contento perché rubacchiavano. / Poi vennero a prendere gli / ebrei e stetti zitto perché mi / stavano antipatici. Poi vennero / a prendere i comunisti ed io / non dissi niente perché non ero / comunista. Un giorno vennero / a prendermi e non c’era rimasto / nessuno a protestare».

La raccolta poetica in questione si apre con una civilissima poesia di Maria Angela: Identità negate: l’alba di Federica. Si tratta dell’appello al rispetto dei diritti del popolo Rom. Ecco alcuni versi: «Sorgerà / mai / l’alba / di Federica / in una società / sgomenta, / ostile / e nemica?! / […] / Brillerà / negli spazi siderali, / di Paesi civili / e occidentali, / un proclama speciale / che riconosca ai Rom / il Diritto Naturale / di chi è / persona, / libera ed eguale?!».

Sullo stesso piano dell’impegno civile, vi sono altre liriche, con le quali la poetessa condanna altri tremendi orrori, di cui l’uomo, o forse è più giusto dire, alcuni uomini si sono macchiati e continuano a macchiarsi. Eccone una, fortemente emblematica, intitolata Natale 2005: speranze di pace (Dedicata a tutte le vittime della guerra e della violenza e a chi lotta per eliminare le barriere dell’odio): «Echi / di guerra / recidono / speranze / di vita. / […] Oltre i muri dell’odio, / il futuro / ha occhi di niño / e sguardi di glato, / incanto di Tigri / e di Eufrate».
Nel testo evidenti sono i riferimenti alla guerra degli imperialisti contro il povero e martoriato Iraq, il cui popolo vanta il primato della prima organizzazione sociale sul pianeta Terra.
Ed è sempre il popolo iracheno a fare testo in un’altra toccante poesia della poetessa, intitolata Art. 11 della Costituzione Italiana. Sgomenti e commoventi sono i versi: «Sotto il cielo di Bagdad, / il Tigri e l’Eufrate / scorrono / flutti di sangue. // Sotto il cielo di Bagdad, / oltraggi di donne / han seni / e occhi vuoti. // Sotto il cielo di Bagdad, / vecchi e bambini / si spengono all’alba, / come tremule luci: // […] // Sotto il cielo di Bagdad, / muoiono / gli occidenti dell’effimero, / dell’opulenza e del petrolio: // […] // Sotto il cielo di Bagdad, / chi semina odio e violenza / raccoglierà / vendetta e terrore. // Sotto il cielo di Bagdad, / riluce ancora l’antica civiltà dei Sumeri: / nessuno piegherà / la terra fiera di Mesopotamia».
Bellissima. Da piangere. Il pianto, per chi di questi tempi sa piangere, è una delle più forti manifestazioni sentimentali.

Eredità d’amore è invece il manifesto col quale Maria Angela Zecca spiega ad un ragazzo [un suo e nostro figlio ideale] cos’è la pace.
Scrive: «La pace / è incontro d’amore / di lingue e Paesi, / di credo e diversità. // La pace / è universo di musica e danza, / di idee e sentimenti, / di arti e civiltà. // […] // La pace / è valore, / speranza di cielo, / futuro di vita e di terra. // Non dimenticarlo mai / figlio mio».

Maria Angela Zecca, lo scrivevo poco sopra, è poeta ed intellettuale impegnata sul terreno dei diritti civili per quanti, nella disperata condizione di vita, sentono ed hanno bisogno di solidarietà concreta, di accoglienza fraterna, d’amore e umanità sincera. Non a caso, ella ha speso gran parte dei suoi giovani anni, ancora oggi lo fa, a fianco del popolo Rom, tanto da essere tuttora attiva nel campo nomadi “Panareo” a Lecce dove, non di rado, la vediamo impegnata ad organizzare incontri, convegni, dibattiti e persino una squadra di calcio Rom. Per questo, non è sbagliato pensare che molti dei suoi sentimenti, delle sue emozioni sono impregnati del sudore e del sangue di quel popolo ancora oggi istituzionalmente non riconosciuto nella sua integrità.

Sull’ultima silloge di Maria Angela Zecca, che mi è capitata sotto gli occhi, leggo una dolcissima nenia, simile a quelle da me stesso ascoltate dalla mia tata Maria, “zingara” di Casarano.
Bellissimi versi quelli di Maria Angela in Le cose della vita: nenia per un bambino Rom: «Ti cullerò / e ti racconterò / “le cose della vita”. // Ti amerò / di vino e di pane, / di cielo e di mare. // Ti ninnerò / con musiche e danze / per farti sentire // odori / e fragranze / di pace».
Forse non è opportuno dirlo qui, almeno in questa sede, ma ugualmente mi permetto di farlo, perché sento il canto del verso poetico di questa cara amica leccese come rivolto anche un po’ al mio essere stato bambino allevato col latte di mamma Rom.

Così come la poetessa, anch’io ho conosciuto Alexian Santino Spinelli (di Lanciano), il Rom docente universitario e ottimo musicista di ballate della sua gente. Anni fa, avevo scritto un testo dedicato alla mia seconda mamma Rom, testo che era poi capitato nelle mani di Santino, il quale sentì la necessità di significarmelo con la Ruota del Carro del Popolo in Cammino Amico Rom.
Al musicista Santino Spinelli e al Popolo Rom, Maria Angela Zecca ha dedicato Arcobaleni di pace: «I suoni / sono emozioni: / cromatismi di luce / dell’anima, / arcobaleni di pace / che l’acqua / traspare».

Nell’ampia produzione poetica della poetessa di Lecce ci sono poi altri versi dedicati ad altri soggetti d’umanità, di progresso, di vita. Tristi e belli quelli dedicati all’amore e al colore: «C’è solo tristezza / e dolore / in un mondo / senza colore» (Alterità d’amo­re); «Non è mania, / follia / o alchimia / dell’anima. // È desiderio di armonia, / gioia / che stride nella mente / invadente e struggente: // cristalli di luce, / che splendono il cuore, / scintillii di acqua / e cascate d’amore» [Luci dell’anima (Inno alla Poesia)]; «Ci sono parole / che sono sole / e non dicono. // Il fremito del cuore / può / svegliarle» (Le parole che non dicono).

Curiosa ed intrigante è la poesia dedicata a Renzo Arbore, intitolata Io non sono poeta, i cui versi recitano: «Io non sono poeta, / anche / se vorrei avere / mani di seta / per scivolare / sul cuore / e nella mente / della gente. // Non sono / nemmeno / uno scrittore, / né un pittore / per descrivere / o dipingere / l’amore. // In realtà, / vorrei essere / un artista, / magari un musicista, / che canti / i sogni / della gente / e dei bambini. // Perdonatemi, / perciò, se sono solo, / un artigiano, / che fa uso / ancora della mano / per disegnare / il futuro».
Bella, perché prorompente d’amore per la poesia, e scritta da una brava artigiana poeta.

Alla Puglia (intesa anche come Salento), alla nostra cara regione, terra del sole e di accoglienza, Maria Angela Zecca ha dedicato più di un componimento, ma a me qui interessa rievocarne uno: Inno al Dio Bacco: «Tu sei ebbrezza / e dolcezza, // elisir profumato / di odori e saperi / di terra e di mare. // Tu sei colore, / calore e passione, / estasi / e meditazione / dell’anima: // caldo vento / della mia terra, / il Salento».

Il sole, l’astro a noi più vicino, la stella che ci dà permanentemente calore e vita, è sempre presente nella poesia di Maria Angela, che lo richiama quasi fosse il francescano «Fratello Sole» del Grande Frate di Assisi. In L’alba dei Popoli, la poetessa chiude il testo con «Canterò e danzerò. / E il sole sorgerà / ancora».

Ma è con la lirica Colori altri, che Maria Angela Zecca tocca punte poetiche alte: «Non conosco / il colore / della reciprocità / d’amore: / dipingerò / il sole».

Maurizio Nocera

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