Premio I Murazzi per l’inedito 2010 (dignità di stampa)
Motivazione di Giuria

Nella spontaneità della forma chiusa per endecasillabi, e nella gioiosità dello stile comico di alta tradizione, l’erbario e il bestiario antropomorfi di Mario Rondi si segnalano, ai massimi livelli di originalità nella denuncia satirica del campionario di virtù e difetti umani in un tripudio di cipollette, finocchi, lombrichi e altre incarnazioni: la Giuria attribuisce la dignità di stampa anche conscia della grande notorietà a livello locale e nazionale raggiunta dallo scrittore bergamasco.

 

 

 

PREFAZIONE

Nel settimo cielo del Paradiso, dopo avere incontrato San Benedetto che denuncia le corruzioni della Chiesa, Dante su invito di Beatrice guarda giù e vede la Terra come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. La visione è quella che si avrebbe osservando un oggetto attraverso il cannocchiale usato al contrario: una nitida piccolezza. Il nitore della miniatura è una condizione che si confà perfettamente alla poetica di Mario Rondi, purché si tenga a mente la citata prospettiva dantesca e si consideri il fatto che l’oggetto osservato da Rondi è l’intero pianeta terrestre, cosa che, in poesia, significa la totale storia dell’umanità, per arrotondamenti di spazio e tempo. Per Dante, l’universalità terrestre può stare sotto un’aiuola (una piccola ala). Per Mario Rondi, che si può presumere non abbia raggiunto la dote di sintesi del Fiorentino, occorre invece un intero orto, probabilmente conclusus, come si voleva ai tempi del dolce stil novo, ma forse anche meno edenico di quello. Il viaggio di Dante consiste nell’ascesa lungo la scala della poesia che conduce alla visione metafisica. Il viaggio di Rondi, più modestamente, ha la direzione e il fondo scena prediletti da Balzac ed è una rappresentazione di insieme della comédie humaine: un centone di emozioni della più varia specie, ma aventi il minimo comune denominatore della voglia che urge. Quest’ultima, la voglia che urge, è ciò che meno piace al filosofo classico, da Zenone a Epicuro. Infatti, per il filosofo antico, la voglia è un impulso ferino, che non ha ancora ricevuto il licet della ragione. Ma proprio l’istinto naturale, invece, ha scatenato la vertigine della ricerca nei philosophes francesi, a partire da Rosseau e dai suoi seguaci. E Rondi miniaturizza in petits fruits poetici di otto versi – due terzine in rima dantesca e un distico a rima baciata – il nitore espressivo della voglia urgente: brivido sensuale, trasporto erotico, vaghezza onirica, pomposa seduzione, concupiscenza della ricchezza, neghittosa ignavia, bramosia di potere e infinite altre tinte della tavolozza delle brame. Tutta le voglie “bestiali”, quelle che si manifestano come istinti naturali, sono sapientemente rappresentate, con benevole caricature che hanno il dono della levità e della precisione. Rondi non vuole affatto mettere in scena un repertorio psicanalitico e psicologico dei caratteri, dei sogni, delle nevrosi degli umani, perché egli intende parlare al cuore degli uomini mantenendosi a monte dell’azione classificatrice condotta dal­la ragione sui loro istinti. La ragione, infatti, funziona un poco come la fanteria che mette in sicurezza i territori appena conquistati: spiana e omologa ogni cosa, estirpa le diversità, le resistenze, i contrasti antagonisti. La visione di Rondi, invece, accetta tutte le manifestazioni con buon grado di indulgenza e di curiosità: come un incantato esploratore che passa a volo d’uccello sul territorio vergine appena raggiunto e ne ammira con curiosità le imprevedibili morfologie.
Per avvicinarsi in modo neutrale alla ferinità degli umani, senza mai giudicarli, senza mai sottometterli alla mitraglia delle azioni di impegno civile, senza farli soccombere sotto le bombe incendiarie delle sentenze etiche, senza sterminarli con i gas nervini delle ideologie utopiche, senza asfissiarli con la retorica dei protocolli, Mario Rondi usa il virtuoso espediente adoprato fino dai tempi dell’antichità ellenica di servirsi di un bestiario ovvero di un erbario. Rondi non parla di uomini, ma di famiglie di “piante e di animali” come metafore che alludono alla condizione umana. La metafora libera subito il discorso poetico dalle costrizioni della logica e della ragione. Piante e animali hanno in comune con l’uomo solo la condizione di caducità e di rinascita che è comune a tutti gli esseri viventi. Eppure piselli nani, finocchi, lombrichi e passere, con la loro sterminata parentela floreale e faunesca, sono maschere antropomorfe della creatività poetica umana: sono voci umane, troppe umane. Una poesia, quindi, fortemente simbolista e surrealista, ma che tiene vigile il controllo sulla memoria storica della letteratura e sui precedenti esempi di approdo del discorso poetico, fatto per simili metafore: è un discorso che da millenni va su e giù per le scale che portano gli angeli dal cielo alla terra e viceversa, come nella visione di Giacobbe. Non è un caso che questo magnifico libro di Rondi sia popolato di angeli e di demoni. La scala di Giacobbe, infatti, è il contraltare religioso della scala di Darwin: cioè, rappresentano entrambe le due vie di collegamento della famiglie di “piante e animali” all’ipotesi chiarificatrice dell’origine della vita.
Per non recitare il ruolo di ultimo dei moicani, chi scrive si deve necessariamente astenere dal fare le lodi alla poesia di Mario Rondi, dopo quanto è già stato acquisito nelle critiche elaborate da Alberto Cappi, Mario Ramous, Vincenzo Guarracino, Giorgio Bárberi Squarotti, Giulia Niccolai, Maurizio Cucchi, Tomaso Kemeny e tanti altri eccellenti scrittori e critici. È assodato che ci troviamo a contatto con una delle espressioni più curate e profonde della poesia italiana contemporanea: una voce capace di rendere piena testimonianza del nostro tempo caduco a confronto del tempo indeterminato salvato dalla tradizione.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana